Follie elettorali: USA vs. Svezia

Una gara a chi fa peggio. Da una parte regole che ricordano l’epoca fascista, dall’altra stranezze da Repubblica delle Banane.

Chi non conosce la diatriba tutta americana sul diritto a votare senza presentare documenti rimarrà sbalordito. Gli altri possono trovare qui in fondo la risposta che taglia la testa al toro in questa faccenda assurda. Nel frattempo prendetevela con calma e godetevi questa carrellata. Oppure potete dare una scorsa veloce, saltando dei capitoli.

Swedish ballots in full display, forcing people to vote openly

Schede elettorali in bella vista in un seggio in Svezia: bisogna scegliere quella del partito che si intende votare così, di fronte a tutti i presenti.  Foto di Jens O. Z. Ehrs per Southerly Clubs (CC BY-SA 3.0)

Non sono più abituato a stupirmi.
Ma mi ha colto alla sprovvista la notizia che gli osservatori internazionali, chiamati per la prima volta a controllare la regolarità delle elezioni in Svezia, si sono trovati di fronte un sistema elettorale viziato da un difetto incredibile. Difetto che favorisce nettamente i partiti al potere. Come una escrescenza disgustosa sotto gli occhi di tutti e dunque ignorata con imbarazzo.

Già che ci siamo colgo l’occasione per discutere delle manipolazioni del voto negli Stati Uniti.

Da Italiano non mi potrei permettere di criticare questi due paesi… ma li metto in evidenza proprio perché figurano come modelli avanzati.
La Superpotenza, la Terra del Sogno Americano.
La Vera Alternativa, il Paese Modello della Socialdemocrazia che fa star bene tutti.
Eppure guardate che regole assurde. Non stupiamoci se scopriamo anche brogli elettorali là dove l’immaginazione proietta civiltà a prova di bomba.

-Gli USA non sono certo una repubblica delle banane, eppure sotto certi aspetti…
-La Svezia non è fascista, ma stavolta mi ha ricordato le lezioni di storia sul Ventennio.

 

1-I bravi scolaretti svedesi

I paesi nordici sono riconosciuti come modelli di civiltà e di qualità della vita (sviluppo socioeconomico, istituzioni efficienti, minimi tassi di criminalità) fondamentalmente grazie al fatto che hanno potuto contare su popolazioni etnicamente omogenee, composte da buoni cittadini, istruiti fin da piccoli al rispetto delle regole e alle buone maniere; popoli a cui sono stati risparmiati conflitti sociali per generazioni.
La ricetta per creare una res publica ordinata, pulita, produttiva, noiosa.
Non sono pronti ad affrontare rapidi sconvolgimenti, situazioni in cui diventa necessario cambiare. E mettere in discussione le idee di chi comanda.

Capisco come in un ambiente del genere, basato anche sul dare fiducia a prescindere, si possa essere sviluppata una procedura come quella qui discussa, evidentemente senza incontrare troppa resistenza.
Ovvero che tu elettore ti avvicini al tavolo e prendi la scheda del partito per cui vuoi votare, ben riconoscibile da chiunque si trovi nei paraggi, senza sapere se qualcuno ti sta osservando.
Condizionamento specialmente efficace perché lo sai già mesi ed anni prima di trovarti davanti a quel tavolo, di conseguenza ti formi ancor più volentieri un’opinione in base al giudizio dei tuoi simili.
Oltretutto un’abbondanza di schede pronte da utilizzare, messe lì a disposizione, rappresenta una bella tentazione per chi volesse fare brogli.

Momento! Non sono forse gli Svedesi integerrimi e scrupolosi nel rispetto dei doveri civici?
Coll’esperienza si impara che nessuna leggenda rosa sopravvive all’esame impietoso di chi vuole vederci chiaro, senza illusioni.
Ed è logico: quando tutti danno per scontato che il sistema è pulitissimo e sarebbe offensivo dubitarne, potete star certi che le azioni criminose aumenteranno e non di poco, specialmente se la posta in gioco è alta; alla fine lo sporco sotto al tappeto deborderà.
(E a pensarci, non è forse vero che, per fare un esempio che non c’entra, la convinzione che certe categorie di persone sarebbero al di sopra di ogni sospetto ha favorito la scelta, da parte di molti pederasti e pedofili, di cercare la copertura perfetta col diventare preti?)

