Pseudo-Omelie Di Un Laico -2- Lazzaro

Proseguo il mio esperimento: offrire un commento alle letture della domenica che parta da una prospettiva differente. Ribadisco però la mia contrarietà al dare spazio ai laici nella Messa e nella predicazione. Nonostante il livello di pavido conformismo, fino alla svendita totale, che si riscontra mediamente nei preti di oggi, con lodevoli eccezioni.

Come già domenica scorsa, questa ultima di Quaresima ci presenta un racconto dettagliato e straordinario tratto dal Vangelo di Giovanni, l’ultimo composto in ordine di tempo.

V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO A

Caravaggio, La Resurrezione di Lazzaro

Caravaggio, La Resurrezione di Lazzaro, 1609

Qui abbiamo un miracolo estremo: un poveretto morto ormai da giorni, Lazzaro, fatto risuscitare da Gesù, per dare il segno ultimo, prima della propria resurrezione definitiva, del suo essere padrone della vita e della morte.

Mi permetto di echeggiare indegnamente le parole di Vittorio Messori, di cui negli anni sono stato uno dei tanti lettori, e che evidentemente attingono a secoli di dottrina e di esegetica cattolica: qui c’è abbastanza luce per credere, ma anche abbastanza oscurità per chi vuole rimanere incredulo. Ne va della libertà umana, ed è un gioco molto sottile, sul filo del rasoio, questo.

Gli scettici, e gli esegeti moderni, infatti dicono: i racconti più ricchi, e che sembrano fatti apposta per convincere in maniera definitiva, ed hanno una dottrina chiara sullo sfondo, sono quelli che ci vengono dal vangelo più tardo, scritto nel secolo successivo da qualche rappresentante della primitiva comunità. Non sono credibili perché dicono troppo, e proprio la lontananza permette di aggiungere particolari utili e note di colore, quando non sono più vivi i testimoni che potrebbero smentire.

Al contrario secondo una lettura ortodossa questa testimonianza più tardiva, giuntaci attraverso Giovanni, l’Apostolo giovane e destinato a sopravvivere a lungo per portare avanti la testimonianza, non compare prima per proteggere da ritorsioni Lazzaro e la sua famiglia, inizialmente esposti a persecuzioni perché ben identificabili nel racconto.

A quale delle due versioni credere? Prima di tutto consideriamo questo gioco di chiaroscuri, a cui ho accennato: Dio non ci costringe a credere, e in questo mondo nessuna testimonianza è esente da dubbi; ma allora la sfida del credere dove si può giocare? Nell’approfondire con sincerità. Per questo, come disse Louis Pasteur, se studi riacquisti la fede di un contadino bretone. E se studi ancora di più, riacquisti la fede di una contadina, sempre bretone. Peccato non aver sottomano il padre della medicina moderna, per chiedergli cosa ci fosse di speciale in Bretagna.

 

Non credere a Giovanni?

Torniamo al testo. Se hai pregiudizi su cosa significhi essere sgamato, magari pensi che l’Apostolo Giovanni che vive a lungo e scrive per ultimo sia una soluzione troppo comoda (che mette a posto tutto). Ma riflettiamo: lo scettico e lo studioso modernista trattano ogni materia come se in tutti i casi fosse necessario escludere ogni possibilità diversa dalla più banale. Siccome quel Vangelo può averlo scritto Giovanni oppure qualcun altro ma attribuendolo a Giovanni, il primo caso prevede troppe coincidenze, il secondo può avvenire facilmente in molti modi, si va per il secondo. Quasi vergognandosi di aver dubitato dell’approccio scettico!
Ma guardate che se un leader si sceglie un gruppo di seguaci, non è neanche così straordinario che uno viva molto più degli altri, fino ad essere decrepito! E qui stiamo parlando dell’eventualità che Dio stesso abbia deciso che fosse opportuno avere questo testimone di lungo corso, per così dire. Vogliono raccontarci che non dobbiamo dare la possibilità a Dio di realizzare i suoi piani come gli pare! Il far succedere una cosa normalissima, seppur non straordinariamente frequente all’epoca: un uomo robusto che vive, chessò, 94 anni…
Capite il rovesciamento di prospettiva? Siamo passati in pochi decenni dal letteralismo, il dare per scontato che Mosé avesse davanti due muri d’acqua a destra e a sinistra, e il letto del mare asciutto in mezzo da attraversare, all’estremo opposto: mo’ neanche più si può morire di vecchiaia in pace! E diventa ardito considerare che Giovanni, se vissuto così a lungo, abbia avuto modo di scrivere (ovvero di avere chi scriveva per lui: le sue memorie ormai ricche, quello sì, di riflessioni, di prospettiva ed approfondimenti).

