I Grammar Nazi de Noantri, latino contro inglese

Ciclicamente mi si ripropone, con pedanteria, un contenuto come questo, in forma più o meno costante:

meme contro le pronunce di parole "all'inglese", che sostiene invece le pronunce "alla latina"

Notare in penultima riga “…e che”: fanno i professorini e non sanno scrivere, o meglio: rileggere…

Sigh. Vediamo di dare una risposta, sperando che sia una volta per tutte. Tanto non capiranno mai, ma almeno in futuro col solo fornire un link a questa stessa pagina potrò zittire un momento la mia coscienza ferita, convincendomi di aver risposto.

Sono storie che valgono poco perché verranno superate dai fatti: il punto è che oggi l’inglese è predominante e lo sarà sempre di più.
Parentesi: sconvolgimenti di vario tipo possono invertire questo trend di globalizzazione, ma a quel punto, che uno si trovi a vivere in un futuro confinato in una specie di zoo per umani dal basso QI, ormai passivi e privi di interessi, tanto da non avere rapporti con chi parla lingue diverse; o che si ritrovi schiacciato, conquistato, a parlare dialetti arabi o qualche nuova lingua mista, pidgin, il diavolo che sia… In tutti questi scenari, ci sono molti avvenimenti importanti di cui preoccuparsi, per non dire tragedie, e la lingua, che solo e semplicemente cambia, diventa un dettaglio insignificante. Quindi nel seguito parleremo solo dello scenario a portata di mano.

Per come stanno oggi le cose, è normale vedere l’inglese trionfare. Chi, come me, si ritrova a masticare due lingue, per lavoro e per ogni altra attività, non può fare a meno di usare entrambe. Cerca anzi spontaneamente la compagnia di altri che condividano queste conoscenze, per comunicare in maniera creativa, mescolando, reinventando, approfittando della ricchezza espressiva di entrambe le lingue (e magari anche di altre ancora: mi diverto ad inserire nel mio parlare di tutti i giorni anche il genovese ed altre lingue ancora, di cui pure so poco). Per dire, se posso (se non ho fretta) per comunicare con mia moglie non dico “adesso”, dico “Mo’ now oua”!
No, decisamente la lingua è uno strumento versatile, aperto alle contaminazioni e alle personalizzazioni, non è un tristo guazzabuglio di paletti e regolette, un universo chiuso in sé stesso, da difendere contro l’impurità.
E chi credete fornisca conversazioni più stimolanti, uno che, pur se italiano, capisce al volo l’invenzione estemporanea, che lessi una volta: “You cannot outnintendo Nintendo!” oppure uno che si lamenta: “Signora mia, certa gente! Ah, come non sopporto quando dicono attimino… che ignoranza, che volgarità!”

Se vi occupate di argomenti importanti, di cose interessanti, l’inglese lo vivete e lo apprezzate. Provate a fare ricerca scientifica andando a correggere i colleghi ogni volta che usano un termine inglese potendo invece, eventualmente, sostituirlo con un analogo italiano…
No, davvero, qui si tocca con mano la consapevolezza di chi non si balocca solo con libri polverosi: è una battaglia persa, di troppi termini una traduzione italiana adeguata non esiste o non si usa.

E sì, a me spiace anche la scomparsa del genovese, figuriamoci se non mi dispiace la marginalizzazione dell’italiano… Ma così è: non si può pretendere di negare una trasformazione in atto, semplicemente moltiplicando gli sforzi per insegnare agli altri come dovrebbero (!) parlare.
Si tratta di un esercizio pedante, antipatico, che non porta da nessuna parte.

 

Allora, come italiano, scherzando, posso persino partecipare allo scherno verso i (più o meno non) perfidi albionici, che grugnivano nelle caverne, per così dire, mentre i nostri antenati latini conquistavano il mondo. Ma scherzando eh. Perché se uno queste cose le dice sul serio…

No, davvero, posso farmi bello del successo di gente che viveva dalle mie parti 2000 anni fa? Come se fosse cosa mia? E con che scusa affronto la realtà odierna, dove ogni giorno di più, i figli dei buzzurri di un tempo stanno andando sempre più avanti, rispetto ad un’italietta capace solo di guardare indietro e pretendere rispetto? Rispetto poi, che è solo una rendita di posizione, un vivacchiare contando su di un’antica eredità ormai consunta.
Ecco, consideriamolo una buona volta: peggior figura ci facciamo, se insistiamo su quanto fosse grande l’Italia, prima che arrivassimo noi (che, OK, non abbiamo fatto molto personalmente per rovinarla, ma tantomeno possiamo bullarci del contrario).