Dunque alla fine non sorprende che, secondo gli osservatori internazionali, ci sono stati brogli ed irregolarità in quasi metà dei seggi che hanno controllato. Oltre a questo ci sono state centinaia di denunce alle autorità riguardo alle più varie infrazioni, dalla sparizione di schede alla manomissione di computer. Nella città di Degerfors si riporta che un politico socialdemocratico abbia accompagnato i votanti in tutte le fasi del voto, dall’ingresso fino all’urna. Ed un altro politico, sempre dello stesso partito, avrebbe corrotto elettori attraverso pagamenti in contanti.

Tutto questo, senza contare il fatto principale, ovvero che la gente va a votare sapendo che la scelta non è davvero segreta.

Viene in mente il voto durante il fascismo, con la scheda “Sì” tricolore ben distinguibile dal semplice foglio bianco per il “No”. All’epoca ragioni di salute ti consigliavano di non rischiare a votare nella maniera sbagliata.
Certo, qui la storia è differente: ci sono più partiti tra cui scegliere e si spera che la procedura di voto non sia stata disegnata di proposito per farti prendere di mira.
Eppure una base comune al fascismo c’è: il manganello in senso figurato lo subisci quando i tuoi vicini di casa vedono che stai rinnegando la civilissima società in cui hai avuto la fortuna di nascere, sostenendo pericolosi estremisti dell’ultradestra…

Siamo in un punto di passaggio cruciale: la spinta al conformismo, così potente in Nordeuropa, può fare un danno definitivo, terminale. Il nodo è infatti l’attuale minaccia rappresentata da una immigrazione di massa di musulmani.


L’ascesa di un partito (populista?) anti-immigrazione chiamato SD (Democratici Svedesi, nome che -devo dire- sembra voler confondere le idee) è con tutta probabilità una reazione fuori tempo massimo; e d’altra parte dobbiamo renderci conto che la reazione potrà senz’altro diventare violenta ed incontrollabile nelle sue manifestazioni.

Ho trovato ridicolo il modo in cui gli esperti hanno voluto commentare la performance di SD alle ultime elezioni, enfatizzandone il notevole successo o al contrario sottolineando che ha deluso rispetto alle aspettative.
Non è stato né un trionfo né una sconfitta, e ancora una volta, come spiegai a suo tempo, ci troviamo di fronte ad un modello di comportamento comune agli elettori europei di oggi: ondeggiare senza prendere una decisione netta.

 

Ecco a cosa si è ridotta la Svezia: un paese dove puoi essere emarginato o perdere il lavoro per aver osato mettere in discussione l’islamizzazione, le migrazioni di massa, o magari l’indottrinamento dei bambini secondo i dettami della teoria gender.

Non c’è già più la società ordinata con le casettine linde e colorate, quella che molti non svedesi ancora ricordano ed idealizzano. Nella vana speranza di inseguire un ideale di civiltà stanno facendo precipitare la situazione: opprimono i dissidenti e agevolano proprio gli invasori che vogliono costruire una società completamente diversa.

 

2-Il sistema elettorale statunitense, problematico

Potremmo scegliere parecchie angolazioni per analizzare la macchina delle elezioni USA. Parlando ad esempio di intimidazioni e brogli al seggio.
Le schede inviate per posta, raccolte nell’arco di settimane, forse rappresentano l’anello debole.

Il tema più importante però riguarda gli inquinamenti del voto a monte, sbilanciato attraverso la propaganda nei media: recentemente è saltato fuori che alle ultime presidenziali Google si è impegnato a far pendere la bilancia verso Hillary Clinton spingendo per portare più latinoamericani al voto. Ma nonostante la campagna di Trump fosse incentrata sullo stop all’immigrazione, e nonostante i dati storici di supporto schiacciante ai Dem da parte dei Latinos, il miliardario ha ottenuto un risultato inaspettato per un Repubblicano (quasi un terzo dei voti dai cosiddetti ispanici). I boss di Google sono rimasti parecchio scornati, infatti è trapelato un video dove la dirigenza del colosso di internet reagisce con amarezza e sconforto al trionfo di Trump, promette che faranno del loro meglio per contrastare lui e le idee di quelli che lo hanno votato. Notizia che rappresenta contemporaneamente uno scoop sconvolgente e una ovvietà.