Per carità: gli esperti hanno mille argomentazioni che non si limitano certo al fatto che non vogliono considerare la possibilità più ovvia e comoda, ovvero la testimonianza tardiva ma diretta di un Apostolo. Ma quante di queste argomentazioni nascono in realtà dal semplice non voler adottare una prospettiva “ingenua”, di fede?
Il 90% di ogni teoria è atteggiarsi, scegliere da che parte stare.

Scavare:

scavando si arriva a capire meglio chi cerchi con sincerità e chi giochi solo ad essere apprezzato dai colleghi e dai media.

Ad esempio al capitolo 21 dello stesso Vangelo, al versetto 23, troviamo una goffa spiegazione riguardo alla longevità di Giovanni: “Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto, ma Gesù non aveva detto eccetera…”
Andatevela a vedere: è proprio goffa, imbarazzata. Deve rendere conto della convinzione, diffusa nella prima comunità cristiana, che la Seconda Venuta di Cristo e la fine del mondo sarebbero arrivate di lì a poco, e il discepolo evangelista, Giovanni, sarebbe vissuto fino allora.
Decisamente questo tipo di difficoltà del testo non è il genere di aneddoto che si inventa per creare una storia: sia perché è controproducente mettendo in cattiva luce il tuo movimento (a cosa credevano? Favole, voci incontrollate, profezie fasulle?) sia perché proprio la mente di un autore non funziona così, affastellando tracce incongrue ed incomplete di storie che lasciano perplessi.

No, questo è uno dei tanti particolari che fanno dire: c’è una vicenda reale dietro, che va oltre la volontà e gli interessi di chi scrive. Questi sono i criteri di solidità del testo evangelico: non possono essere quantificati, soppesati, dimostrati. Ma sono convincenti, per chi è disposto ad essere convinto.

 

E poi abbiamo Lazzaro:

davvero l’evangelista avrebbe inventato questa storia, per dimostrare il potere di Cristo sulla morte? E notate che qui non ci sono ambiguità. Il miracolo è eclatante perché indiscutibile. Il morto è in decomposizione da giorni. La storia o è falsa, o è prova che Gesù ha il potere di Dio, di dare la vita. Non ci sono vie di mezzo. Dio non renderebbe testimonianza in un modo tanto eclatante ad un semplice profeta, poi anche frainteso. E non ci sono coincidenze, casi medici anomali, magari cure con erbe (?) che possano spiegare gli eventi… No, bisogna ricorrere al soprannaturale. Segno tremendo e fantastico oppure bugia: scegliete.

Ma anche qui abbiamo la tematica del parziale nascondimento, di un Dio che agisce in sordina: la risurrezione di Lazzaro avviene a Betania, ovvero in un piccolo villaggio, e viene raccontata tardivamente. Per lasciare il segno sì, ma senza strafare. Un autore umano a briglie sciolte avrebbe inventato un’ambientazione più eclatante. Se non l’ha fatto è perché non poteva inventare ma doveva rispettare il dato tramandato.

 

Perché tanto Lazzaro e poco Gesù?

