Attori italiani per interpretare italiani?

Francesco Favino, attore che a malapena ricordo (perché con figlie piccole non si riesce a guardare un film che sia uno, e non è che prima ne guardassi molti)… ha lanciato una polemica sul far interpretare ruoli di italiani ad attori stranieri.
Ha ragione o ha torto?

Chi mi conosce lo sa, la risposta è semplice ed è sempre la stessa: come al solito, hanno tutti torto.

 

L’occasione di questa diatriba l’avrebbe data un film americano in uscita, Ferrari, in cui il personaggio di Enzo Ferrari viene interpretato da Adam Driver. Nomen omen, adattissimo a recitare alla guida di un’auto… ma non è italiano: che c’azzecca con il Drake?
Non conosco questo film e non lo vedrò, probabilmente. Non è questo il punto.

 

Favino non apprezza un Driver Ferrari, ma potrebbe apprezzare un Alvaro Vitali nei panni di Jean Todt. Fonte: boh, meme che gira nel web

Perché ha torto Favino

Più che i toni che uno possa usare, o su cosa il nostro protagonista intenda mettere l’accento, conta l’esporsi: dando il la alla solita campagna giornalistica, quelle tempeste in un bicchiere di tre giorni che rimbalzano di testata in testata e sui social, e che devono influenzare il pubblico.
Pubblico che a propria volta desidera essere informato puntando il più possibile l’attenzione su non-notizie ed evitando i problemi veri.

Ma a gioco lungo anche questa corsa a giudicare le scelte altrui diventa esso stesso un problema serio.
Un mondo dove ogni decisione, ad esempio per il cast di un film, deve essere soppesata pensando alle reazioni, non importa quanto insensate soprattutto se insensate e prive di senso della misura.

Se cominciamo a scendere da questa china, e lo abbiamo fatto da un pezzo, non si finisce più con le rivendicazioni in stile sindacale, etnicista, campanilista, ognuno a difendere il proprio orticello. Attori sudamericani che rifiutano interpreti dell’etnia sbagliata nei propri film; attori gay che lamentano di ruoli “loro” coperti da “etero”. Attori neri che devono essere infilati ovunque. Donne a cui dover dedicare scene di dialoghi tra sole donne nei film, e che il contenuto, mi raccomando, sia significativo e fuori dagli stereotipi. Sirenette che, pur vivendo in fondo al mare dove non arriva la luce del sole, hanno vagonate di melanina per essere più inclusive. Gente che commenta una foto social “non sei giapponese, non puoi mettere il kimono” e riceve in risposta “guarda che ho il passaporto giapponese, e questo non si chiama kimono” e così via. Non se ne può più. Se ora persino gli italiani, gli ultimi in fondo alla fila, riescono a mettere paletti su paletti… Siamo ben oltre la ricerca dell’autenticità.

Un mondo dove ognuno gestisce e difende gelosamente il proprio territorio, e tutti devono vivere nella paura di passi falsi.
Se anche oggi avessi buone ragioni per volere attori italiani in ruoli italiani (e ce ne sono), dovresti evitare per non partecipare a questo impazzimento di tribalismo.

 

Per battuta dissi che Favino non avrebbe dovuto poter interpretare Buscetta, perché il ruolo del mafioso doveva essere ricoperto da un mafioso. Altrimenti suona inautentico.

E del resto, se l’indimenticabile Gilberto Govi nelle sue commedie a teatro faceva bere davvero il caffè se la scena lo prevedeva, l’attualizzazione massima della smania di autenticità per me rimane il meme di Stanley Kubrick regista segreto del falso sbarco sulla Luna delle missioni Apollo, dove però andava specificato che, in nome del suo leggendario perfezionismo, volle girare le scene proprio sul posto…

 

Perché ha torto Hollywood

Magari questo film, Ferrari, è pure bello e racconta una storia con un livello ragionevole di fedeltà allo spirito, all’atmosfera, agli eventi. (Ne dubito.)
Ma non sarebbe la prima volta che osserveremmo una certa autoreferenzialità, come se la lezione fosse: noi americani ci raccontiamo le cose come ci piace, senza fare lo sforzo di conoscere davvero ciò di cui parliamo… per cui tu, italiano, sarai rappresentato male, approssimativamente, o addirittura secondo stereotipi grotteschi, da caricatura di italoamericano. E ci devi stare…

Tutti abbiamo in mente film più o meno recenti dove la parte dell’italiano viene affidata ad un italoamericano che a mala pena riesce a biascicare due parole di italiano, da turista appena sbarcato dall’aereo.

La colpa non è solo di Hollywood o del casting con attori stranieri.
Recentemente era uscito un film con un obiettivo simile: raccontare la storia di Ferruccio Lamborghini. Il film si intitola Lamborghini: the Man Behind the Legend ed è stato bocciato un po’ da tutti.
Anche quello non l’ho visto, ma mi basta la puntuale, appassionante, circostanziata, documentata stroncatura di Davide Cironi per dire che si tratta di un prodottaccio irricevibile. Un’americanata senza costrutto, senza rispetto, dimenticabile se non fosse prima di tutto un tradimento, dove praticamente nulla corrisponde alle storie che si vorrebbero narrare.
Ma non è poi così americano, in fondo: un’altra recensione da parte di un’accetta affilata e saccente sottolinea difetti di italianità e nomi di italiani dove conta: sono stati fatti disastri, dalla sceneggiatura alle scenografie passando per la fotografia…
Il cast è in gran parte italiano, oltretutto. Sono americani sostanzialmente solo i grossi nomi, gli attori protagonisti, si suppone per fare richiamo e sembrare più internazionali.

Quindi alla fine non è questione di provenienza: se sai fare bene il tuo lavoro, produci qualcosa di solido, qual è il problema? E se non lo sai fare…

Ma voglio sottolineare: giusto valutare i risultati, senza percorsi obbligati a priori.
Epperò la provenienza ha una sua sottile importanza. Molto difficile, anche per un grande attore, reggere l’illusione alla perfezione.

 

Ricordo Schindler’s List come un film di livello. Sono tentato di scrivere “nonostante Steven Spielberg”. Beh, l’ho scritto.
“Facile”, fare il filmone, partendo da quella storia. Ma la storia meritava il filmone, dunque va bene così.
Epperò…
Ci sono alcuni dettagli in cui la sceneggiatura mostra una sua americanità: accenti che sembrano, almeno a me, fuori luogo, e riportano agli soliti schemi triti hollywoodiani dove la carica emotiva si tira fuori tutta, ad esempio quando Oskar Schindler mostra un senso di colpa e lamenta che se avesse venduto un suo distintivo d’oro col ricavato forse avrebbe potuto salvare qualcuno in più… Scena inventata del tutto incongrua. Ecco, è passato tanto tempo da quando l’ho visto e neanche più mi ricordavo che ad interpretare Schindler fosse stato chiamato l’ottimo Liam Neeson… Eppure mi era rimasta impressa una sua mimica, un linguaggio del corpo, che mi sembrava tipica di un americano (Neeson però è nato in Irlanda del Nord), comunque fuori posto.

Difficile immergersi completamente nella parte, rendendo anche le sfumature del comportamento, del linguaggio, dei gesti…

Ecco, sì. Sbaglia di solito chi non mette attori della provenienza culturale corrispondente al personaggio. Ma per altri motivi sbaglia anche chi li critica.

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