Il teatrino delle diversità
Cosa significa vivere in una bolla. Una bella sera il nuovo vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence decide di andare a teatro a vedere un musical a tema storico, su Alexander Hamilton. Viene fischiato. Alla fine dello spettacolo gli attori dal palco gli fanno un bel predicozzo, sul fatto che non si sentono sufficientemente protetti dalla nuova amministrazione, che non sarà capace di prendersi cura del Pianeta (!) e rispettare la Diversità della società americana.
In altre parole siete dei razzisti ignobili per definizione. Noi attori non accettiamo la vostra vittoria. Ci sentiamo in diritto di attaccarvi frontalmente perché siamo i rappresentanti del bene. La nostra capacità di intrattenere il pubblico dimostra la nostra intelligenza; quindi possiamo dare lezioni a tutti, e ciò che diamo per scontato definisce la realtà. Di conseguenza siete colpevoli e non potete fare altro che cedere alle nostre richieste e riconoscere la nostra guida culturale.
Personalmente avrei risposto loro come segue:
Comprendo come pensiate di avere buone ragioni per sfogare la vostra rabbia, tirando fuori tutti i vostri pregiudizi mentre credete di essere le persone più aperte di questo mondo.
Gli Stati Uniti oggi sono, possiamo dire, divisi in due fazioni: per convincersene basta guardare una mappa della distribuzione del voto contea per contea. Nelle aree blu hanno prevalso i Democratici, più concentrati nelle grandi città; quelle vaste aree di rosso invece marcano il territorio a netta maggioranza Repubblicana scherzosamente chiamato “Flyover country” (=la parte del paese che non conta niente, esiste solo per sorvolarla con l’aereo).
Questo tipo di divisione non è niente di nuovo né di specifico degli USA: al contrario, vale un po’ ovunque e nelle varie epoche.
Pensiamo al referendum sulla monarchia del 1946 in Italia, dove le campagne votarono per il re.
Oppure prendete i primi cristiani, che per il loro tempo erano l’avanguardia: inizialmente il Vangelo si è diffuso soprattutto attraverso la predicazione nelle grandi città. Di conseguenza iniziarono a identificare i seguaci della religione tradizionale romana come “pagani”, una parola che indicava semplicemente gli abitanti del contado: gente di campagna, che rimanendo naturalmente più isolati mantennero le loro vecchie tradizioni un po’ più a lungo rispetto a chi viveva nelle città della costa.
Ecco, qualche americano a questo punto coglie la palla al balzo per tirare fuori lo stereotipo, che ha un fondo di verità, dei bifolchi del Sud che, parafrasando Obama, rimangono cocciutamente avvinghiati alle loro Bibbie e ai loro fucili, così frenando il progresso della Nazione.
Ma cambiare non è necessariamente cosa buona. La tradizione e la prudenza sono necessarie per rendere solida una civiltà.
In campagna si impara a contare sulle proprie forze, sviluppando un senso di responsabilità; nella giungla urbana si finisce per dipendere troppo dal sistema, passivamente.
Le città non sono decisamente esenti da critica. Fino all’epoca moderna nei centri urbani le morti schiacciavano le nascite, richiedendo un continuo afflusso di nuovi abitanti, immigrati dalle campagne, per non farle scomparire. Tra le cause principali di morte, anche lo scatenare guerre, tumulti e pogrom.
Certo, quasi ogni innovazione è arrivata dalle città; ma lo stesso vale per i mali più nuovi e più distruttivi.
La civiltà cristiana si è diffusa attraverso l’interscambio culturale che è solo possibile in aree densamente popolate; e così accadde per il movimento per l’abolizione della schiavitù e per i vari progressi tecnologici. Ma nello stesso ambiente trovarono terreno fertile anche il comunismo e il nazismo!
Invece di focalizzarvi su concetti vaghi come “progresso”, “cambiamento” e “diversità”, dovreste domandarvi che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Sostenendo solo i progressi reali e opponendovi a ciò che è dannoso.
Altrimenti il vivere in grandi centri urbani, dove accadono un sacco di cose interessanti ogni giorno, finirà solamente per portarvi a seguire ciecamente l’ultima moda ideologica, diventando parte di una tribù, rafforzando i vostri pregiudizi attraverso l’approvazione del gruppo. In questo modo diventereste incapaci di accorgervi se state seguendo un Martin Luther King redivivo, oppure al contrario se state correndo dietro a un nuovo Robespierre.
