Persino io a volte sbaglio

Permettete la battuta finto-arrogante di un presuntuoso vero, ma con tutti i miei limiti nelle capacità di realizzare, diciamo che ho sviluppato una certa attitudine a capire come vanno le cose. Eppure non basta.

In questi giorni si fa un gran parlare di Don Milani, celebrato da una certa area politica cattolica, perché oggi ricorre il centenario della nascita.

Ecco, parecchi anni fa ne feci uno dei miei modelli a cui attingere ispirazione, da obiettore di coscienza, pur conoscendo ben poco della sua figura, come finalmente capisco oggi.

Sbagliai, e di brutto.

Credo sia utile cercare di ricostruire perché ne fui ingannato. Non per giustificarmi ma per capire.

La crisi della Chiesa, ancora alla fine del XX secolo non appariva così profonda e disturbante; certo sapevo bene delle magagne di modernismo e progressismo, ma c’era il tranquillo coraggio di Giovanni Paolo II che ti faceva pensare gli avversari non sarebbero mai arrivati in posizioni di comando e controllo; personalmente poi avevo incontrato solo esempi di preti integerrimi, brave persone dottrinalmente solide.

 

E quindi questo per me era prima di tutto un prete, tipicamente presentato in positivo; che fosse stato relegato nel paesino sperduto di Barbiana, per punizione, mi sembrava giustificato più da una rigidità dei superiori, e magari un suo carattere difficile, che da un suo reale remare contro, diventare un cattivo maestro per scelta ideologica.

Due fondamentalmente erano i temi su cui sembrava aver detto la sua, in maniera decisiva: la contestazione al servizio militare, e la contestazione alla scuola pubblica italiana.
Entrambi temi che mi toccavano, e sui quali il sistema contro cui si scagliava Don Milani era tutt’altro che esente da colpe.

 

La scuola

Don Milani sembra proporre un modello irrealizzabile, la scuoletta sui generis, pur sperduta sul cocuzzolo di una montagna, dove un insegnante dotato di carisma riesca, per passione e con conoscenze uniche, a tirare su una generazione di figli di contadini, improvvisamente capaci di farsi valere nel mondo: gente che finalmente ha studiato, e non è stata tenuta a bada, al suo posto, da una scuola classista, ingessata, dove le opportunità erano poche e i pregiudizi da vecchio conservatore tanti.

Eh, insomma, nella critica c’è del vero. Ma a parte l’esperimento irripetibile di Barbiana dove Don Milani insegna di persona, non c’è nulla di applicabile, rimane solo una protesta velleitaria.

Certamente il mondo stava cambiando tanto, e ancora doveva farlo. Svecchiare però è difficile; al cambiamento prevale la rivoluzione. Bene ma bene che vada, va tutto in vacca.

Cito, da una Lettera ai giudici di cui fino a poco fa non ricordavo l’esistenza:

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. ‘Me ne importa, mi sta a cuore’. E il contrario esatto del motto fascista ‘Me ne frego’.

Ecco, questa cosa della scritta  I care, sì mi era nota: milaniana, una forza positiva.
Come dargli torto?

Dove però la critica sembra datata, dico da 1000 miglia di distanza senza aver approfondito abbastanza (non ho letto tutto il libro Lettera ad una Professoressa, credo solo ampi stralci anni fa), è nella piega, inevitabile, di lotta di classe che prende tutto il discorso: la scuola che fa avanzare i figli dei ricchi, e lascia a piedi i figli del popolo. E’ già una polemica lontana, ormai priva di senso: i proletari non esistono da 50 anni almeno, la Rivoluzione si è spostata su altri temi (ci sono eh, gli happy few e i poveracci… ma oggi sono categorie differenti).
Ma appunto di rivoluzione si tratta: per quanto imperfetto, il “sistema” invece va avanti perché ha creato ordine. I grandi riformatori, i grandi santi creatori di congregazioni dedite all’educazione, non si scagliavano contro la struttura della società: al contrario, creavano isole di ordine. Fai il tuo dove puoi.
Se invece vuoi rovesciare le ingiustizie, semplicemente darai sfogo al caos, poi le sostituirai con altre ingiustizie. Non si costruisce direttamente in grande, e questa osservazione è ancor più sorprendente da fare se rivolta ad un sacerdote che, con la velleità di farsi leggere da torme di insegnanti e studiosi universitari, come avvenne, però lavorava davvero solo sul piccolo!
E’ appunto qui il busillis: non si può insegnare al mondo, partendo dall’eccezione.