Non ci sarebbe neanche bisogno di brogli quando puoi contare su di un vantaggio enorme attraverso i grandi media ed il mondo di cultura ed università.
Bene, come se non bastasse puoi aprire Facebook, Twitter, fare una ricerca con Google, usare Youtube che è sempre di Google, e sei ancora chiuso dentro la stessa bolla: si moltiplicano i filtri e la censura, i contenuti che passano vanno pesantemente nella stessa direzione. Sarebbero i media alternativi.

 

Per cui… il meccanismo delle elezioni non sarebbe nemmeno il problema più importante. Ma credo valga la pena spenderci qualche parola, specialmente perché molti dettagli non sono molto noti qui da noi.
Le elezioni americane sono piene di complicazioni e casi particolari. Per esempio nel 1960 Kennedy è diventato presidente senza ricevere la maggioranza dei voti (il cosiddetto voto popolare), ma per arrivare a questa valutazione bisogna fare un’analisi approfondita, che tenga conto del fatto che in Alabama una gran parte dei voti per il Partito Democratico andarono indirettamente non a lui ma ad un altro candidato dello stesso partito, che rappresentava i razzisti ancora numerosissimi nel Sud in quegli anni…

Ricordo parecchi anni fa di aver letto un resoconto che sembrava credibile e documentato, secondo cui ci furono brogli a favore dello stesso Kennedy nel 1960 e del suo ex avversario Nixon nel 1968, anche se a quanto pare furono determinanti per eleggere Kennedy, invece nel secondo caso Nixon aveva comunque la vittoria in tasca, ma volle (vai a capire il personaggio) barare per stravincere…

E poi ricorderete, per venire a tempi recenti, le elezioni del 2000 con Bush figlio vincitore per un soffio, Al Gore che non ci voleva stare e fece di tutto per far ricontare i voti nello stato della Florida, determinante e dove il margine era davvero minimo… Alla fine comunque si contasse non c’era modo di dare ragione a Gore, ma l’idea di una presunta vittoria negata è rimasta nell’immaginario collettivo.

All’epoca imparammo del sistema usato in certi seggi: macchine per votare con un meccanismo che apriva un buco nella scheda preforata; da cui contestazioni su schede su cui sembrava il buco fosse accennato, il pezzo di carta magari rimasto attaccato ma penzolante, come ad indicare una intenzione di voto non espressa per un problema tecnico…
E poi c’è la storia di altri casi in cui il voto tramite touch screen era falsato, pare, da un sensore tattile che rilevava la ditata su di un’area larghissima per certi candidati, tanto da sovrapporsi al nome di qualche avversario, rubando così voti.
Dici: ma possibile? Sono o non sono la superpotenza mondiale? Non possono risolvere questi problemi imbarazzanti? Pensavamo di essere noi Italiani i disorganizzati.
Beh, l’America è così, dolcemente complicata, un po’ grezza.
E soprattutto frammentata, cosa peraltro ottima perché rende ben difficile per qualcuno pretendere di tenere sotto controllo l’intero processo.
Tuttavia possono bastare alcuni stati in bilico (i cosiddetti swing states), e al loro interno pochi distretti cruciali, per determinare il destino delle elezioni, di conseguenza degli USA ed indirettamente anche il nostro; una bella tentazione per qualche attivista con il pelo sullo stomaco.

Anche se nel piccolo mondo dei nostri media la cosa ha poco risalto, le elezioni americane del prossimo 6 Novembre rappresentano un punto di svolta importantissimo. Se i Democratici dovessero davvero vincere è sicuro che procederebbero con l’impeachment, ovvero la rimozione per aver commesso illeciti, del Presidente Trump. E questo a prescindere dal fatto che dovranno inventarsi qualcosa di cui accusarlo. Una vergogna assoluta, indegna di una nazione civile. Ecco, questo è il tipo di notizia su cui dovremo concentrare la nostra attenzione.