Io credo che chi fa queste comode campagne per insegnare che parole usare, per difendere il latino… dovrebbe farsi un bell’esame di coscienza e domandarsi se non stia invece fuggendo dalla realtà, per chiudersi in una bolla.

 

Punto per punto

Quindi vediamo… (chiamiamolo punto 7): sì, stage è una parola francese ed “andrebbe” dunque pronunciata alla francese.
Anche se esiste una parola inglese graficamente identica, che però è usata in altre accezioni. Benissimo, su questo concordiamo.

Però va precisata una cosa importante. La parola evolve con l’uso. Sono colpito da quanto il francese, che pure era la lingua straniera più insegnata da noi quando ero un bimbetto, ha visto crollare la sua importanza e popolarità. Quindi, ci sta che oggi prevalga la pronuncia inglese, semplicemente perché non esiste ragionevolezza nel pretendere che tutti si adeguino ad un uso rigorosamente e pedantemente attento all’origine delle parole.
Per la stessa ragione è alla lunga del tutto accettabile una nuova pronuncia, italianizzata, di stage: è così che si fa, è così che funziona. Altrimenti saremmo qui a litigare tra chi insiste che la capitale del Regno Unito vada chiamata London, e chi invece pretende si conservi il latino Londinium. E invece no, diciamo impunemente Londra!

 

Quello che chiameremo il punto 8, sulla parola curriculum, ancora una volta porta ad affermare una cosa vera, ma assolutizzandola: il plurale “corretto” è curricula, non c’è dubbio. Però, anche qui, c’è da prevedere che a gioco lungo la lingua inglese possa normalizzare quell’accozzaglia di termini acquisiti da fonti diverse, che seguono un ventaglio troppo ampio di regole grammaticali; quindi alla fine potrebbe rimanere solo il plurale all’inglese, curriculums. E come dicono le migliori fonti, per il momento (!) entrambe le forme sono corrette, in lingua inglese.
Quindi il massimo che un censore nostrano può sperare di ottenere, in un mondo dominato dall’inglese, è che si continui a tempo indefinito a conservare anche la forma del plurale di curriculum coerente col latino, e a maggior ragione per i non parlanti inglesi.
Ma nella lingua italiana, nella misura in cui manterrà la sperata indipendenza, prevale già il plurale invariabile: né curriculumscurricula, ma “i curriculum”: perché non si sta parlando né in inglese né in latino!

 

Se fosse stato per questi due punti, mi sarei risparmiato la fatica e avrei fatto spallucce.
Inutile perdersi su queste piccolezze.
Ma è l’insieme che fa la differenza.
Infatti ho preferito partire da qui, dagli aspetti più ragionevoli della polemica, perché mi piace “vincere difficile”.

 

I punti 1 e 4 sono casi particolari, perché le parole junior e plus hanno un significato abbastanza sovrapponibile tra il latino e l’inglese, perlomeno per il nostro uso, e ovviamente hanno la stessa grafia.

Junior sospetto che sarebbe sostanzialmente ignorato dagli Italiani se non fosse stato importato dalla lingua inglese attraverso l’uso.

Questo accade molto spesso: l’osservazione già ci porta sulla strada giusta, sull’accorgerci della futilità del riscoprire origini antiche per qualcosa che stiamo invece adottando a causa di una nostra sudditanza culturale recente.

Comunque va benissimo pronunciare entrambe le parole all’italiana, se lo si desidera, senza porsi tanti problemi. Eppure… Pensiamo al film Frankenstein Jr.: davvero sentite il bisogno di forzare una pronuncia difforme, per una cosa americanissima? Sta male; se lo fate per comodità, per italianità, va bene.
Ma non vantatevene. Non andate a dire ad un Rockefeller/Vattelapesca Junior che quando viene in Italia la pronuncia del suo nome cambia, perché vi siete accorti che la parola ha un’origine latina…
Poi… Prendiamo la frase: “Nel 1985 comprai lo ZX Spectrum Plus, che per me all’epoca era il non plus ultra“…

Bene, è accettabile che storpi il nome del mio antico home computer chiamandolo all’italiana, come del resto facevo da ragazzino… Farebbe invece più che ridere (piangere) se dicessi “non plas ultra”! La pronuncia più logica è però quella che differenzia i due plus: uno è una citazione diretta dalla lingua latina, l’altro, lo Spectrum+, è stato inventato da Sir Clive Sinclair, mica da qualche Antico Romano…

