Medium fa schifo

Medium è una piattaforma di blogging che non conosce la neutralità. Spingono in una direzione, persino contro i loro interessi.

 

francobollo sovietico di propaganda del 1968

Uomini che si baciano in pubblico: aveva un significato completamente differente durante la penultima rivoluzione. Sempre propaganda però. Image (CC-BY-SA 2.0) by Vintageprintable1

Mi sfogo un po’ dopo aver ricevuto la milionesima email irta di propaganda gentilmente speditami da Medium, il sito di blog che va per la maggiore ultimamente.

Nella loro idea i titoli che mi propongono dovrebbero invogliarmi a cliccare, leggere e magari abbonarmi. Ma quando mai!

Esempio per capirci. In questa email che mi ha spinto a scrivere c’erano due articoli nella sezione Politica.

Il primo è il solito pastone indigesto sui pericoli del Fascismo oggi, scritto da un tizio evidentemente allucinato che per qualche ragione mi viene continuamente riproposto tra gli autori di pregio.

L’altro articolo è intitolato:

L’esperienza di uno dei pochi volontari che fanno la guardia ad una clinica per aborti
Il suo compito: proteggere le donne dai manifestanti pro-life

Beh, non c’è che dire, una bella fantasia. Non deve essere facile inventarsi ogni santo giorno un modo differente per trattare un determinato argomento, rigorosamente solo per sostenere un unico punto di vista.
In questo caso siamo invitati ad immedesimarci col tizio che fa la sorveglianza, cosa di per sé parecchio nuova a sinistra (ricordiamo i casi come Fabrizio Quattrocchi: se vai in Medio Oriente come contractor armato a scortare i rappresentanti locali di ditte occidentali e lì muori, ti tocca la maledizione postuma da parte dei benpensanti).
Ma sai, se difende i diritti delle donne anche una guardia giurata diventa un buono.

 

E vabbé, direte, ci sta che qualche articolo sia di parte. No, non potete capire: è un continuo. Email dopo email.

Prendo ad esempio una singola newsletter di Medium presa un po’ a caso, da Marzo scorso:

-In base alle tue letture precedenti (ecco lì: mi vogliono convincere che è colpa mia se l’algoritmo ha scelto certa roba)

Black Panther è uno degli eventi culturali più importanti della storia americana
Come ormai sapete tutti, Black Panther nello scorso weekend ha frantumato tutti i record di pubblico, non solo per film afroamericani…

Fa un po’ ridere: un filmetto sciocco senza spessore, su di un supereroe dei fumetti tra i meno noti, viene descritto in termini roboanti, come fosse quell’avvenimento memorabile che trasforma la cultura di una nazione. E questo solo perché il protagonista è africano eccetera eccetera.
Il bello è che propongono queste assurdità a me che non sono americano, non ho mai avuto interesse al genere dei fumetti tipo Superman, e non guardo neanche più film (sono fatto strano, lo so).
Il film in sè (per chi legge l’Inglese e vuole seguire il link) viene sapientemente demolito da una mia vecchia conoscenza.

 

Neanche l’Europa ci mandò i suoi figli migliori: riflessioni sugli “Illegali” e su quelli che dimenticano
Il mio bisnonno doveva essere visibilmente euforico. Dopo un viaggio così lungo, finalmente era quasi arrivato alla meta…

E qui siamo in piena prevedibilità: pretendere che il fenomeno migratorio attuale sia equivalente a quelli del passato.

 

-Nuovi articoli, Politica

Assegnata a Trump la medaglia del Congresso per meriti immaginari.
La prima onoreficenza mai conferita in nome di un eroismo inesistente.

Stiamo assistendo all’inizio della fine di Trump?
Trump può ancora contare su sostenitori fanatici, ma grazie ad una nuova ondata di scandali, la sua incompetenza e la sua sconfinata…

Ma che genere di persone apprezza questo tipo di contenuti? È pornopolitica!
Evidentemente si tratta di milioni di Americani. Per molti di loro questa è la realtà, l’unica che abbiano mai consciuto.

 

Una volta ho letto un articolo su Medium ad argomento tecniche fotografiche. Cose tipo composizione dell’immagine, la legge dei terzi, dare spazio al soggetto…
Per questo hanno deciso che voglio seguire la categoria Fotografia. Ed ecco i due articoli al riguardo che mi hanno proposto per quel giorno.

-Novità in Fotografia

Gli anni della Disco Music erano un caleidoscopio di “Sì!”
Ben prima dell’avvento dei rave e della musica dance, l’amore libero e l’inclusività animavano le discoteche

SAGGIO FOTOGRAFICO: la storia di un uomo transgender
Il fotografo ed Artista Transgender T. Chick McClure documenta il proprio cammino, settimana dopo settimana, a partire dagli inizi…

Amore “Libero” ed inclusività, transgenderismo. Ma certo. Fotografia.

 

Quante pubblicazioni, spettacoli televisivi, dibattiti, film, programmi scolastici spingono verso la “cultura dell’accettazione” ed il “progresso”, adoperando messaggi dal forte carico emotivo, forzando ad immedesimarsi chi è vulnerabile a questo genere di ricatti morali?
E non basta ancora.