Parecchie cose non funzionano nel sistema elettorale americano, ma la suddivisione in Collegi Elettorali, che permette la vittoria di chi ha un sostegno meglio distribuito sul territorio nonostante un numero totale di voti inferiore, come è successo con Trump, va benissimo così. (Buono spunto per un articolo futuro questo: parliamo di un chiarimento essenziale sulla natura della democrazia.)
A maggior ragione non ha senso la cagnara che è stata fatta negli Stati Uniti per denunciare un presunto complotto russo che avrebbe fatto eleggere il buon Donald. Al solito, i media ti fanno puntare l’attenzione verso le cose sbagliate.

 

 

Far votare illegalmente.

Cosa invece trovo sconcertante: il modo in cui i Democratici combattono da anni una battaglia per garantire il diritto a votare senza presentare documenti.
Uno in pratica potrebbe presentarsi al seggio anche più di una volta in luoghi differenti, senza averne diritto perché non è cittadino, oppure fingendo di essere qualcun altro… ecco, questa è roba da repubblica delle banane.
(A questo livello da staterello centramericano troviamo il caso di Michael Avenatti, soprannominato Creepy Porn Lawyer™ -ovvero il raccapricciante avvocato del porno- che dopo essere diventato famoso come avvocato di una pornostar anti-Trump, cerca in tutti i modi di andare ancora in TV mettendosi al centro di scandali. Tra l’altro candidandosi alla Presidenza degli Stati Uniti… Ebbene, c’è stato chi come Bill Maher ne ha parlato come se fosse un contendente serio!
O peggio, consideriamo 
il golpe al rallentatore in corso contro Trump, che si sviluppa a partire dalla finzione del complotto russo ed è diventata lo spunto per una inchiesta pluriennale a largo raggio su tutto l’entourage del presidente, per trovare qualunque cosa possa essere usata contro di lui. Su questo tornerò in futuro.)

L’obiezione tipica: sarebbe più semplice fare brogli in maniera differente. E poi il semplice esprimere un voto non vale il rischio di essere scoperti e condannati (e dunque questi casi dovrebbero essere rarissimi).
Ma a parte la difesa del principio, così non si tiene conto del fatto che ci sono numerosi esempi di seggi in zone urbane dove i Democratici prendono tipicamente il 100% netto dei voti (e in molti altri seggi poco meno). In questi casi tutti, inclusi quelli che dovrebbero garantire la regolarità delle operazioni, si trovano dalla stessa parte della barricata, perciò chi volesse approfittarne, almeno in teoria potrebbe coinvolgere gruppi numerosi di falsi elettori, grazie alla sensazione di impunità.

 

Il fatto curioso è che anche in Australia non sono necessari documenti per votare. Ma il paragone non regge perché nella terra dei canguri esiste il voto obbligatorio: praticamente tutti votano per evitare la multa prevista per chi non partecipa (e oltretutto non sono invasi da una massa di immigrati clandestini). Perciò non c’è spazio per chi volesse prendere il posto di qualcun altro. Al contrario negli USA milioni di persone risultano iscritte nei registri degli elettori senza averne diritto; i più perché hanno traslocato in un altro stato oppure sono deceduti.

Esistono infatti vari studi che mettono in evidenza come siano tutt’altro che introvabili i casi di brogli elettorali negli Stati Uniti, sebbene il prendere il posto di un’altra persona non sia certo l’espediente più utilizzato.

Un altro esempio rivelatore a questo link: nelle cosiddette sanctuary cities (città dove le leggi federali sull’immigrazione vengono deliberatamente disattese dalle autorità) molti stranieri possono votare senza temere alcuna conseguenza.

Prima delle scorse presidenziali i coraggiosi giornalisti di Project Veritas hanno smascherato parecchi trucchi usati da certi personaggi incaricati di fare il gioco sporco per conto dei Democratici, come si può apprezzare da questo video girato con una telecamera nascosta. Ebbene, quanto al truccare il voto in sé la mia impressione è che potessero fare poco, troppi problemi logistici. Questi attivisti Democratici non hanno nessuna remora, sarebbero felicissimi di fare brogli in grande stile: il tizio del video linkato, di nome Scott Foval, trattava addirittura come un fatto acquisito che il riempire interi autobus di gente pagata per votare illegalmente fosse una veneranda tradizione del Partito. Ma questo genere di trucchi è difficile da mettere in pratica. O perlomeno lo è diventato.
Come del resto confermato dal filmato simile girato sempre da Project Veritas nel 2012 (seconda elezione di Obama): anche lì nessun sistema organizzato, ma un caloroso accogliere compiaciuti un qualunque tentativo di falsare l’elezione a favore dei Dem. Perché, dai, è per una buona causa…