Suggerirei un criterio a spanne molto pratico per affrontare il Futuro: siamo di fronte ad un periodo di crescita e prosperità, oppure di decadenza? Se ricadiamo in quest’ultimo caso, le nuove idee e le ultime tendenze potete già aspettarvi che saranno pericolose, decadenti, malvagie. E la cultura urbana sarà imbevuta di questo veleno in proporzioni spaventose!
Oltretutto storicamente i contadini avevano ben poche opportunità per entrare in contatto col mondo esterno: forse un mercato una volta alla settimana, per incontrare facce nuove; un cantastorie itinerante più raramente; dei viaggiatori, un esercito invasore qualche volta nella vita…
Oggi anche le comunità più isolate hanno accesso a Internet e televisione. Le comunicazioni e l’informazione hanno subito una rivoluzione. Persino il più ignorante abitante degli Stati del Sud, tutto Bibbia e fucile, ha avuto almeno l’occasione di imparare qualcosa riguardo alla fazione opposta e di conoscere una realtà completamente differente.
Non c’è mai stato nella storia un momento come questo, in cui le persone che ancora fanno parte di piccole comunità siano state così esposte al punto di vista di quelli che disprezzano il loro stile di vita.
D’altro canto le città sono cresciute fino a proporzioni spaventose, la vita di città è diventata sempre più alienante: probabilmente mai prima d’ora un tipico cittadino è stato così scollegato dal resto del paese. Il vivere chiusi in una bolla di “uguali” è la conseguenza naturale dell’impaccare un sacco di persone in uno spazio ristretto.
Lo stesso sistema mediatico che spinge gli ascoltatori che vivono in realtà rurali a mettere in discussione i loro principi e a diventare sempre più simili ai loro padroni di Washington e di Hollywood, sta contemporaneamente inviando gli stessi messaggi agli abitanti delle città, ma nel loro caso questo significa rafforzare ancora di più i loro pregiudizi, spingerli fino al massimo del conformismo.
Occorre leggere il mondo superando gli slogan e le cortine fumogene. Abbiamo qui parecchi indizi sul fatto che ci sia molta più saggezza, per quanto imperfetta, in quegli ampi spazi rossi della cartina. Discorso analogo si potrebbe fare per i “bifolchi del Brexit” nelle campagne inglesi, e per le zone “più arretrate” d’Italia, dove la gente ancora preferisce una processione mariana ad un flash mob multiculturale di strada.
Il problema serio sono le comunità cittadine sempre più disastrate, e sempre più omogenee quanto a scelte politiche. Detroit, un tempo grande e ricca città dell’automobile, oggi zona depressa di delinquenza e disoccupazione, inesorabilmente in mano a sindaci Democratici che mettono la pezza calda sul male aggravandolo, non è più l’eccezione.
Cari miei, voi mettete un attore nero accanto ad un attore bianco e pretendete di aver raggiunto la Diversità! Sciocchi! Il colore della vostra pelle non conta, non deve contare: la vostra diversità è solo un artificio astratto, una forma senza sostanza.
Piuttosto, state creando bolle artificiali dove tutti la pensano allo stesso modo e danno per verità acquisita che solo i mostri possano non essere d’accordo con loro.
Alla fine diventate persone orribili che considerano i dissidenti persone orribili. E gliela fate pagare per i loro presunti peccati sociali.
La vostra bolla si espande fino a schiacciare quelli che vivono all’esterno!
Eccolo il problema delle parti blu della cartina. Siete VOI che mancate di “diversità”! Epperò non ve ne accorgete e non vi mettete mai in discussione.
Appendice. Una cartina, le “Fake News” ed il presunto “Fact-Check”
La cartina che apre questo articolo serve a mostrare un contrasto tra due Americhe.
Il semplice contare i voti non ti dice abbastanza sulla natura del voto, specialmente in una nazione federale grande quanto un continente.
Qui Breitbart analizza il problema, dopo una sua elaborazione dei dati.
Donald Trump ha vinto con un netto margine di 7.5 milioni di voti in 3084 delle 3141 contee totali […]
Hillary Clinton, all’opposto, ha ottenuto un margine di 8.2 milioni di voti a suo favore in una fascia stretta di 52 contee sulla costa e 5 città assimilate a contee
In effetti è un modo molto interessante di metterla. Certo che ci sono stati un sacco di voti per entrambi un po’ ovunque, e Hillary ha vinto anche in contee nel cuore d’America. Ma rimane davvero notevole il suo vincere con un margine così ampio (70 contro 25%) in una porzione così ristretta del paese. Anche fuori da quelle fasce, ha potuto contare soprattutto sul voto delle grandi città.