Se c’è una cosa che salta all’occhio leggendo i Vangeli è questa: a fronte di un lungo racconto della Passione di Cristo, che costituisce il fulcro ed il centro del testo, della Risurrezione si parla pochissimo, e in maniera che molti giudicherebbero insoddisfacente, se non addirittura poco convincente.
E mi vogliono raccontare che, potendo aggiungere al Vangelo un racconto inventato di risurrezione, l’autore si sarebbe sbizzarrito con una nuova storia a parte, quella di Lazzaro, invece di correggere il racconto di Gesù risorto, aggiungendo particolari decisivi, incontri memorabili (con avversari, con la Madonna…), risposte alle domande pressanti della comunità?
No: l’integrazione dell’ultimo evangelista ai racconti della resurrezione è minima: come uno che sa, quindi può riproporre i propri ricordi, in prospettiva, ma non può cambiare ed inventare. Sempre nel capitolo 21 di Giovanni troviamo i discepoli, anche gli Apostoli, che incontrano Gesù risorto e… non lo riconoscono? Non lo riconoscono subito! Ci mettono un bel po’.
Cioè, ci rendiamo conto, se non fosse una testimonianza autentica, quanto assurdo sarebbe stato, concepire una storia del genere, che ti mette in difficoltà da qui alla fine dei tempi, coi detrattori e gli scettici che ti dicono “Visto? Non era lui!”
Amici, non è così che s’inventa!

 

Criteri noti dell’esegesi biblica

Il gioco è basato sulle sottigliezze: il modo in cui ci giungono le testimonianze evangeliche è credibile proprio perché ci sono parti imbarazzanti, inopportune, che non corrispondono allo stile di un narratore, o ai desideri di un pubblico, ma rispecchiano la natura caotica e sorprendente della vita. A volte testimonianze contraddittorie: sì, perché tali sono le cronache, che registrano voci imprecise e discordanti.

Sapendo che nelle ricostruzioni gli autori del Nuovo Testamento si sono presi delle libertà, a scopo didattico: per collegare eventi e discorsi secondo uno schema non cronologico, o per mettere in bocca parole opportune di cui però non si conservava il contenuto preciso, non essendoci stenografi ufficiali o giornalisti col taccuino (ma gli insegnamenti di Gesù, nello stile rabbinico, erano presentati in forma facile da memorizzare, attenzione!)

 

L’impegno cristiano nel post-tutto

Lo so che a molti questo tipo di discorsi non appassiona, preferirebbero ascoltare il solito fervorino in modica quantità, per poi passare oltre: tanto la fede l’abbiamo già, e chi non ce l’ha non lo puoi convincere.

Mette in imbarazzo contemplare, per davvero, la possibilità che nei testi della nostra fede ci siano non dico delle imprecisioni, ma proprio dei falsi.
Eppure non è più il tempo delle verità date per scontate, della Cristianità onnipresente. Quando l’orizzonte culturale e il senso delle cose erano ben definiti, più o meno statici, rassicuranti.
Non si può sonnecchiare contando su di un sistema che va avanti per inerzia, nostro malgrado, perché ormai è vero il contrario. Non c’è più terreno solido su cui riposare.

La crisi c’è e grande. Sopravvive nella fede solo chi affronta le critiche prendendole sul serio. E sa ripartire dal sapere, l’impegno, il non fare sconti alla verità.

Dobbiamo imparare a ragionare in questi termini: porci il problema della verosimiglianza del testo, reggere il confronto con una critica scettica, andare al fondo anche dei nostri dubbi.

L’alternativa è chiudersi in una bolla sempre più piccola di devoti fuori dalla realtà, oppure perdere la fede, prigionieri di un pensiero che ci viene dall’esterno, dal mondo, e che nell’ignoranza ci sembra irresistibile, invincibile.

Oggi molti cristiani, che sperano di non sentir parlare di tesi esegetiche imbarazzanti, o di evoluzione della specie, di computer intelligenti… mi fanno pensare ad una popolazione che di fronte a minacce di guerra sempre più presenti, riesce solo a dire “Vogliamo la pace, speriamo non succeda niente, non pensiamoci”.

No, è una escalation. Tu capisci qualcosa di più e scopri l’inconsistenza delle tesi del mezzo saputo che scrive con sicumera sui social. Poi però incontri quello che ne sa, e ti mette in difficoltà; se studi di più, disinneschi anche quelle sue tesi perché si rivelano sofismi. Ma dietro l’angolo, anch’io ne sono consapevole, c’è sempre un livello più elevato di scontro, che mi spiazzerebbe e potrebbe mettermi in crisi.
Occorre armarsi meglio, e avere a cuore la verità. Quello è l’obiettivo, non la difesa a priori della propria fazione, per quanto nobile.

