Pseudo-omelie 13 – Ascende al… Cielo

ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO A)

Eccoci al momento in cui Gesù Cristo saluta i suoi e ascende al Cielo. In questo caso particolarissimo avviene un’anomala inversione: la Prima Lettura prende il ruolo centrale, con una narrazione che parla direttamente di Cristo; il Vangelo rimane in un ruolo di supporto, ed è una sorta di appendice scarna.

Sembra che seguano due narrative contrastanti: per la prima, dal Vangelo secondo Matteo, gli Undici Apostoli sono inviati in Galilea, dove finalmente incontrano di nuovo il Maestro. Invece Luca (o chi per lui) fa un’eccezione alla logica interna del suo libro, ed apre gli Atti degli Apostoli con un episodio che coinvolge ancora Gesù stesso, che addirittura dice loro di non abbandonare Gerusalemme (altro che recarsi in Galilea!) e che poi esce di scena tra le nubi, in alto, in una maniera che, per qualche ingenuotto moderno con molta fantasia, potrebbe ricordare un alieno che viene portato via da un’astronave con un raggio traente…
Rimando in gran parte a quanto già detto in puntate precedenti riguardo alle discrepanze, sulla verosimiglianza: è un discorso difficile e qui non sono all’altezza di affrontarlo, ma la motivazione degli Apostoli e dei primi cristiani è ampiamente dimostrata dalla propensione al martirio, mentre le differenze nei diversi racconti provano oltre ogni dubbio che nessuno aveva il potere o la volontà di cambiare i racconti per armonizzarli tra loro.

Dato che mi sfugge sia l’importanza narrativa di un recarsi in Galilea per una sorta di appuntamento con Gesù, sia al contrario del rimanere a Gerusalemme, sono portato a credere che nessuna delle due circostanze sia a priori accusabile di essere un’invenzione funzionale ad uno scopo, ma rispecchino semplicemente un frammento di una serie di vicende più complesse, riportate magari in maniera non del tutto precisa, e poi presentate con accenti posti su aspetti distinti, apparentemente contrastanti. Nell’arco di 40 giorni, che è ragionevole per molte ragioni, possono esserci più spostamenti ed incontri. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che la storia non è del tutto lineare, senza farci cogliere impreparati una volta messi di fronte agli scarni resoconti di quei giorni sconvolgenti.

Permettetemi però, una volta evidenziata l’anomalia del rapporto tra Prima e Vangelo, di passare ad altro.

In mezzo, come Seconda Lettura, troviamo un brano della lettera di Paolo agli Efesini che dimostra molto bene con il suo stile particolare, anche ad un lettore non specialista, che non si tratta di esortazioni estemporanee o dottrine personali: tutto sembra riportare ad una catechesi già ben consolidata. Paolo attinge a formule preesistenti, che seguono uno stile rabbinico che facilita la memorizzazione. Ha una musicalità, una forma quasi poetica, tanto che ad un certo punto nelle edizioni moderne i versetti vengono spezzati mandandoli a capo per renderne meglio il ritmo incalzante. Sentite ad esempio:

quale speranza,

quale tesoro,

quale grandezza.

Niente di trascendentale, ma c’è del metodo.

 

Questo brano ci parla della Gloria di Cristo,

che il Padre ha posto sopra ogni potenza e sopra ogni nome, passato e futuro. Al vertice non solo di ciò che è, ma anche di ciò che dovrebbe essere: in lui si trova il pieno compimento di tutto.

Pensateci! Di tutto! Facile a recitarsi nel contesto di una celebrazione religiosa; si va di conserva, si è tra persone che accettano volentieri le affermazioni roboanti delle Scritture senza neanche farci troppo caso: come un visitatore di cantine ed enoteche che non prova alcuna sorpresa, né tantomeno fastidio, l’ennesima volta che sente parlare di tannini, sentore di frutti rossi, mineralità.
“Lo ha posto alla sua destra”… e uno pensa: “Sì, sì, questa l’ho sentita tante volte!”

Ma tutt’altra cosa è prendere sul serio queste parole, fino in fondo, per l’uomo moderno.

L’intero Universo ha in questo -che appariva poco prima della Risurrezione solo come un uomo- il suo fulcro, il centro di tutto, il senso di tutto.

 

Per noi oggi, dopo un cammino di crescita culturale tutt’altro che banale, sviluppato all’ombra del Vangelo degli ultimi, non è magari difficile trovare in Cristo il senso della vita di Alfio Bardini di Crescenzuola di Sotto, morto di setticemia nel maggio del 1896, presto dimenticato persino dai parenti. E ci troviamo un senso ed un conforto anche per il tuo vicino di casa che non sa come riaggiustare una famiglia in pezzi.
Con Gesù, Dio si è chinato su di noi ed è sorprendentemente arrivato a farci davvero sentire vicini.

Molto più difficile vedere in un crocifisso di 2000 anni fa, forse -dicono- risorto, il fulcro ed il senso di una realtà fatta, come minimo, di centinaia di miliardi di galassie, con ciascuna centinaia di miliardi di stelle, che esiste per miliardi di anni (e che potrebbe essere parte di qualcosa di molto più grande, per soprammercato).

 

L’Ascensione.

Abbandona il nostro piccolo ed insignificante pianeta, e vola in Cielo, dal Padre, il Creatore di tutte le cose, visibili ed invisibili.