 

Io vivevo un grosso disagio rispetto al mondo della scuola, che mi aveva lasciato a piedi, dal mio punto di vista, proponendomi, nel corso degli anni 80, un percorso di studi che era un mero parcheggio. Portare avanti una aurea mediocrità, cercando di elevare per quanto possibile i tanti che stavano sotto alla media, dedicando tutte le attenzioni a loro, e trattando quasi con fastidio i più dotati, comunque vezzeggiandoli e facendoli dormire sugli allori dei buoni voti facili, ma senza stimolarli e dare loro obiettivi impegnativi, per farli crescere veramente.
Credo di non essere stato affatto un’eccezione in questo: sono arrivato all’università senza aver mai dovuto veramente studiare, comunque con buoni voti…
Quindi senza essermi impegnato, senza aver imparato a prendere uno straccio di appunti, solo confidando in una buona memoria, capacità logica, intuizione, ripasso dell’ultimo minuto.

Non voglio cercare scusanti al mio percorso universitario interrotto, ma se un bambino lo formi per anni ed anni a non trovare né stimoli né compiti che spingano a fare di più, non è strano che arrivi all’età adulta senza sapersi gestire nello studio, e senza aver sviluppato appieno le proprie capacità.

Ecco, questa scuola che ho sperimentato è la scuola schifosamente statale, rigida, conformista, ottusa, dove sei un numero.
Mi sembrava che fosse la scuola contro cui si scagliava Don Milani, ed in parte in effetti lo era: questo strano prete sembra a tratti magnificare una scuola privata, in cui chi insegna ha una vocazione vera (l’ideale: un prete) o anche un home schooling (e di nuovo: come dargli torto?)

Ma le cose non funzionano così. Se ti scagli contro il sistema fornisci un’occasione di rivoluzione, che non significa ricostruire meglio, anzi!
La lotta generica e senza un possibile sbocco di questo prete ribelle si trasforma nell’occasione del prendere sul serio solo alcune istanze distruttive del suo percorso: no ai voti e alle bocciature, politicizzazione in salsa sessantottina, abuso di retorica (post-)marxista; no, in fondo, alla meritocrazia.
Questi sono gli effetti veri.
La scuola contro cui mi scagliavo non era la nemica di Don Milani. Era una sua figlia. Magari illegittima, ma lo era.
Qui il primo sbaglio.

 

Il pacifismo

Credo senza false modestie di essermi sentito pacifista fin da bambino, cercando realmente di sperimentare la nonviolenza, e pagandone le conseguenze, nel piccolo mondo del bullismo tra ragazzini.
Per me il pacifismo è sempre stato quello di chi paga in prima persona: un San Massimiliano Kolbe, per esempio. Uno che non le mandava a dire, uno spirito battagliero, virile; che però al momento opportuno è disposto, come novello Cristo, a lasciarsi uccidere, come vittima designata dai malvagi, al posto di un altro poverocristo, che così si salva.
Non ho mai invece amato (anche se ho iniziato a conoscerlo meglio solo in seguito) il pacifismo peloso, velleitario, dei moderni contestatori da tastiera, che riassumerei nel motto “non armiamoci, e partite!”

 

Schifato peraltro dal tipo di paesaggio umano che sentivo costituire il mondo dell’esercito italiano, specie nei comodi dintorni della gestione della truppa di leva.
Per me essere obiettore di coscienza è stata una scelta naturale. Considerate anche che vivevamo in un mondo fondamentalmente in pace, tranne focolai lontani che ci apparivano incomprensibili; ma costantemente sotto la minaccia di una possibile ecatombe nucleare: la guerra come l’assurdo finale, una minaccia incontrollabile in cui entrambe le parti sono certe di soccombere.
E qui trovavo un perfetto maestro in Don Milani, anche grazie agli echi del mondo del Servizio Civile che aveva pur bisogno di eroi alternativi da proporre.

