Perché tutti questi santi?

Lasciatemi aprire con una di quelle rare massime di Oscar Wilde che hanno un senso:

 

La Chiesa Cattolica è solo per i santi ed i peccatori – per le persone rispettabili basta la Chiesa Anglicana.

 

Ieri si festeggiava Ognissanti.
Può sembrare una festa sorpassata, incomprensibile, fuori del tempo, ma questo dimostra solo che abbiamo un disperato bisogno di santi.

Quando la normalità non sa sognare eroismi, tantomeno apprezza lo sforzo di chi sceglie l’umiltà, il servizio ed il nascondimento, il santo è il vero anticonformista. Ed è l’unico che potrebbe salvare la nave che affonda.

Forse una cosa o due la possono insegnare questi cattolici, che insistono a non cercare una fede rassicurante come quella protestante, dove la salvezza personale è già garantita, il posto in Paradiso è prenotato, dunque lo sforzo eroico non è richiesto.

 

Ma oggi vorrei soffermarmi su altro. Non la chiamata alla santità ma ciò che viene dopo:

 

Il culto dei santi (gasp!)

A che serve? Non è controproducente? Non distoglie dall’adorazione pura dell’unico Dio?

Sembra incredibile doverlo spiegare, ma l’essere umano non si sente realizzato quando si riduce la fede ad una esperienza asciutta, cerebrale, spogliata di tutto il contorno.
Se tagli riti, feste, statue, processioni, incenso, devozioni, ti impoverisci.
Abolire i Sacramenti e la preghiera di intercessione poi è come imporsi una mutilazione.

Nudi e soli di fronte a Dio Padre, ci sentiamo giudicati.
Schiacciati nel buio e nel vuoto. E per quanta luce giunga dalla Luce, questa ci fa sentire ancor più il peso del nostro buio e del nostro vuoto. Per contrasto.

 

Certo, Gesù Cristo è l’Unico Mediatore, in senso proprio.
Ma noi poveri mortali viviamo e comunichiamo, inciampiamo e ci rialziamo passando attraverso infinite mediazioni, a tutti i livelli. Dio non ha bisogno di aiuti, ma noi sì!
A partire da nostra madre, fino ai santi del Paradiso, passando attraverso un amico che prega per noi. Tutti possono dare un contributo per aiutarci a colmare le distanze.

 

Anche non avessimo un bisogno emotivo di qualcuno che intercede per noi, c’è una grande ricchezza nel riscoprire ed assaporare il Mistero presente in tante forme, in tante storie umane a cui ci possiamo rapportare, immedesimandoci nel racconto.

Per spiegare l’importanza di questo calore umano ho pensato a tre storie di santità, da accostare a casi della vita.
(Notate che la straordinaria varietà degli uomini e donne di Dio mi permette di fare scelte fuori dagli schemi, imprevedibili, senza attingere alla secolare tradizione dei santi protettori.)

1. Un iracondo, capace di rovinare tutto a causa di uno scatto di rabbia violenta.
2. Una persona tradita dal marito o dalla moglie. Portata a macerarsi con il veleno del dolore, della rabbia amara, senza soluzione.
3. Qualcuno sul punto di commettere un suicidio.

 

A queste tre persone, colte nel pieno della loro esperienza di buio, il richiamo all’amore astratto di Dio Padre non verrà in mente. Non nel momento della rabbia o della disperazione.
E se tu, bravo cristiano capitato al posto giusto al momento giusto, glielo sapessi ricordare con le parole più adatte, di solito non otterresti nulla: non desterebbe in loro alcuna emozione particolare. Al massimo una reazione di rigetto.
Gesù Cristo, con il suo sacrificio sulla Croce? Più vicino a noi, certo, più tangibile. Ma così eroico da risultare comunque distante dalle nostre miserie del momento. Stessa reazione tipica: nulla di fatto.
Difficile toccare nell’intimo partendo da simili vette.

 

1. Mother Angelica

Forse la suora più famosa degli Stati Uniti negli ultimi 50 anni grazie alle sue apparizioni televisive, questa donna battagliera -capace di fondare un impero di TV e media al servizio del Vangelo- è facile pronosticare verrà inserita nel Canone dei Santi.
Bene, ci viene rivelato che aveva un carattere particolarmente difficile. Era una testa calda, per questo doveva tenere sotto controllo, ed incanalare verso obiettivi più elevati, la sua tendenza ad avere scatti d’ira, impuntarsi e litigare.