Notate che questo mettere in evidenza un simile livello di divisione è cruciale per capire il meme del “voto popolare”, ovvero l’idea che in una elezione dove non contava il numero di voti totali (e quindi né i politici né i votanti hanno agito in base a questo assunto) ora dovremmo considerare l’elezione di Trump meno valida perché la Clinton ha preso un pochino più di voti in tutto. Sì, ma distribuiti in pochi centri!
Il punto è che il meccanismo del Collegio Elettorale (dove gli stati piccoli hanno un pochino più di peso rispetto alla loro popolazione) valorizza la vera diversità, dà voce a parti molto differenti degli Stati Uniti, mentre una eventuale elezione dove conta solo il numero di voti totali renderebbe massimo l’effetto-branco, marginalizzando la maggior parte del paese. Le campagne elettorali si concentrerebbero in poche metropoli, favorendo l’ascesa dei
.
Poi, guarda un po’, questa analisi fatta da Breitbart è piaciuta e parecchi hanno voluto condividere il dato, su Twitter, via email eccetera. Ma hanno fatto un errore nel riportare: invece di dire che Trump ha vinto quelle 3084 contee tutte assieme, hanno scritto che Trump ha vinto in ciascuna di esse.
E questa diventa un bell’esempio di fake news, ovvero le notizie false di cui i media, specialmente negli Usa, non fanno che parlare ultimamente. Sbufalata in questo articolo dal famosissimo Snopes, forse il più importante sito antibufala.
Le fake news sono il tema caldo di oggi perché gli si vuol dare la colpa di aver permesso l’impensabile, ovvero l’elezione del puzzone chiamato Donald. Ci torneremo prossimamente.
Mi sta bene che Snopes parli di politica come se si trattasse di un’estensione del suo verificare le leggende urbane, sbugiardando dei messaggi anonimi o di cui nasconde l’autore per evitare di fargli pubblicità.
Il problema è che, anche se Snopes non dice niente di propriamente inesatto, riescono a porre la cosa in maniera profondamente ingannevole.
OK, le contee vinte dalla Clinton non sono state solo 57 su 3141.
Ma a questo punto sono curioso: alla fine quante ne ha vinte, si può sapere? Snopes non lo dice. Evidentemente hanno deciso che non valeva la pena di fare lo sforzo di contare.
Snopes è implicitamente schierato a sinistra. Il punto di vista che vogliono far passare: l’articolo di Breitbart, che è forse la più importante testata giornalistica pro-Trump esistente, deve essere trattato come materia più che discutibile, anche se l’errore non lo hanno fatto loro (è solo qualche tizio su Twitter che ha presentato male il loro dato!) Il lettore deve ricavarne l’impressione di aver a che fare con una fonte non attendibile, dalle fogne di internet; ma allo stesso tempo l’autrice dell’articolo di Snopes, Kim LaCapria, non accusa direttamente Breitbart di nulla; per questo non la si può criticare per aver commesso scorrettezze. Maliziosamente sottile.
Ecco come porta avanti la sua disanima dell’articolo di Breitbart, per creare false percezioni:
Quell’articolo riportava un link ad un pezzo di “Politico”, ma […]
“Politico” è il nome di un famoso sito americano che (guarda un po’) parla di politica. Ovviamente schieratissimo coi Democratici, ma alla maniera dei giornalisti, senza troppo voler dare a vedere. Capite il tono della sbufalatrice? Sì, cercano una pezza d’appoggio su di un sito rispettabile (uno “dei nostri”), ma…
Non c’è nessun ma! Breitbart non sta certo cercando di dimostrare quel che sostiene attraverso quel link, perciò non potete dare ad intendere che hanno cercato e non ci sono riusciti!
Una cartina è stata attribuita ad un blog della University of Michigan,
“Attribuita”: anche se la cartina va bene, la scelta delle parole lascia intendere che deve esserci qualcosa che non va. (Gli avversari politici sono sempre sotto esame, se ti atteggi a censore del mondo).
questo blog mette a confronto diverse carte che mettono a confronto i risultati elettorali come sono mostrati in genere, con cartogrammi (che applicano una correzione che rende conto della densità di popolazione).
