La Spigolatrice: ecco il parlar bene che porta a conclusioni sbagliate

Ennesima polemica delle femministe incattivite contro il sessismo.
Inaugurata a Sapri una statua intitolata alla Spigolatrice di Sapri: una popolana immaginata da un poeta, inserita come protagonista involontaria di un episodio patriottico del cosiddetto Risorgimento.
Troppo audace il drappeggio?
Il commento tutto sommato più saggiamente conciliatore, misurato, intelligente l’ho trovato nelle parole di questa storica dell’arte (che non conoscevo), Chiara Savattieri:

In questa pausa pranzo, voglio fare qualche considerazione, da storica dell’arte, sulla statua della Spigolatrice di Sapri che ha destato molte polemiche facendo gridare allo scandalo sessista. Aggiungo: giustamente. Tuttavia mi pare che sia utile andare oltre l’urlo scandalizzato e fare qualche considerazione che approfondisca il problema.
Lo scandalo deriva dal fatto che questa lavoratrice dei campi, che secondo la poesia di Mercantini, avrebbe seguito Pisacane e i suoi nel combattimento antiborbonico (conclusosi con un massacro), è raffigurata in abito succinto, molto aderente, tale da mettere ben in evidenza delle forme femminili secondo il canone (o meglio presunto tale) attuale – seni, cosce e sedere estremamente sodi stile fitness – e non certo secondo il gusto ottocentesco (che apprezzava corpi dalle linee ben più morbide).
Ora, la storia dell’arte, dall’antichità in poi, è piena di nudi femminili, in cui le cosiddette curve sono ben messe in evidenza (la statua in questione tecnicamente non è un nudo, ma nei fatti l’abito molto aderente lo tende tale). Il nudo femminile però fino press’appoco all’Olympia e al Dejeuner sur l’herbe di Manet era riservato fondamentalmente alle dee e alle figure mitologiche. Nell’Ottocento appunto con Manet ed altri artisti avviene una rottura del codice del nudo a cui hanno accesso donne normali, nel caso dell’Olympia, tra l’altro, una prostituta.
Potremmo leggere, forzando la mano ed anche di molto, tutto questo in chiave maschilista (semplificando che i nudi esprimono una visione sessista della donna), quando molto più probabilmente tutti questi nudi rivelano la fascinazione del corpo femminile sugli artisti, corpo non solo come oggetto erotico, ma corpo come oggetto estremamente complesso dal punto di vista della forma, dei volumi, delle ombre e della luce, che pone tutta una serie di problemi formali da risolvere nel momento in cui lo si rappresenta. Questo è il significato dello studio dal nudo femminile nelle Accademie: i giovani artisti si trovano dinanzi a una modella senza abiti e cercano di riprodurne i tratti corporei. In quel momento, quello dello studio del nudo dal vero, – chiedetelo a qualunque artista abbia fatto questa pratica – non esiste il corpo in quanto oggetto di desiderio, ma il corpo in quanto problema formale.
Perché allora il nudo della Spigolatrice è scandaloso e sessista, dopo che abbiamo visto i nudi di Manet, di Munch, di Klimt, di Schiele e tantissimi altri?
Il problema, in questo caso, è il decorum. Cosa è il decorum? E’ una categoria rinascimentale, ma di origine antica (derivante addirittura dalla teoria degli ordini architettonici vitruviana), secondo cui una forma deve essere “adatta” alla funzione che deve svolgere e al soggetto raffigurato. La Spigolatrice è una donna umile e coraggiosa, che sposa la causa antiborbonica e che sfida anche la consuetudine per cui gli uomini combattono e le donne stanno a casa. Quindi, indipendentemente dal fatto che dal punto di vista storico l’artista non l’ha raffigurata correttamente (ad esempio con il costume della sua epoca che non era certo una camicia da notte attillata), non ha centrato il soggetto. Vorremmo vedere una donna coraggiosa, anticonvenzionale, e invece vediamo una pin up simile a quelle di certe trasmissioni TV. Certamente, nell’arte contemporanea il decorum non esiste più come criterio. Tuttavia siamo in presenza di un’opera a destinazione pubblica che ha una funzione celebrativa e di questo un artista deve sempre tenere in conto: può sentirsi libero, però in qualche modo deve rendere il suo soggetto riconoscibile anche a chi ad esempio ignora la poesia. Poteva certo rifiutare la verisimiglianza storica, ma per darci una interpretazione nuova, per farci vedere il soggetto sotto un punto di vista originale, e invece cade nella più bieca banalità e nella ripetizione di un presunto canone estetico quale viene propinato dai mezzi di comunicazione di massa.
Infine, c’è un altro problema, e non da poco. In un’epoca come la nostra in cui si dibatte molto sugli stereotipi sessisti legati al corpo femminile, l’artista pecca contro il decorum da un punto di vista più profondo e forse ancora più grave. Non si pone infatti alcun problema relativamente a questo dibattito, sembra che questo non lo riguardi. Ora le opere d’arte non devono per forza essere “politicamente corrette” se mi lasciate passare questa espressione tanto in voga. Tuttavia in un’opera pubblica (e non privata e immessa nel mercato) il problema del contesto culturale un artista se lo deve porre. Rappresentare una donna oggi in una statua ha un significato molto diverso rispetto ai secoli passati.
Rimproveriamo dunque all’artista la banalità della sua scelta, o meglio la superficialità. Ed anche il cattivo gusto.