Ora immaginate una persona iraconda che sa di condividere questa caratteristica con Madre Angelica. Una figura di santa così vicina al suo vissuto.
Che viene istruita a praticare, tra le altre, una preghiera speciale rivolta proprio verso questa suora.
Il semplice conoscere non basta. Parliamo di una preghiera giornaliera, che coinvolga emotivamente. Ma anche pensarla ogni tanto.
Bene, col tempo il nostro “testa calda” avrà imparato a vivere quei momenti di rabbia non come una nebbia in cui abbandonarsi alla voglia di distruggere, ma al contrario come un’occasione per condividere (con la santa che lo sta guardando in quel momento!) il proprio cammino di crescita, la lotta contro i propri bassi istinti.

Se ad un santo che senti tuo ci parli, crei una familiarità… davvero non vogliamo credere che ti dia una marcia in più?
E’ ragionevole pensare di poter ottenere gli stessi benefici col solo leggere un passo della Bibbia, o con una proposta di meditazione sui grandi misteri?
O forse riusciremmo a sentirci altrettanto facilmente in confidenza con Gesù Cristo?

Chi ha provato a prendersi sottobraccio un santo che sentiva particolarmente vicino vi può rispondere.
Davvero è un peccato che anche tra i cattolici questa opportunità non venga di solito neppure esplorata!

 

2. Beata Paola Gambara

Una figlia di famiglia nobile di fine XV Secolo, sposata ad un conte per decisione dei genitori, in realtà avrebbe voluto seguire la propria vocazione religiosa. Ad un certo punto la ritroviamo Terziaria Francescana a vivere nel proprio palazzo come fosse in un convento, mentre il marito libertino non solo la tradisce, ma si porta l’amante a vivere sotto lo stesso tetto.
Paola continua a sopportare, pregare ed aiutare i poveri.
Poi la rivale, l’amante del marito, si ammala. E la beata va al suo capezzale a dirle che l’ha perdonata ed accudirla fino alla morte.
Alla fine anche il marito viene vinto dalla santa determinazione della nostra protagonista e si converte, cambiando vita.

Ora, è chiaro che a molte donne di oggi questo esempio di santa sopportazione potrà risultare fastidioso (a dir poco), dato che si muove nella direzione opposta a quella scelta dalle figlie del femminismo. Io stesso sottolineo: riconosciamo una campionessa di virtù ed ammiriamo il caso eccezionale, ma alla maggioranza delle mogli così tradite suggerirei, con prudenza, di cacciare il maiale di casa.

Eppure è un tipo di eroismo che serve. Se si impara a rapportarsi alla beata Gambara non come ad un caso curioso del passato, ma come ad una persona vera, presente, che capisce i nostri tormenti… beh, può darci una forza particolare nel non lasciarci vincere dai torti subiti.

Si dirà: forse che Dio stesso non può comprendere cosa abbiamo dentro, nel profondo, meglio di un santo? E allora non c’è davvero bisogno di questa intermediaria…
Ma certo, come no! E però questo ragionamento astratto non tocca il nostro vissuto. Sapere che avremmo potuto rivolgerci direttamente a Dio non ci aiuta a farlo.

 

3. Beata Panacea De’ Muzzi

Beata Panacea de'Muzzi

La Beata Panacea de’Muzzi

 

Una piccola, terribile storia del XIV secolo. La ragazza, Panacea, è orfana di madre e subisce vessazioni da parte della matrigna.
Porta le bestie al pascolo e passa molto tempo a pregare. Un giorno tarda a rincasare, la matrigna va, la trova assorta che sta ancora pregando nei pressi di una chiesa, e l’ammazza di botte. Letteralmente.
Sconvolta dal delitto commesso, la matrigna si suicida gettandosi in un burrone.

Struggente.

 

Pensate ad una persona che si arrovella per qualche pena profonda ed accarezza l’idea del suicidio; perché trova inaccettabile il mondo che ha davanti, perché ha perso il controllo; spesso come gesto narcisistico che mira a devastare coi sensi di colpa le persone che ha più vicine.
Difficile pensare, anche se si aprisse con qualcuno, che una persona in queste condizioni sia disposta a rimettere in discussione il suo piccolo mondo fatto di meschinità, dolore, risentimento, paura del futuro, vergogna e chissà che altro…

L’unica voce che può farsi sentire è quella che sorprende, comincia un discorso nuovo, ridefinisce i termini della questione. Un tasto reset.
Non l’analista che ti incoraggia a rimestare e rimirare i tuoi escrementi mentali, ma il confessore che ti dà uno schiaffo e ti dice “questo non si fa!”

E potrebbe aiutare avere presente, come un’alleata, la giovane Panacea. Vicina, che ti abbraccia e ti stringe disperata ricordando la matrigna: che ci mette tutto il suo cuore per tenere la gente lontana da un gesto tanto assurdo, o che cerca di consolare chi ha perso un familiare in questa maniera tremenda.

 

Ecco, ci sono lacrime che sono talmente nobili e belle che sono convinto vengano versate anche in Paradiso.

 

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