Attenzione al particolare: il voto per posta annulla quasi il rischio di essere beccati. Ci si registra usando informazioni false (ad esempio in uno stato diverso da quello di residenza) e poi si vota a distanza. Anche se venisse un controllo si può sempre sostenere che qualcuno lo ha fatto a nostra insaputa (!).

 

Obama fa l’occhiolino a chi sfida la legge

Per capire come si muove la sinistra su questo tema niente di meglio che questa famosa intervista di Barack Obama, dove l’allora presidente con maestria riesce ad evitare di appoggiare in maniera esplicita il voto da parte di clandestini ma al contempo non si oppone all’idea. Il link qui riportato punta direttamente alla pagina di Snopes dove si pretende di aver dimostrato che il meme su Obama amico dei brogli è falso.

Ma ha o non ha “invitato apertamente gli illegal aliens a votare”, come riportato da tanti a destra? Beh, tecnicamente no, non l’ha fatto.
Eppure la spiegazione di Snopes e compagnia risulta sottilmente ingannevole. Dire che Obama ha appoggiato il voto illegale da parte dei clandestini è più vicino alla verità!

Vediamo infatti lo scambio che ci interessa da quella intervista (traduzione mia):

RODRIGUEZ: Molti tra i millennials, i Dreamers, i cittadini senza documenti — e li chiamo cittadini perché danno il loro contributo all’economia di questo paese — hanno paura a votare. Dunque… se io voto, l’Ufficio Immigrazione saprà così dove vivo? Verranno a prendere la mia famiglia e ci espelleranno dagli Stati Uniti?

OBAMA: Non è così. E il motivo è che, prima di tutto, quando voti sei un cittadino. E non si presenta il caso in cui il registro dei votanti viene adoperato in qualche modo per far partire un’indagine, eccetera. Il voto è sacro ed è garantita la segretezza sul per chi hai votato. Se hai un familiare che magari è privo di permesso di soggiorno, allora hai un motivo in più per votare.

 

Ecco, questa Gina Rodriguez si rivela una fanatica perché inquadra l’intervista in modo da svuotare il senso del concetto di cittadinanza ed incoraggiare a votare illegalmente.
Infatti le persone che secondo lei hanno paura di votare sono nell’ordine: persone nate tra il 1980 ed il 2000; immigrati che stanno regolarizzando la loro posizione (questo è il significato del termine Dreamers, che origina da una legge dell’amministrazione Obama chiamata DREAM Act); immigrati clandestini in generale.

Il primo dei tre elementi della lista non c’entra nulla: i giovani adulti come categoria non hanno nulla in comune con chi, pur non essendo un cittadino, vuole partecipare lo stesso al voto. Ne parla evidentemente perché un discorso più confuso ed incongruente si difende meglio di fronte ai critici, mentre chi deve capire coglie benissimo il messaggio scartando il contorno, la cortina fumogena.

Il fatto che i cosiddetti Dreamers vengano regolarizzati non toglie che siano anch’essi entrati nel paese illegalmente; pur con la manica larga dei Democratici nei loro confronti se vogliono votare compiono un reato, nonostante l’essere già stati perdonati una volta.
Il terzo gruppo, identificato come “undocumented citizens” qualcuno potrebbe confonderlo con i cittadini che in qualche modo siano privi di una carta d’identità o passaporto. Ma si tratta di un abusatissimo eufemismo per indicare i clandestini. L’intervistatrice puntualizza polemicamente che  pretende di chiamarli cittadini perché danno un contributo (cioè lavorano e magari pagano le tasse, affermazione assurda e che porrebbe una soglia bassissima per la cittadinanza.)
Giocano le emozioni. Punta i piedi perché non vuole accettare la realtà dei fatti, in nome di una presunta giustizia.

