Pseudo-Omelie 22 – Il Seminatore II

A dire il vero volevo intitolarlo Il Seminatore II – La Vendetta.

Ma poi ho capito che queste battutine stupide era meglio proprio non farle.

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

In questo caso le letture ruotano attorno ad una parabola principale, che ancora una volta presenta Gesù come Seminatore, affiancata da brevi brani che esplicitano quanto Dio metta assieme l’essere giusto e l’essere misericordioso, e da due parabole brevissime.
Il Regno di Dio visto come un piccolo semino di senapa che diventa un albero grande, e ancora: il Regno, ovvero la Chiesa, come il lievito, che pur essendo poco fa crescere tutto l’impasto.

Ma veniamo appunto alla parabola principale. Presentata nella liturgia ad una settimana da quella che mi vien voglia di chiamare la puntata precedente (si trovano una di seguito all’altra nel Vangelo di Matteo), ha di nuovo come protagonista il Seminatore; e di nuovo Gesù deve spiegarla esplicitamente per fugare i dubbi.

Ma il confronto ci spiazza. La volta scorsa nella spiegazione avevo relegato Satana al ruolo di comparsa. Ora invece non appare solo come attore, ma come antagonista e anche autore. Lungi dall’essere indipendenti da lui, sembra che i cattivi (simboleggiati dalla pianta zizzania) che verranno bruciati come scarti nel fuoco eterno, siano proprio figli suoi: sono ciò che il maligno ha seminato.

Va bene, alla fine l’antagonista è sconfitto e il raccolto buono rimane. Ma che dire di quei disgraziati destinati al fuoco eterno?

 

Intanto una prima notizia.

Newsflash: l’Inferno esiste!

Questo per quei numerosi pochi che non vogliano crederci, o che assurdamente sostengono che debba “essere vuoto”. Come se Dio fosse uno di quei genitori moderni incapaci di far valere la propria autorità, che lanciano una minaccia intrinsecamente vuota, che tutti sanno non verrà mai messa in atto. Una buffonata. No, qui si parla esplicitamente di

fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti

Altro che storie!

Però c’è un altro aspetto dell’inferno che va sottolineato, e ci aiuta, come già dicevo la volta scorsa: proprio la presenza di Satana ci fa capire che non siamo noi gli autori ultimi del male. E in questo caso esplicitamente, dato che si tratta di semina: persino ciò che ci sembra più innato, inestirpabile, dentro di noi dalla nascita… Se è male, non siamo veramente noi, è invece un seme che viene dall’autore del male, dal primo ribelle.
E quindi possiamo trattarlo noi per primi come un’erbaccia da scartare, da cui allontanarci.

Ecco, direi che già questo concetto, se ce lo portiamo a casa, è un bel risultato, una cosa su cui continuare a riflettere. Vale il prezzo del biglietto.

Non so se avete presente quel meme di qualche tempo fa:

Dio esiste ma non sei tu, rilassati!

Ecco, con una piccola modifica credo che si possa dire, usando l’immagine di un meme ancora precedente:

Credo sia un concetto che vi tornerà molto utile anche se siete degli psicologi non credenti.
Noi non siamo gli autori del male, ma non siamo neanche la punizione. Non è in te, non è nella tua vita il gorgo scuro.

Se Dio ti ha creato, ed è un Dio di Amore, non puoi essere tu, proprio tu, personalmente, figlio in qualche modo del male, o causa del male, o identificato col male che hai dentro. E neanche è in te la punizione, il senso di essere sbagliato, il doverti fare del male. Anche le angosce più profonde vengono dall’esterno. Non ti punire. Cerca di liberarti dal male, come puoi, un passo alla volta. Il male è fuori, tu puoi essere sempre il grano che cresce e porta frutto.

La tua essenza è un dono di Dio, ed è buona; deve solo liberarsi anch’essa di queste scorie inquinanti.

Bene.

 

Ma torniamo al problema, che rimane.

Alcuni sarebbero predestinati ad andare all’inferno?
Addirittura, l’essere seminati da Satana sembrerebbe indicare il loro non essere nemmeno (!) figli di Dio…

Momento. Andiamo con ordine.
Notiamo che Gesù ci dice esplicitamente chi siano i mietitori: gli angeli che alla fine del mondo intervengono per attuare il volere di Dio, gettando nella fornace “gli scandali” e quelli che commettono iniquità, così attuando il Giudizio Finale.
Ma c’è una figura distinta dai mietitori, e sono i servitori.
Questi vorrebbero estirpare l’erbaccia fin da subito, senza aspettare il raccolto.
Anche se non ci viene spiegato, il riferimento è chiaro: sono i credenti che desiderino giudicare ed agire durante la vita della Chiesa, prima della fine, e quindi si sentano di decretare chi siano i buoni e i cattivi.
Gesù vieta di fare questo, perché fino alla fine non sapremmo distinguere il grano dalla zizzania.

Anche questo è un messaggio fondamentale: non giudicare!