Ancora una volta: va bene la pronuncia secondo le abitudini e il tipico uso degli Italiani; bene anche rispettare il contesto di una cosa che citiamo, che è quasi sempre oggi visibilmente inglese, e magari ben riconoscibile, come il nome di un prodotto; ma se non è una citazione proprio dal latino, voler insistere sul ripescare la pronuncia originale, scivola nel grottesco spinto.
Oltretutto considerando che la pronuncia del latino classico NON LA CONOSCIAMO, ed è simile a quella spontanea per un Italiano solo se ci si riferisce ad un latino tardo, medievale o ecclesiastico. Anzi!
Quello che possiamo ragionevolmente sapere è che probabilmente il latino classico NON suonava come quello ecclesiastico, e sotto certi aspetti era più vicino alla pronuncia “errata” di un parlante inglese, che alla pronuncia nostra!

Ci rendiamo conto di quanto siano futili questi nostri tentativi di andare alla ricerca di una presunta correttezza nell’uso e pronuncia delle parole?

Oltretutto, per farne una battaglia campanilistica con le pezze al sedere!

Proseguiamo, cercando di stringere.

Il punto 6 ci porta ad una parola generica che assume un significato molto ristretto: il tutor all’università, e oggi anche il safety tutor sulle autostrade.
Vale quanto detto per plus, ma qui il punto si rafforza, perché la parola viene assunta dall’inglese per un uso estremamente specifico, e diventa penoso voler insistere che la parola “in realtà” sarebbe da identificare con il suo antenato latino. Specialmente nel secondo uso: [ˈseɪfti ˈtuːtər] è il modo corretto; pronunciato invece mezzo all’inglese e mezzo all’italiana è ridicolo, come quelli che insistono a chiamare l’interfaccia HDMI “acca di emme ai”… Ma su questa espressione composta, vale quello che dirò per mass media…

I punti 2, 3 e 5 sono quelli in cui il contrasto tra la realtà e le pretese dei puristi latinofili è più netto: sono parole ed espressioni inglesissime, come tali importate, e il fatto che abbiano un antico antenato nella lingua latina, che pure fosse “scritto uguale”, vale ancora una volta come curiosità linguistica e niente di più. La parola latina era generica, con molti altri usi, del tutto diversi da quelli attuali.
Audit significa (…lui, lei) “ascolta” in latino, e volete dirmi che dobbiamo appropriarci per questo del nipotino inglese che significa “processo di valutazione indipendente di conformità a standard o requisiti prefissati”?
Summit in latino nella mia ignoranza credo non esista neanche. Deriva da summum, come del resto un numero enorme di parole delle nostre lingue derivano dal latino, senza che per questo ci sogniamo di imporre regole al riguardo, per forzare un cambio delle abitudini altrui (!). E descrive un incontro al vertice di rappresentanti politici (o simili), concetto che mai uno dei nostri avi si sarebbe sognato di esprimere con una parola simile.
(Mass) Media è il più famoso di tutti, e se va riconosciuto che media è il plurale di medium (che significa genericamente mezzo), ed entrambe le parole latine o i loro discendenti sono in uso, in maniera più o meno derivata, in una miriade di modi  …d’altra parte il concetto stesso di mezzi di comunicazione di massa è moderno, e ci arriva dall’inglese. Anche quando si dice semplicemente “i media”, stiamo pensando ad un significato preciso, un’area semantica sconosciuta ad un parlante dell’Antica Roma. “Mass” è presente anche se sottinteso. E oggi abbiamo anche social media, come applicazione diffusa. Sono espressioni inglesi, riconoscibili, e non latine, per quanto vi sgoliate. Ripeto: come per safety tutor, è semplicemente indecente prendere una espressione di lingua inglese e tentare di affermare “no, metà è latina, metà è inglese; la parte latina non solo la pronuncio alla latina, ma mi adopero per insegnare agli altri a fare così, sennò sbagliano!”!!!

La cosa che proprio non sopporto è la spocchia con cui questi autonominati moralizzatori del linguaggio pretendono di puntare il dito e apostrofare con parole argute chi non li segue.

Ripeto, come detto prima: va benissimo italianizzare, anche quando suona eccessivamente maccheronico, come dire “er safeti tutor”. Così evolve l’uso, e non certo da oggi. Ma NON si pretenda di difendere una purezza, di insegnare un “vero” modo di pensare e pronunciare!