Non è così normale che chieda direttamente ad un Presidente se la posizione del loro partito sia talmente avanzata che si possano incoraggiare gli stranieri a votare senza rischiare nulla. Da notare che nell’economia della domanda il tizio che si reca alle urne non ne ha diritto e rischia l’espulsione tanto quanto il resto della famiglia.

Obama evidentemente ha esperienza nel gestire questo tipo di retorica, riesce perciò ad evitare imbarazzi senza apparente sforzo; anzi, riesce a dare pure un assenso implicito.

Eppure sarebbe suo dovere difendere la sovranità della nazione che rappresenta ufficialmente. Ma ecco che gioca a cambiare i termini della questione.
Non è che se (non) sei un cittadino puoi votare! Piuttosto, se voti vuol dire che sei un cittadino… (wink wink, strizza virtualmente l’occhio) …poi certo che nessuno dopo farà controlli su di te se ti presenti al seggio (strizza virtualmente l’occhio).

Pare che per coprire il senso delle sue stesse parole abbia aggiunto che il voto è segreto “in termini di per chi hai votato”, osservazione sorprendente perché non ha nulla a che vedere con il resto del discorso. Non avrebbe senso tirarla fuori dal cappello (visto che non parliamo della Svezia, eheh…) ma può aiutare i classici pompieri/avvocati d’ufficio: “Visto? Non parla di coprire un reato, ha solo inspiegabilmente cambiato argomento per un attimo…”

Infine passa ad una reinterpretazione presentabile della domanda, in cui lo straniero senza permesso di soggiorno è solo un parente di chi vota; e a quel punto certo, conviene votare per i Democratici perché sono i protettori di chi sta fuori della legalità…

Fantastico: una risposta formalmente non attaccabile, anche se un po’ pasticciata. Che rassicura l’intervistatrice ed il suo pubblico: barare è cosa buona e giusta, infatti siamo dalla parte dei meno fortunati…

 

La scusa della razza

Paradossalmente, per entrare nella logica perversa dei Democratici, dovremmo accettare questa spiegazione che va per la maggiore nei media americani: col richiedere che si esibisca un documento per votare, i Repubblicani starebbero cercando di perpetrare l’oppressione di neri ed altre minoranze!

Infatti i più emarginati della società, a partire dagli Afroamericani che vivono nei ghetti più degradati, in molti casi sarebbero così poveri e derelitti da non riuscire neanche ad ottenere un documento valido, di conseguenza col chiedere loro di dimostrare la loro identità si scoraggerebbe la loro partecipazione alle elezioni.

Davvero, ma chi può credere ad una allucinazione del genere, perlomeno tra noi non statunitensi?
È stato un po’ uno shock vedere alcuni maestri di pensiero della sinistra come Jon Stewart o John Oliver (che in realtà sono dei comici, ma appunto ho detto e ribadisco: maestri di pensiero) che non solo sostenevano seriamente la tesi appena esposta, ma ci montavano su pure degli sketch comici che volevano essere di satira coraggiosa e sanamente impegnata.

if you say that voter ID laws are racist you're racist

“Quando dici che le leggi che richiedono documenti per votare sarebbero razziste, in realtà stai dicendo che le minoranze etniche non sono in grado di procurarsi un documento, cosa che è stupida e pure razzista.”

La vignetta ci ricorda il semplice buonsenso.

Eppure da sinistra rispondono con altri meme, uno più forzato dell’altro. Ad esempio presentano una vecchietta del Texas che secondo loro non ha più potuto votare da quando la legge richiede di mostrare un documento. Peccato che persino Snopes abbia classificato il caso come fake news.

Cioè, per trovare un singolo esempio che faccia al caso loro devono ricorrere al falso…

 

Sembra persino strano doverglielo spiegare!

Mica solo in Europa: anche in India, pure i più poveri hanno un documento d’identità emesso dallo stato. Come facciano tanti Americani a non vedere…

list of activities that require ID in the USA, vs. voting as the only exception

Vignetta polemica: tantissime attività per cui si usa un documento, dal prendere una stanza in hotel all’ottenere assistenza sanitaria, così come ricevere sussidi di disoccupazione o stipulare un contratto d’affitto. In tutti questi casi richiedere un documento non è un atto di razzismo. Solo quando si vota far esibire un documento con foto diventa razzista…

 

Questo video postato su Twitter riporta alla realtà: tra la gente intervistata per strada, tanti bianchi progressisti che parlano di neri immaginati come incapaci di far parte di una società, bisognosi di tutto ed incapaci di farsi un documento; contrapposti a neri perfettamente integrati e che mostrano documenti con stupore, tipo: “Beh, che volete?”