Ecco dunque il nostro priore di Barbiana prendersela con dei cappellani militari che si erano espressi contro l’obiezione di coscienza (un’insulto alla Patria, scrissero!), urlando invece, tra le altre cose:

 

[…] dovrete spiegarci chi difese più la Patria e l’onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici.

Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L’obbedienza a ogni costo? E se l’ordine era il bombardamento dei civili, un’azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l’esecuzione sommaria dei partigiani, l’uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l’esecuzione d’ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l’ordine d’un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari? Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto.

Quel testo, in mezzo a passaggi discutibili, ingenuità e tirate ideologiche sul popolo (sottinteso: dessinistra) contro i padroni, ha molti passaggi pungenti, importanti, che colgono nel segno. Dichiarano e facilitano una presa di coscienza su temi scottanti. L’uomo non può essere un soldatino, una macchina che esegue ordini.

Ma forse il passaggio che meglio rende il pensiero è quello che segue, credo il più famoso di Don Milani. Testo che per tanti anni tenni appeso nella mia cameretta, e solo ora scopro che è anch’esso tratta dalla Lettera ai giudici:

Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denominatore. Un rimorso ridotto a millesimi non toglie il sonno all’uomo d’oggi. E così siamo giunti a quest’assurdo che l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.

Non deve stupire che su testi del genere si tengano convegni, mentre siano andate dimenticate intere produzioni letterarie sintonizzate solo sull’oggi e sulle mode.
Qui si toccano parecchi dilemmi esistenziali, da quelli storici, del fine che giustifica i mezzi, a quelli nuovi: trovarsi ad avere una responsabilità piccolissima in un atto distruttivo colossale, inimmaginabile.

 

Eppure anche quella pagina storica risente delle mode. Il pacifismo di Don Milani, come scoprii poi, non era del tutto cristiano, né del tutto neutrale. E del resto, anche qui come per la scuola, siamo nel campo dell’impossibile: bene avere più consapevolezza, ma nell’atto pratico come la spendi? Cosa insegni? Come impedisci che le tue critiche generino l’effetto opposto a quello desiderato?
E soprattutto: che senso ha far desistere gli uomini di buona volontà dal prepararsi alla difesa, se nel frattempo hai la certezza che invece i peggiori non ti ascolteranno, e anzi si stanno organizzando per approfittare di quel mondo civilizzato che i critici sofisticati come te hanno contribuito a rendere fiacco e debole?

Solo un esempio: mentre da noi anche un maschio palestrato, che ancora tiene ad avere un look imponente, in media non oserebbe dare un calcio ad un gatto, in molte realtà islamiche i bambini vengono abituati fin da tenerissima età a sgozzare capretti, prima finti e poi veri, e in certi casi facendo ben capire loro che un giorno potranno fare la stessa cosa su persone, su “infedeli”, che è cosa buona e non poi tanto difficile, una volta imparato il gesto…

No, la mitezza intesa come abitudine ad evitare il conflitto, non può essere la base di una civiltà avanzata. Il pacifista deve essere prima di tutto forte: lo insegnava anche Gandhi. Se sei nonviolento perché non potresti fare altrimenti, non sei nonviolento, sei semplicemente uno sprovveduto. Come sta diventando l’Occidente, e l’Europa specialmente.

 

E poi… No, l’obbedienza davvero non è una virtù. Ma neanche si può far passare la disobbedienza per coraggio ed eroismo. Specialmente quando consiste nel disobbedire solo ad alcuni, all’ordine costituito di un tempo, per andare dietro a nuove, più incontrollabili, obbedienze. Oggi non si disobbedisce più che in passato; si obbedisce però a maestri di caos, a follie alla moda, per paura del controllo sociale, del giudizio degli altri, proprio come un tempo.
Tutto questo ribellismo non ha prodotto libertà, ma instabilità, debolezza e forme più subdole di controllo sociale.
Controllo che ora però è in mano ai peggiori, a quelli che hanno distrutto.