Lo stesso cielo che la volgarità intellettuale del Partito Comunista Sovietico volle ridimensionare, facendo dire a Yuri Gagarin che andando nello Spazio non aveva incontrato proprio alcun dio (va detto che Gagarin stesso non vedeva le cose in questo modo).
Abbiamo un libro che ci parla di Gesù che sale in alto, e una nube lo sottrae allo sguardo, per avere un’uscita di scena ad effetto.
Possiamo cominciare a guardarlo come un modo del tutto ragionevole di rappresentare la situazione (il distacco di Gesù, verso una dimensione incommensurabile) all’uomo del suo tempo, senza che questo significhi la nostra fede si basi su concetti pateticamente prescientifici.
Nel momento in cui la gente inizia a ragionare diversamente, infatti, ci può essere uno scollamento tra il valore del fenomeno religioso in sé ed il modo in cui viene raffigurato. Solo perché oggi sembra primitivo parlare di Gesù che sale in Cielo, questo non significa che questo racconto perda di valore.

Ormai non è raro trovare, anche da noi, gente che crede di aver “dimostrato” che la Fede non vale nulla perché ha scoperto “errori” nella Bibbia: come se noi stessi credessimo all’Arca di Noé che salva tutte le specie animali…
No, signori, la Bibbia non è scientificamente esatta, ma conta cioè che intende insegnarci: su quello non sbaglia. Partiamo da questo concetto basilare, e non ci impressionerà lo stile, o l’uso di dettagli scenici o parole scientificamente non valide.

Certo, fa comunque strano mettersi a contemplare Gesù Cristo che abbandona… il nostro pianeta (in realtà, questo universo).

 

Come credenti dobbiamo essere consapevoli che una delle sfide del domani è proprio questa. Ricuperare questa dimensione locale (penso ad esempio ad una critica da parte di Richard Feynman) dell’incarnazione, se vista guardando all’Universo.

Incarnazione che spiazza, per come Dio scende al nostro livello.
Ricuperarla ad un mondo osservato, che non ha più 4 angoli ed una volta di stelle fisse, ma è spaventosamente sconfinato, e ci annichilisce nella nostra insignificanza.

Il primo passo consiste nel non vedere in Gesù solo un personaggio a misura della nostra mente ed immaginazione, ma riportare la nostra comprensione di lui a quella più sostanziale: Dio, ben oltre la dimensione visibile. Probabilmente incarnatosi in altri contesti lontani dal nostro, per altre storie di salvezza.

Pensare a queste cose ti dà un senso di smarrimento notevole. Anche la storia di Gesù, che si è compromesso nello scendere al nostro livello, sembra così vertiginosamente schiacciata dalla dimensione delle galassie, dal numero di mondi abitati possibili…

Già da ragazzino mi trovai a riflettere su Giovanni 10, 16:

E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre

A me, già tanti anni fa, sembrava probabile che si trattasse di un riferimento (inimmaginabile, per l’evangelista) a incarnazioni su pianeti lontani. Nel tempo scoprii poi che Vittorio Messori, il grande scrittore che ho già citato come ispiratore (nel mio piccolissimo), aveva parlato proprio di questo in un suo libro (raccolta di articoli), La Sfida della Fede.

In quel libro Messori racconta di aver citato questo passaggio evangelico a Padre George V. Coyne, l’astronomo gesuita direttore della Specola Vaticana, durante un’intervista, suggerendo che quelle parole, se si scoprissero altri esseri intelligenti, si potrebbero illuminare di una nuova luce misteriosa. E pare che Padre Coyne, lo scienziato e sacerdote, ne rimanesse sorpreso, rispondendo che non ci aveva mai pensato.

Ecco, detto con tutto l’affetto e l’ammirazione di questo mondo, il più che benemerito, e spesso acutissimo, giornalista Messori, nel trattare quei concetti, ad esempio nel parlare del silenzio dei radiotelescopi sugli alieni (non abbiamo trovato ancora nessuno) e delle distanze (forse?) incolmabili, oso dire mostrasse un po’ troppo ottimismo, anzi proprio ingenuità.
Difficile dire se ci sono altre specie intelligenti, ma ce ne dovrebbero essere, seppur irraggiungibili nel tempo e nello spazio, numeri comunque molto, molto elevati se rapportati alle nostre aspettative e comfort zone.
Per questo, in contrasto con il trionfalismo del Nostro, che esalta la fecondità amorevole di un Dio che ha pensato una creazione ancor più vasta e meravigliosa di quel che credevamo… direi che, anzi, questo argomento sia evitato perché di fatto, tranne gli astronomi che si consolano col loro giocattolo scientifico, tutti gli altri lo trovino disturbante, anche senza tirare in ballo le convinzioni religiose.

 

La sfida principale della fede, a gioco lungo, passata la crisi attuale della Chiesa (che è la più grande, probabilmente, della Storia, quindi in effetti non molto adatta ad essere messa tra parentesi), sarà quella del confrontarsi col mondo nuovo, fatto di spazi sconfinati, probabili alieni, intelligenze artificiali, esseri umani ridimensionati in tutti i modi…

 

C’è molta fatica ad attraversare queste strade nuove: esserci, da credenti, da cristiani, da cattolici, senza sconti alla modernità, senza fughe rassicuranti verso il passato. Orgogliosi della profondità della propria fede, non disposti a negoziare su essa; e al contempo pronti ad espandere gli orizzonti, capire quali novità radicali richiedono lo sforzo di aggiornarsi in maniera sostanziale, nella nostra percezione dell’uomo e della società.

Dobbiamo continuare a guardare a Cristo. Che significa anche trovare un valore nelle nostre misere vite, come ha fatto lui. Senza rincorrere la tentazione di tirare i remi in barca e dire: adesso è tutto troppo difficile, ti prego, torna subito!

 

Gustave Doré - L'Ascension

L’Ascensione secondo l’interpretazione di Gustavo Doré

 

 

 

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