 

L’argomentazione che taglia la testa al toro sulla Voter ID (obbligo di documenti per il votante)

Mi fa strano che non ci abbia pensato nessuno prima, almeno per quel che mi risulta.

Diciamo che sei così povero e svantaggiato che in qualche modo non riesci a farti i documenti, magari perché non hai la volontà, stabilità mentale, soldi o chessoio per prendere un autobus e recarti in un ufficio pubblico. Ma allora non sei in grado di stare al mondo! Sei bisognoso. Darti un documento sarebbe un primo passo minimo. Fattibilissimo perché ci riescono anche nei paesi più poveri.

Dunque se i Democratici davvero ci tengono, come dicono, agli Ultimi, in gran parte appartenenti a minoranze etniche, dovranno sostenere con vigore l’emissione di carte d’identità per tutti, tra le altre cose.
Se al contrario non gliene frega niente di questi fratelli meno fortunati, ma gli interessa solo ottenerne il voto, allora sì, non devono far altro che continuare a sostenere il diritto a votare senza dimostrare chi sei.

Scusate se non ho fatto la versione italiana, ma è argomento per un pubblico molto mirato. “I documenti sono necessari. Per votare; ottenere una medicina, auto, casa, telefono, lavoro, buoni pasto, aiuti vari… Se i democratici ci tengono ai più poveri allora: carte d’identità per tutti. Se i democratici vogliono solo il loro voto allora: nessuna richiesta di identificazione di chi vota.”

 

Conclusione

Alla fine della fiera, la Svezia vince comunque il confronto: per quanto macchinoso e difettoso sia il sistema negli USA, non è comunque il fattore determinante.
Al contrario nella Landa degli Omini Ikea la pressione psicologica che ti viene dalle persone che ti circondano sta avendo un impatto fondamentale sulle chances di sopravvivenza della nazione, quindi è sconcertante scoprire procedure di voto che rafforzano questo aspetto sinistro, spingendo sempre più verso il conformismo.
Non c’è foglietto di istruzioni Ikea che con i disegnini ti possa insegnare a ricostruire quella realtà, una volta distrutta.

 

 

Appendice-Post Mortem

Ancora una volta abbiamo assistito alla farsa dei riconteggi in Florida e Arizona, con secchiate di nuove schede “trovate” nei giorni successivi all’elezione, che hanno rovesciato parecchie battaglie locali spostando immancabilmente i voti, anche in maniera massiccia, verso i Democratici. Con inevitabile menzione della Contea di Broward, come esempio più impresentabile di una sinistra che usa l’illegalità per prevalere ad ogni costo.

Quando la posta in palio è alta si percorrono contemporaneamente tutte le strade possibili pur di truccare il risultato, ed ecco tra gli altri l’esempio straordinario della California.

Non bastava aver trasformato questo stato così ricco e popoloso in un bastione dei Democratici, attraverso una immigrazione massiccia e facendo fuggire la classe media verso altri stati. C’erano ancora delle sacche di resistenza, contee dove non si vota(va) nella maniera giusta. Ed ecco addirittura la legge pensata apporta per facilitare nuovi brogli: gli attivisti possono raccogliere schede votate e portarle poi con comodo al seggio. Centinaia di migliaia di nuovi voti, conteggiati più di due settimane dopo l’elezione, sono riusciti a rovesciare il risultato in 7 dei 14 distretti in cui ancora si eleggeva un Repubblicano. Più farsa di così.
E anche volendo, cosa potresti ricontrollare? Nessuno crede che siano voti veri, al massimo una parte sono di persone fragili, anziane, ignoranti o disinteressate che non avrebbero votato ma sono state intortate dal militante di turno che gli è andato in casa manco fosse un Testimone di Geova, e ha strappato un consenso sul momento.
Infatti parecchi commentatori sono venuti sul mio sentiero, parlando apertamente di repubblica delle banane.

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