 

 

Controprova

Si consideri prima di tutto che lo stesso meme “purista” voleva stage obbligatoriamente pronunciato alla francese, perché la parola stage in inglese è usata con significati differenti.
E allora con che faccia pretendono di ridefinirmi delle parole inglesi, solo perché esisteva una parola latina uguale con significati differenti?

Comunque la si rigiri, non quadra.

Il sito dell’Accademia della Crusca discute la pronuncia di mass media e summit e come formare i plurali di latinismi derivati dall’inglese. Come prevedibile, non si sbilancia a “castigare i castigatori”, si limita a commentare la realtà che ha davanti. E la sostanza è, come era prevedibile, prendere atto del fatto che si adoperano alternativamente le varie versioni.

Cita dunque la  pronuncia “alla latina” (e le virgolette le ha inserite il redattore della Crusca, dunque si tratta di una descrizione non del tutto propria), ma la giustifica solamente con l’uso corrente dei parlanti italiani. Ed è, secondo le fonti, alternativa più o meno valida alla pronuncia secondo le regole della lingua inglese, che rimane indiscutibile ed incontestabile. Com’era ovvio.

Sul plurale di audit ad esempio dice:

inizia a essere indicato come invariabile al plurale, quindi trattato come anglismo ormai pienamente accolto in italiano, altri dizionari […] contemplano ancora il plurale inglese audits.

Trattato come anglismo, secondo il redattore dell’Accademia della Crusca che risponde alle domande dei lettori. Stacce, direbbero i Moderni Romani.

Oltretutto si prolunga a spiegare come la tendenza, come ho già detto per curriculum, sia quella di rendere questi prestiti alla lingua italiana invariabili: il plurale rimane identico al singolare.

 

Credo che qualcuno dovrebbe sul serio ripensare le battaglie che intende combattere: non solo, come visto, le parole “latine” non le sapremmo pronunciare alla latina, ma non seguiamo minimamente le regole della grammatica latina. Sono diventate qualcosa di diverso.
Provate a dire ad un nostro connazionale che non ha studiato, che quando parla dei “media” sta usando un nominativo neutro plurale. Vi guarderà smarrito, con un punto interrogativo disegnato sopra alla testa.
E del resto che senso avrebbe, usare il solo caso nominativo (!?!)?
(OK, nel caso particolare di media, combinazione l’accusativo è identico al nominativo, ma l’osservazione rimane: voi dite “dei mass media” o “mass (?) mediorum”?)
Ecco, ormai siamo al non distinguere nemmeno singolare e plurale, perché il plurale latino con le sue regole ci è alieno, non ci appartiene.

Se qualcuno, invece di dire “ne hanno parlato di recente su diversi forum” se ne esce con “ne hanno parlato su diversi fora“, beh, sapete di aver a che fare con uno che secondo il vecchio Sigmund non è mai uscito dalla fase anale…

 

Contrappunto

Diamo però un colpo alla botte. C’è anche il fenomeno opposto. Va detto.

Il portabandiera dei cretini che fieramente abusano della lingua inglese è forse Matteo Renzi: gente che vuole per forza darsi un tono usando una lingua straniera di cui spesso padroneggiano a malapena i rudimenti.
Gli strafalcioni abbondano, anche da parte di enti ministeriali, ahimè. E non ho voglia adesso di andare a pescare le perle…
Mi limito a fare un esempio: l’orticaria che mi veniva quando sentivo parlare di smart working per intendere lavoro da casa, dove l’aspetto fondamentale è che nessun parlante inglese ha mai usato l’espressione smart working in questo modo!

 

Ma non tutto l’uso è abuso, anche quando sembra esagerare: ricordatemi una volta di parlare del fenomeno della terminologizzazione, ingiustamente osteggiato, secondo me.

 

Divagazione finale

Qualcuno potrà pensare che queste querelle (eh sì, mi fa piacere usare improvvisamente una parola francese, così, because I can. Oops, ho commesso un altro peccato, sorry! Ooops, e 2…)…

Ehm, dicevo… qualcuno potrà pensare che queste querelle, queste dispute, siano un po’ figlie dei tempi moderni, dei social media litigiosi, eccetera. Non è così, anche se certi mezzi di comunicazione amplificano.