Visto che le affermazioni delle cretine e delle Boldrine non vale la pena neanche discuterle, permettetemi di criticare invece questa critica intelligente, perché non funziona!
E abbiamo un disperato bisogno di gente che dica NO.
Invece è controproducente apporre uno stampino autorevole di approvazione, pur se condito da pensosi distinguo, alla foga ideologica degli ultimi dieci minuti.

 

Critica della critica. Mitologia da strapazzo.

Uhm… la spigolatrice non è realmente esistita, leggo che neanche c’erano il grano e le spigolatrici a Sapri.
La solfa dei “trecento giovani e forti” immolati per una giusta causa, che rimbomba nella poesia, è una invenzione di chi ha costruito il Paese sull’ipocrisia di una vuota retorica, per coprire una impostazione fallimentare e oppressiva dell’unità d’Italia. Giustamente infatti almeno all’inizio rifiutata dal popolo… ma i popolani “dovevano” diventare patrioti, per forza. E poi, accompagnati da lunghe campagne di indottrinamento, morire “eroicamente” nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.
Non c’è da stupirsi che, scendendo per li rami, gli invasati della Patria -figli del Risorgimento- riuscirono poi addirittura ad inventarsi un orgoglio italico tutto laico, mettendo tra parentesi i secoli cristiani (come fossero stati un incidente, una vergognosa debolezza) e scegliendo infine di riscoprire le glorie e i fasti dell’Impero Romano: ecco la radice del fascismo.
Certo, parliamo di una evoluzione complessa e non si può ridurre sbrigativamente il discorso ad un’invettiva di due righe, ma al fondo la componente più importante, ritengo, di una storia d’Italia nata male e proseguita peggio… di un’Italia che odia sé stessa ed è stata tentata dall’autoritarismo… è questa finzione a fin di bene: l’Unificazione come feticcio simbolico che copre tante vergogne e soprusi, e che ha dato ai pochi ammanicati e col pelo sullo stomaco il privilegio di guidare e vessare i tanti: i sudditi.

No, non ci guadagniamo niente, a rivangare quelle storie come se fossero un patrimonio ed un orgoglio nazionale. Non deve venire da lì la nostra identità.

Dunque, paradossalmente, i glutei della statua visibili in trasparenza sono la cosa più sana ed autentica di tutta questa vicenda.

Ammettiamo anche che lo stile di questa scultura sia un po’ fuori luogo… ma mai fuori luogo quanto l’idea stessa della statua celebrativa dell’ennesima storia di cartapesta risorgimentale!

 

Forma ed arte.

Poi, quanto al realismo: siamo seri, la foggia dell’abito? Dettagli. Quando mai, nella storia dell’arte, ci si è preoccupati della correttezza filologica ed iconografica? L’artista parla normalmente la lingua della propria epoca; perlomeno, se vuole.

La bellezza burrosa delle dame ottocentesche? Ma se era una popolana! Credete che non esistessero le persone magre, specie tra chi faceva vita sana all’aria aperta e non mangiava certamente troppo?