Faticosa anche da tradurre questa frase, la LaCapria qui scrive in maniera affrettata e poco chiara, e sembra credere che i cartogrammi siano solo per rappresentare la popolazione, come in questo caso.
Insomma, l’articolo di fact-checking qui inserisce tre cartine differenti che non provano nulla. Una usa delle sfumature di colore per indicare l’intensità del distacco contea per contea, altre due dei cartogrammi che saranno pure interessanti ma non c’entrano nulla col discorso iniziale. Perché? In fondo non si contesta nulla di specifico. Ma conta l’impressione! Loro in qualche modo hanno corretto, fatto capire che le cose erano più complicate…
Parlande delle 57 contee sulla costa scelte da Breitbart per la discussione, la LaCapria due volte usa l’avverbio “purportedly” (=asseritamente, presumibilmente, a quanto dicono), come per dover dubitare di Breitbart per principio, eppure sarebbe stato semplice controllare i risultati (una lista di contee, dati elettorali pubblici). Non lo ha fatto e così può fare la parte: saranno attendibili? Mah?
Ecco come conclude il suo pezzo su Snopes:
La cartina su cui è basata la loro affermazione viene da una serie di proiezioni dell’università [del Michigan], il cui autore ha ripetutamente fatto notare che quella carta rispecchiava in maniera inadeguata la distribuzione dell’elettorato.
Momento. L’autore della cartina dice che non è affidabile? Certo che no. Probabilmente pende a sinistra pure lui, e comunque fa la parte, prevedibile, dello studioso prudente che non ammette volgarizzazioni e versioni troppo semplificate del suo lavoro. Ma certamente chiunque al suo posto avrebbe detto che a presentare quella cartina da sola, senza le altre, si disegna un quadro incompleto. E chi non sarebbe d’accordo?! Non è questo il punto.
Il punto è che Breitbart mette in evidenza solo un aspetto, perché si può sostenere che è il più interessante. Non dà il quadro completo di tutto nè sta cercando di farlo. Si focalizza su di un aspetto che conta: una nazione divisa. Non del tutto, ma in maniera significativa.
E infine:
Non siamo riusciti a trovare una giustificazione per il numero delle “57 contee” attraverso alcun procedimento matematico.
Eh no, scusate, qui c’è della malizia. E’ un modo vergognoso di influenzare i lettori, dicendo cose tecnicamente vere.
Quelle contee sono state scelte esplicitamente secondo un filtro sociale: mettere in evidenza una spaccatura geografica. Non c’è stata alcuna pretesa di aver derivato quel numero in qualche modo attraverso la matematica! E’ parecchio stupido già suggerire l’idea! Epperò con queste parole Snopes lancia il messaggio: ancora una volta la battaglia è tra gli esperti che stanno dalla parte della matematica e della scienza, di conseguenza della Sinistra, e gli sciocchi della Destra che fanno affermazioni senza fondamento.
Slap, una bella X rossa: FALSO. Falso cosa? Il modo in cui qualcuno ne ha parlato su Twitter!
Qui trovate in bella vista il problema delle cosiddette fake news. In effetti incontriamo due ben differenti varietà di falsità:
- affermazioni tecnicamente false, che gonfiano un dato che però era oggettivo ed evidenzia un problema reale, sistematicamente minimizzato dai media
- affermazioni tecnicamente vere, furbescamente calibrate in maniera da nascondere un problema e rafforzare un pregiudizio che i media stanno cercando di inculcarvi.
Indovina su quale varietà di “fake”, di falsità, si lanciano in questi giorni allarmi indignati che riecheggiano per tutto il web?
Ah ma non gliela do vinta.
Un grafico che rende perfettamente l’idea
Ho trovato questo articolo dal Washington Post che riassume bene il problema: la Clinton ha trionfato in quasi il 90% dei centri città. Trump ha prevalso nel 75% delle periferie e delle città di media grandezza, in quasi il 90% delle città piccole o molto piccole, in più del 90% delle contee rurali. Una spaccatura netta, come ho detto.
Il contrasto potrebbe risultare ancora più drammatico selezionando e trattando a parte i centri di quelle città che hanno pochissimi cittadini non di origine europea, da un lato, e le aree rurali piene di immigrati dall’America Latina, dall’altro (l’articolo per esempio evidenzia che le contee più vicine al confine messicano sono andate alla Clinton).
Comunque la si metta, è un problema sostanziale: uno dei punti di forza degli USA è sempre stato il senso di unità della nazione, pur tra tanti contrasti.