Per inciso: anche nella Chiesa tanti dovrebbero imparare che l’obbedienza in sé NON è una virtù, altro che azzerbinarsi perinde ac cadaver per servire il prelato più potente del momento. Ma anche e soprattutto nella Chiesa Cattolica, drammaticamente, il vero problema dell’obbedienza è che si obbedisce oggi, senza poter discutere, ai disobbedienti di ieri!

Dai loro frutti

A posteriori di Don Milani non sento che parlare male, se a parlare è una persona degna di stima, che sa di quello di cui sta parlando. E questo vuol dire qualcosa.
In effetti osservo critiche provenienti soprattutto da testate per pochi, come il raffinato ed inaspettato il Covile, o altre mai sentite prima, il che però non è necessariamente un male: molto meglio il reportage da parte di persone che scrivono con dedizione, passione, di qualcosa che hanno studiato a fondo, piuttosto che il pezzo generalista di una testata “autorevole”, dove nessuno ha né le conoscenze, né la voglia di fare un minimo di ricerca, di capire di cosa stiano parlando (per tacer dei bias editoriali).
E quindi leggo a questo link una critica molto precisa e puntuale da parte di Pier Luigi Tossani e Pucci Cipriani (che non conoscevo). Questa critica mette in evidenza, tra l’altro, la natura prettamente politica, di lotta di classe con la testardaggine di un mulo: al potenziale rivoluzionario proletario, Milani scrive:

Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione.

e non è l’unico pezzo citato in cui giustifica, nero su bianco, la morte e distruzione in nome della Rivoluzione!
C’è un altro risvolto che in questo caso viene portato all’attenzione dell’attonito lettore, ovvero le pulsioni omosessuali e/o pedofile, a cui in qualche occasione Don Milani fa riferimento, verso i propri stessi allievi.
Ecco, su questo commenterei così…
Proprio questa assurda, urticante maniera di esprimersi senza ritegno, peraltro in un’epoca in cui i più audaci erano felpati e parlavano per eufemismi, non può da un lato non aver avuto effetti negativi, ma nello stesso tempo rispecchia una orgogliosa capacità, ostentata, di superare queste stesse pulsioni, senza caderne vittima. Epperò, se in un’epoca del genere ne parla, vuol dire che c’erano pure quelle.

Questo altro link prezioso ci parla dell’orribile storia del Forteto, a cui ho già accennato in passato parlando dello scandalo di Bibbiano: ci sono collegamenti sotterranei tra le due vicende.
Per quanto sia disturbante ammetterlo, è nel clima culturale, nelle iniziative di qualche ex allievo, nell’area politica di riferimento che ha trovato in Barbiana un faro, che si sono potute svolgere le turpitudini del Forteto, e soprattutto le coperture omertose della sinistra dei migliori; ivi inclusa la sinistra DC.
Addirittura scopri che il mostro-santone Fiesoli, che neanche ci provava a presentarsi (magari pro forma) come cristiano, aveva le chiavi di Barbiana.

Sono queste esperienze pastorali ed educative di Don Lorenzo, animate da tanti begli ideali (ma confusi), che hanno portato giù per li rami ad una comunità Forteto fatta di sfruttamento ed abusi su minori, sistematici, con violenze fisiche, psicologiche e sessuali, coperte per decenni da giudici, politici, intellettuali, giornalisti…
Il mondo nuovo: al Forteto la pedofilia e l’imporre esperienze omosessuali, viste come intrinsecamente superiori, erano segni di un cambiamento.

 

Sembra incredibile dover discutere di cose simili. Specialmente considerando le buone intenzioni di molti, in partenza.
Eppure… Chi insegna male non è direttamente responsabile degli errori ed orrori dei propri allievi, però…
La radice del problema rimane: pur tra molte intuizioni interessanti, Don Lorenzo, a cui davvero non mi sento di volere male, ha portato molti sulla strada sbagliata.
Perché, in fin dei conti, molto più dell’avere qualche idea fulminante, conta inserire i propri pensieri, e soprattutto le proprie azioni, in un quadro che funzioni; ordinatamente, senza esporsi alle quasi inevitabili derive. Un quadro che si basi su di una realtà più grande e complessa della nostra povera immaginazione: che è un po’ il contrario del buttare tutto all’aria perché si crede di aver capito improvvisamente tutto.

A non capire subito questo, siamo stati in molti.

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