E’ una donna idealizzata. O forse la Libertà che Guida il Popolo di Delacroix (in battaglia, con la bandiera di Francia, a seno nudo) era criticabile perché poco realistica e perché spostava l’attenzione, scivolando sull’erotismo?
Del resto in molti hanno condiviso online, nei giorni in cui infuriava la polemica e in cui scriveva la stessa Savatteri, la Spigolatrice di Francesco Hayez, del 1853: anch’essa a seno nudo, ed è pure lo stesso soggetto di cui qui si tratta!

 

Il decorum.

L’ultima volta che ho sentito parlare di decoro, in quest’epoca sguaiata, è stato in occasione dell’omicidio di stato di Eluana Englaro
Sì, va bene, OK, il decorum di cui parla la Savattieri è un’altra cosa. Ma la radice è la stessa (50 anni fa avrebbero parlato sprezzantemente di valori borghesi): tenere conto delle apparenze, dell’opportunità in relazione al contesto.  Il mio vecchio parroco avrebbe parlato (per criticarlo) di rispetto umano, io parlo di soggezione ai dettami della moda, per non smuovere troppo le acque. Più dignitoso, decoroso, rimanere nello sciapo.

 

Vogliamo valutare la forma opportuna, dunque, specie in relazione alla situazione concreta.
Abbiamo tre aspetti da considerare:
a) è un’opera che rispecchia correttamente il soggetto?
b) Questa statua è adeguata all’uso, ovvero celebrativa sulla pubblica piazza?
c) Il valore artistico.

Sinceramente sul punto c al momento sorvolerei. Per carità di patria, si potrebbe scegliere di stendere un velo pietoso sul valore artistico di quasi tutto quello che viene prodotto da un bel po’ di anni, o ancora meglio, mettere in discussione l’idea stessa di arte, visto quel che dimostra di essere diventata.
Ma diciamolo: un monumento in piazza rappresenta per la scultura l’equivalente di quella che è nel mondo della musica la banda musicale, zumpa zumpa zum zum.
Quand’è stata l’ultima volta che avete visto mezza Italia, inclusi i critici e gli esperti, commentare una marcetta suonata da una banda per le vie di una cittadina? Ecco. Si fanno storie sul valore artistico ma è un pretesto, siamo seri.
Comunque come opera d’arte in sé trovo difficile pensare ad una vera critica, visto oltretutto il livello medio.

Rispetto al soggetto, e siamo al punto a, la Savattieri ci parla di “una donna coraggiosa, anticonvenzionale” che non sarebbe rispecchiata da quella “immagine da pin up”. Ma insomma… OK criticare la superba noncuranza dell’autore che non si è posto il problema. Ma realizza una statua che deve, nell’intenzione, trascendere dal contesto e diventare un simbolo immediato, per ogni pubblico. La donna idealizzata, che piaccia o no, ha una sua femminilità ben marcata. L’altro protagonista di questa statua è il vento che scompiglia i vestiti; ecco, forse l’intuizione più felice dello scultore, perché l’immaginaria spigolatrice non possiamo che figurarcela così, vestita leggera, che cammina su di un pianoro che si affaccia sul mare, e vede improvvisamente la nave dei volontari “patrioti”: la presenza del forte vento ci riporta a quello sguardo da lontano.

No, decisamente siamo alla polemica pretestuosa.

Infine, e qui troviamo il fulcro della vicenda, ecco il punto b.
Va bene una statua che esprima una certa sensualità, se è intesa per essere esposta sulla pubblica piazza?

I nuovi braghettoni delle post-sessantottine.

La stessa area politica, e (se non per ragioni anagrafiche) tutto sommato le stesse persone, che ci hanno imposto per decenni una sessualizzazione estrema di tutto, che hanno reso la donna un oggetto nel nome dell’emanciparla… da un po’ di tempo, prima gradualmente e poi improvvisamente, hanno fatto tutto il giro come le lancette dell’orologio e ripartono dall’estremo opposto. Vogliono imporci costumi morigerati e iconografie grigiamente neutre.
Non virtù, non donne caste, sia mai! Ma femminilità tamponate, nascoste, protette dagli sguardi.
Anche le statue devono vestirsi bene, sennò prendono freddo, sotto i gelidi sguardi degli avanzi di maschi pervertiti e oppressori.