Ricordo… Si era in pieni anni 90, leggevo quotidianamente la Repubblica e mi facevo ogni giorno un fegato così, osservando la malizia e l’acribia che ci mettevano questi giornalisti (e confesso di usare qui la parola acribia per complicare inutilmente, per darmi anch’io un tono) per spingere sul tasto della propaganda, per deformare la percezione della realtà, per ingannare sottilmente i propri lettori.
Fu per me un importante esercizio, una palestra di pensiero: decostruire giorno dopo giorno le furbe sciocchezze dell’avversario, analizzandole criticamente; l’opposto del comodo compiacimento con cui si tende sempre più a circondarsi di persone che la pensano allo stesso modo, diventando incapaci di riconoscere i limiti e i punti deboli delle proprie tesi.
Avevo già avuto una controprova fuori dal mondo della politica, con il calcio. Redazione di un giornale locale, dicono ai tifosi (del mio Genoa, in quel caso) di telefonare per dire la propria su… (non ricordo quale argomento, ma certo si parlava della mia squadra).
Telefonai. Era ancora un vecchio telefono ad impulsi, un coso nero con la rotella dei numeri che sembrava uscito dagli anni Cinquanta. Sì, lo so, sono vecchio. Dissi la mia. Il giornalista mi rispose: “ma non crede che etc. etc.” e io ribattei qualcosa tipo “Sì, ma…”
Il giorno dopo pubblicarono un pezzo con N interventi di tifosi, un pensiero espresso da ciascuno. All’epoca, ad un ragazzino. faceva impressione vedere il proprio nome e cognome stampato. Peccato che il giornalista mi avesse messo in bocca l’ESATTO OPPOSTO di quello che avevo chiamato per dire!
Quella non fu che una delle tantissime occasioni in cui osservare la manipolazione continua operata da chi dovrebbe in teoria solo fare informazione, riportando le notizie.

Ecco, con queste premesse una volta decisi di scrivere alla redazione di Famiglia Cristiana, che all’epoca ancora leggevo, e ricordo bene lo spirito con cui scrissi la mia lettera di carta, vecchio stile: parlare di un argomento davvero neutro, la lingua, per saggiare se si potesse, una volta tanto, arrivare a concordare su qualcosa di piano ed evidente, demolendo dei luoghi comuni, senza rimanere bloccati a causa di schieramenti, ideologie, pregiudizi.
Dopotutto, pensavo, quale migliore controprova di un argomento dove non ci giochiamo nulla di importante, per vedere se le persone erano disposte a cambiare idea di fronte ad un ragionamento solido? Ecco, dunque. Scrivevo ad un esperto di lingua italiana.
Su di un giornale che, essendo di ispirazione cristiana, avrebbe forse dovuto essere radicalmente onesto. A posteriori sorrido: giustamente quel giornale venne soprannominato prima Fanghiglia Cristiana, e poi direttamente Fanghiglia Pagana, per le sue infedeltà, da cattolici solo nel nome.
Nel suo piccolo già nel 1998 o giù di lì mio fratello notò sul giornale “cattolico” venduto in chiesa una pubblicità con una donna a seno nudo, ed un’altra pubblicità era per una finanziaria che aveva messo nei guai un suo conoscente con un prestito…
Ma sto divagando (l’avevo detto, no? Prerogativa di un blogger).

Bene, siamo negli anni 90 e leggo la risposta alla mia lettera dell’esperto di lingua di Famiglia Cristiana (da qualche parte ho ancora il ritaglio): io  cercavo ingenuamente di mettere una pietra tombale su queste pretese di chiamare (mass) media un’espressione latina. L’ineffabile esperto non mi vuole dare ragione, e scrive (la formula non prevedeva contraddittorio, il lettore leggeva la sola risposta, senza la domanda) più o meno così:

contrariamente a quanto crede il Sig. Grasso, anche mass è una parola di origine latina.

Da far bollire il sangue, perché ovviamente
1. non ha nessuna importanza quale sia l’origine di una parola, all’interno di questo discorso; e

2. davvero non mi sarei mai sognato di pensare che la parola mass non avesse un’origine latina!

Con questo non sequitur, basato sull’attribuirmi un pensiero che mai avrei potuto esprimere, l’esperto mi liquidava facilmente.

Ecco, ho sempre visto queste storie finire così.
Una spruzzata di nero di seppia.

E a quanto pare persino le puntigliosità inutili sui come si dice, sulla lingua, sono abbastanza polarizzanti da non permettere una buona volta a qualcuno di ammettere:Ebbene sì, forse mi sono sbagliato, non dovevo pretendere di insegnare alla gente a parlare solo seguendo una regola arbitraria mia, che peraltro, comprendo ora, non ha un senso”.

Così evidentemente è la nostra natura corrotta.

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