Comunque la risposta non è ancora chiara: siamo solo noi, dalla nostra prospettiva limitata, a non sapere chi siano i prescelti e chi invece i destinati alla dannazione, oppure è una partita ancora da giocare, nella vita?

Sono proprio brani come questo che hanno ispirato leader protestanti, come per primo lo stesso Martin Lutero, ad infliggere ai loro seguaci la dottrina della predestinazione. Che ancora oggi dovrebbe essere parte della dottrina, se non altro, di Luterani e Calvinisti, e forse questo in parte spiega perché non si vedano tanti calvinisti in giro. E quanto ai luterani, forse sono troppo presi dal rincorrere l’ultima moda ideologica, per preoccuparsi dei contenuti della vecchia dottrina.

 

Libero Arbitrio vs. Protestanti

Eppure quella sarebbe la loro (allucinante) matrice. Scrive Lutero nel De Servo Arbitrio, contro la ragionevolezza di Erasmo da Rotterdam:

La volontà umana è stata posta nel mezzo, come una bestia da soma. Se la cavalca Dio, vuole e va dove Dio vuole … Se invece la cavalca Satana, vuole e va dove Satana vuole. E non è nella sua facoltà scegliere o cercarsi uno dei due cavalieri, bensì sono i cavalieri a combattersi l’un l’altro per ottenerla e possederla.

 

Quand’è stata l’ultima volta che avete sentito un predicatore protestante proclamare qualcosa tipo: “Convertitevi a Cristo, per dimostrare che eravate già stati creati per necessariamente, inesorabilmente farlo, e così godere della beatitudine eterna accanto a Dio. Se invece siete destinati alla dannazione, non c’è niente da fare: Dio nella sua saggezza ha deciso di crearvi al preciso scopo di sottoporvi ad orribili tormenti per l’eternità”?

È chiaro che per credere spontaneamente, senza indottrinamenti, ad una cosa del genere è necessario avere una personalità profondamente disturbata, come in effetti mi risulta fosse per Lutero.

Ma per una persona ragionevole, che ha acquisito alcuni punti fermi del senso di giustizia moderno (che è di matrice cristiana!) ed ha un discreto livello di conoscenza, la divaricazione non potrebbe essere più netta, e sicura: da una parte c’è la possibilità che esistano Dio, Gesù Cristo e libero arbitrio; dall’altra c’è l’ateismo e l’essere umano come computer che esegue passivamente le istruzioni di un programma software.
All’uomo completamente schiavo del destino oggi può credere solo chi non crede in Dio.
Perdonate se ora non sviluppo questo pensiero, che ha parecchio dietro. Se Dio vorrà, riuscirò in futuro a meglio svolgere questi concetti, magari in un libro.

Ma il punto, per ora, è questo: se sono programmato per uno scopo, tutto è già scritto ed io non posso farci nulla, niente ha senso. Se c’è invece una libertà umana, una capacità di agire in qualche modo autonomamente (fatti ad immagine di Dio!) allora il mio destino non è segnato, sono io a fare la mia parte, per scegliere cosa sarà di me.

Rivisto in quest’ottica, il passaggio diventa qualcosa di diverso: Gesù diceva che siamo predestinati, e dunque era un impostore e non è vero niente, oppure stava dicendo qualcosa d’altro?

In effetti abbiamo un’abbondanza di esempi, nel Vangelo, di una prospettiva diversa, checché ne dicano i riformati. Il richiamo alla conversione, i continui esempi di persone che cambiano vita scegliendo di fare il bene, di seguire Gesù: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa!” (Lc 19:10)…
Anche nelle parabole, pensate al fico infruttuoso (Lc 13,6–9): al peccatore impenitente viene offerta una nuova possibilità di pentirsi e cambiare, ancora una volta. Cosa che non avrebbe senso se non si potesse personalmente cambiare.

No, la spiegazione è un’altra.

 

I nostri soliti balbettii

Torna di nuovo utile la metafora della proiezione geometrica che ho utilizzato quando ho parlato della Trinità: vediamo la realtà da una prospettiva ridotta, limitata; possiamo semplificare il discorso riducendolo ad un suo aspetto, per capirci qualcosa. Certo, così comunque non riusciamo a vedere l’insieme, ma è il meglio che possiamo fare.
Proiezioni che evidenziano aspetti differenti ci sembrano incompatibili.

In questo caso la prospettiva è quella dell’eternità. Nella parabola in questione, il Seminatore vuole che i servitori separino grano e zizzania nel momento del raccolto: siamo al Giudizio Universale. Anche per noi, a quel punto, tutto è stato già scritto.
Ma agli occhi di Dio non c’è mai stato un futuro ancora da attuare, non ci sono sorprese. Crea gli uomini e di ciascuno non esiste il momento in cui “non sa ancora” se si salverà o meno.
Questo è un incastro difficile da comprendere, ma ci sta che, parallelamente:
– nella prospettiva inserita nel flusso del tempo, noi possiamo contribuire e cambiare le cose,
– nella visione dell’eternità, tutto è chiaro ed evidente, i cattivi sono i cattivi e i buoni sono i buoni; o stai nel grano, o stai nella zizzania.