Neutralizzare, cioè rendere neutro, lo scandalo dell’identità sessuata umana, delle forme che non a caso esistono, a livello di specie umana, per essere notate anche sotto i vestiti.

Una straordinaria convergenza con l’islamismo che avanza. Per ora, vengono bene le occasioni in cui coprire statue in occasione di visite ufficiali di rappresentanti di repubbliche islamiche. Ma si sa che l’appetito vien mangiando.

Ci hanno abituato a donne mezze nude nei cartelloni pubblicitari, e guai a chi osava protestare timidamente.
Ora accade il contrario. “Contrordine compagni!” per citare Guareschi.

E non solo la seminudità: un sacco di altre immagini e tematiche “offendono” la sensibilità di qualcuno, e devono essere rimosse d’autorità. A partire da qualunque messaggio contro l’aborto: quello proprio è un tabù radicale. La censura nel nome della libertà.

No, non venitemi a parlare di immagini non opportune per la pubblica piazza, perché abbiamo tutti un disperato bisogno di uscire dalla nostra comfort zone, dalla nostra bolla, e confrontarci con visioni, idee, iconografie, costumi e convinzioni distanti dalle nostre.

 

Lasciatemi un momento fare il benaltrista.

Faccio sommessamente notare che, fuori dai soliti circoli di impresentabili ultracattolici, ben pochi sembrano invece protestare per scempi come questo:

Ove la tematica satanista dovrebbe come minimo far alzare il sopracciglio a più di un non-cristiano, atei compresi. E di per sé la qualità stessa dell’opera è oscenamente dozzinale, degna di una Disneyland dall’altra parte dello specchio.

 

Vogliamo invece parlare di questa sorta di Padre Pio-Uforobot?
Chi mai potrebbe anche per un momento trovare qualcosa di appropriato in uno scempio del genere?

Pensate, onestamente, cosa avrebbe potuto dire San Pio da Pietralcina, con la sua visione del mondo, di questo “onore” tributatogli.

L’arte moderna scandalizza solo quando va contro la moda del momento.
Quando dissacra involontariamente, per limiti mentali dell’artista, tutto bene (e qui rientra un campionario infinito di scempi architettonici spacciati come chiese, inclusa quella di S.Giovanni Rotondo).

Se l’artista dissacra di proposito, meglio ancora…

 

Conclusione: guardiamo a ciò che conta.

Una statua come quella presentata in apertura potrà essere marginalmente provocatoria e discutibile, ma le critiche eccessive che le sono state mosse non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle che avrebbe meritato, e non da oggi, la poesia sulla Spigolatrice di Sapri del poeta Luigi Mercantini: quello è veleno ideologico, quella è mistificazione. Conservo memoria dei giorni in cui alla scuola elementare, nella classe di mio fratello, fecero imparare, studiare, commentare quel pezzo di propaganda in rima. Ancora me lo ricordo, il tipo di impressione che avevano fatto su di lui, bambino, “Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!“. Ecco, un impatto memorabile, eppure io non ero neanche direttamente coinvolto!

Questi sono i problemi che dobbiamo affrontare. L’iconografia, l’immaginario plasmati da narrazioni false e tendenziose. Altro che statue col fisico da pin-up.

La storia dello sbarco a Sapri è giusto che invece venga ricordata per quello che era: un tentativo da parte di invasati agitatori di costruire l’Italia nella maniera peggiore (come poi più o meno venne fatto da loro consimili): con ogni espediente, compreso il liberare galeotti (quasi tutti delinquenti comuni) da una prigione per poi sbarcarli a Sapri ad inscenare una sommossa popolare, e poi da lì sperare di appiccare un incendio patriottico che coinvolgesse tutto il Sud…
La feccia, come strumento utile per fare le rivoluzioni. Massacrati da contadini che certo non guardavano per il sottile, ma avevano capito due o tre cose in più rispetto ai buoni studenti esaltati dalla moda del patriottismo, spugne imbevute di idee nuove e false.
Ancora siamo qui, a cercare di lottare in nome del buonsenso della gente normale, contro le sofisticherie degli studiati che ci dicono cosa dobbiamo approvare e cosa no.

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