 

Seconda conclusione: il Gesù emotivo

Siccome sono andato da un pezzo abbondantemente oltre, non rispettando il proposito di essere conciso né quello di focalizzarmi su di un singolo messaggio diretto, lasciatemi toccare il tema principale della lettura.

Ci sono due punti focali in questo miracolo, non uno solamente. E sono
1. la risurrezione miracolosa e

2. il pianto di Gesù.

Meriterebbe altro tempo e ben altri commentatori approfondire il secondo punto, che ci restituisce tutta l’umanità del Cristo.
Ma forse posso aggiungere qualcosa di quasi inedito su questo particolare sorprendente.

Prima di tutto torniamo al discorso della verosimiglianza: anche questa sorta di apparente debolezza nell’atteggiamento di Gesù rientra tra i particolari scomodi, che non si inventerebbero di sana pianta per un personaggio immaginario. Sia per lo stile, giudicabile poco virile e non degno di un leader, che per il facile equivoco: il pianto poteva far pensare a molti che non sapesse del miracolo in arrivo, o non ne fosse sicuro.

Gesù qui ti spiazza perché, in vista di una spettacolare risurrezione, sembra quasi travolto dall’emozione, dal dolore. In ben tre occasioni il racconto lo sottolinea. Non ha semplicemente gli occhi umidi: al momento decisivo scoppia in pianto!

Comportamento che piace a noi, ma non è esattamente un modello adatto ad una società ancora per molti versi primitiva, brutale. Il maschio deve essere duro, impermeabile, altrimenti la vita lo travolge. Non mostrare segni di cedimento, o gli avversari se ne approfitteranno. La morte, la guerra, la rapina, la prevaricazione sono dietro ogni angolo.
E qui Gesù reagisce in maniera che sembra talmente sproporzionata da farmi dire che non può non esserci una storia vera dietro. Ma chi lo disegna un eroe debole che si commuove facilmente?
Ripeto: per non sfuggirci questo particolare, dobbiamo uscire dalla prospettiva moderna, a cui siamo abituati, e metterci nei panni del popolano del suo tempo.

Oltretutto la piccola Betania di Giudea non è che una delle tante tappe nella sua relativamente breve carriera di rabbì, di maestro itinerante, e passò gran parte del tempo in Galilea invece. Amava questa famiglia di amici che quando capitava in zona lo ospitavano, due sorelle e un fratello. Ma non erano certo paragonabili ad un parente stretto!

Amava. Si parla molto a sproposito di amore da parte nostra, tirando fuori persino, nel suo caso, MarieMaddalene ed UltimeTentazioni da romanzo scadente, ma qui vediamo come Cristo ami di un sentimento semplice, puro. L’amicizia profonda; noi diremmo che si era affezionato. E come a loro, a tanti altri, necessariamente. Eppure guarda come piange, per un dolore che verrà presto consolato in maniera spettacolare.
Questo Maestro, questo Messia, sicuramente lasciava impressioni memorabili perché imbarazzava e sconcertava i suoi.

Esagerato, si dispera per dei conoscenti!

Troppo, per non essere autentico.

A posteriori, nell’ottica moderna figlia del Cristianesimo, il suo atteggiamento è qualcosa di straordinariamente bello, da contemplare: guarda quanto ama gli uomini, come com-patisce, come entra nel cuore del dramma della nostra esistenza, nonostante la prospettiva dell’eternità ed il suo essere uguale a Dio, che dovrebbero mettere una distanza infinita tra i suoi pensieri e le nostre miserie.
E attenzione: non piange nelle difficoltà, o davanti ai nemici che lo hanno in catene. Non piagnucola sulla croce. Piange le lacrime di un uomo forte ma che sa immedesimarsi. Che protegge e darebbe la vita per chi ama. E sa vedere le cose fino in fondo. Abbiamo un enorme bisogno di modelli maschili come questo.

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