 

Ma mi spingo ancora più oltre, nell’esplorare un concetto che credo i più evitino di approfondire perché appare incongruo, disturbante. Se sei cattivo, sei stato seminato da Satana, come la zizzania? E qui si torna al concetto: cosa esattamente viene buttato nell’inferno?
Gesù qui dice esplicitamente che verranno gettate due cose, come ho già scritto.
Gli scandali, e poi quelli che commettono iniquità.

Sui secondi ci sono pochi dubbi. Guardo le definizioni da un lessico biblico. Il termine usato è ἀνομία {an-om-ee’-ah}. Che si tratti di “violazioni della legge” oppure si tratti di “cose inique”, malvagie, siamo lì: i condannati sono gli autori di tali atti. Persone.
Ma gli scandali sono qualcosa di differente.

 

Cosa sono gli scandali?

Ecco, forse qui si può cogliere perché mi sono sentito di lanciarmi in questa sorta di impresa sui generis: non conosco il greco, e potrei prendere dei granchi (sarebbe bello ogni tanto essere messo in riga da un esegeta vero, tanto per toccarmi il tempo e non allargarmi troppo). Però mi sembra di riuscire a cogliere bene l’originale sottostante, come una radio ben sintonizzata: ho intuito un significato, e non appena ho controllato, ho trovato la conferma che era proprio così.
Qui abbiamo il plurale di σκάνδαλον {skan’-dal-on}, che significa trappola, pietra in cui si inciampa (che paradossalmente in altro contesto si applica a Gesù stesso), quindi ogni impedimento che causa la caduta. Ma anche una persona o una cosa a causa della quale uno rimane invischiato, intrappolato, spinto all’errore o al peccato.
Un ventaglio di significati, ben collegati tra loro, molto complesso. Ma ho voluto sottolineare nello specifico una persona o una cosa perché qui si gioca un po’ tutto, dell’interpretazione del passaggio. Ed infatti traduzioni diverse tendono ad indicare alternativamente l’una o l’altra. Anche qui vediamo quanto tradurre sia tradire: per capire il messaggio non possiamo limitarci a leggere una traduzione, che rispecchia una prospettiva di parte, una interpretazione imprecisa o tendenziosa.

 

Il mio approccio al testo è quello che rispetta la circostanza: mentre tipicamente un esegeta assume che qualunque difficoltà del testo indichi un limite del testo stesso, e di conseguenza una scarsa attendibilità, un aspetto molto umano che ti fa dubitare della veridicità della testimonianza, io provo a vedere se proprio il fatto che quelle parole ci siano giunte in un certo modo non significhi qualcosa.

Qui ritengo non sia un caso il trovarsi di fronte ad una ambiguità. Del resto, se non sei un esegeta ateo, per quale motivo dovresti pensare ad un caso? Può essere “un po’ come capita” lo strumento di un piano dell’Essere Onnipotente?

No. La mia interpretazione è questa: gli scandali non sono persone, sono tutte le cose che ci portano al male: i semi di Satana. Ma sono anche, inevitabilmente, quel male reso vero e presente dentro di noi. Sono “cose”, ma del tipo più intimamente confondibile con la persona stessa: sono in noi, e cambiano ciò che facciamo di noi.

 

Il succo del discorso.

Il Giudizio Finale comporta purificare, raccogliere il buono e gettare la pianta cattiva: queste sono le cose che si buttano. Ma subito dopo ci sono anche le persone che a queste cose cattive si sono legate, che hanno scelto di essere operatori di iniquità.
C’è un ordine di priorità: prima i semi del male, poi le persone che con questo male si sono identificate, che l’hanno vissuto.
Gli scandali non sono degli oggetti là fuori. Sono anche parte di noi. Bruciare queste erbacce significa anche una lacerazione interiore, per liberarci. E se uno dedica la sua vita al male, partendo malissimo e scendendo sempre più in basso, non sarà poi tanto facile distinguere e separare quella persona, potenzialmente chiamata alla beatitudine, da quel seme maligno che l’ha invasa e colonizzata in maniera pressoché completa.

 

Ancora sul tema della proiezione. Non dobbiamo pensare solo in termini di individui, perché non esiste solo quel piano, semplificato, su cui proiettiamo. Il raccolto è un bene comune; nel bene e nel male partecipiamo tutti.
La domanda giusta che ci dobbiamo porre non è “dove mi piazzo io personalmente, che posto mi è stato assegnato”, ma “come posso partecipare, dare frutto”.

Il senso alla fine è questo. La zizzania c’è. “Io non sono la zizzania” è tutto quello che devi pensare, mettendoci del tuo per essere grano buono. E allora non lo sarai, anche nella prospettiva eterna.

 

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