 

L’abbiamo visto succedere in continuazione. Piattaforme generaliste che dovrebbero essere neutrali come Facebook, Twitter, Medium e la stessa ricerca su Google diventano sempre più sbilanciate verso la loro parte politica. Combinazione la stessa che domina le università da cui provengono fondatori e dipendenti delle stesse aziende internet. Sono chiusi nella loro bolla, che però si sta espandendo grazie ai loro sforzi, ovviamente benintenzionati.

Ecco perché dico che Medium non (ri)conosce neutralità: non correrebbero mai il rischi di essere neutrali, ostacolando la causa.

 

E no, non è la mia bolla personale.

Potreste pensare che la ragione di questo sbilanciamento nella newsletter che ricevo sia solo il mio aver cliccato in passato su contenuti de sinistra.
> Ma prima di tutto i casi peggiori si trovano tra le “Selezioni della redazione”, che mi aspetto sia una categoria che non dipende dalle mie scelte ma viene gestita.

> Inoltre è vero che a volte ho cliccato su link che mi vedevano in forte disaccordo, soprattutto per curiosità (“Voglio vedere come fanno ad affermare una roba del genere!”). Ma l’ho fatto dopo mesi in cui mi sottoponevano titoli che mi facevano sorridere incredulo.
Non è difficile farsi portare a comprare la merce che vendono (per così dire), cominciando a cedere. Il tuo feed, il tuo flusso di contenuti si può trasformare in una sorgente di propaganda progressista senza neanche che te ne accorga.

> Soprattutto, all’inizio e per un periodo non breve, tutto quello che lessi su Medium, argomento politica, furono 6 o 7 articoli scritti da Mike Cernovich, ovvero uno dei giornalisti indipendenti più discussi e discutibili, parte della cosiddetta Alt-Right, a destra di Trump.
In Febbraio lo hanno bannato dal sito, cancellando tutti i contenuti che aveva pubblicato.
L’occasione: un giro di vite contro le cosiddette “fake news”, ovvero decidere brandendo l’accetta chi ha il permesso di scrivere e chi va cassato, valutando il comportamento degli autori, il loro eventuale supporto per idee inaccettabili o l’aver pubblicato notizie false secondo il punto di vista di Medium.

Ma ha senso? Dopo che hanno obliterato le pagine che rappresentavano il motivo per cui visitavo Medium, vengo bombardato di contenuti che provengono dall’estremo opposto dell’arena politica! Hanno un algoritmo di selezione così cattivo?

Notate che, anche se non credo necessariamente a quello che scrive Mike Cernovich, loro (nel togliermelo e sostituirlo con qualcosa di opposto) non lo sapevano.
Questo Cernovich sul suo sito fa pubblicità a prodotti per la salute che nella migliore delle ipotesi potrebbero non risultare nocivi (aspetto che sembra tipico di questi siti alt-right che non sono in condizione di trovare sponsor presentabili).
Eppure ha fatto alcuni scoop importanti. Almeno così, vagamente, mi ricordavo; sembravano report decisamente credibili. Mi ero anche salvato i link da qualche parte. Ora che le pagine non esistono più, mi trovo di fronte ad un dilemma: devo fidarmi della mia poca memoria, oppure devo affidarmi al giudizio di chi ha deciso di censurarlo?

 

La qualità delle fake news

Già che c’ero ho cercato di ricostruire la storia.
Cernovich aveva fornito dei resoconti in cui mi ritrovavo riguardo all’amministrazione Trump: evidenziava il cammino di graduale riconquista del potere di personaggi legati al vecchio sistema di Washington, con un parallelo marginalizzare e rimuovere i nuovi arrivati, che erano invece stati scelti come rappresentanti della volontà di cambiamento da parte del popolo.

Quel che è più importante, Cernovich è diventato famoso più di un anno fa, quando ha lanciato per primo la notizia esplosiva del cosiddetto unmasking da parte di Susan Rice.
Ovvero: si venne a sapere che uno dei collaboratori più stretti di Obama, appunto Susan Rice, era la persona responsabile della maggior parte delle (frequentissime) richieste ufficiali della Casa Bianca alle agenzie di intelligence, dove chiedeva di rivelare loro i nomi dei cittadini americani presenti nei rapporti top secret ma mascherati, coperti da una riga nera per proteggerne la privacy, in quanto non ufficialmente indagati.

Infatti normalmente uno statunitense che viene incidentalmente coinvolto in una indagine od intercettazione audio viene protetto con l’anonimato; si tratta di una protezione essenziale in base al principio che lo Stato non deve essere in condizioni di spiare i propri cittadini che non siano indagati per crimini.
A volte però potrebbe essere necessario sapere chi sono queste persone per comprendere i contenuti dell’intercettazione o perché diventati sospetti anch’essi. Da qui la procedura per l’unmasking, il rivelare i nomi. Ma si tratta di un meccanismo di cui si può facilmente abusare.
Lo scoop nel caso di Susan Rice era che ci trovavamo di fronte ad uno dei primi fatti concreti, tasselli di un puzzle che ci parla di uno scandalo enorme, che si è sviluppato lentamente fino ad oggi ed ha preso il nome di Spygate: ovvero che il governo Obama ha preso di mira persone in contatto con il comitato elettorale di Trump col pretesto che vi fossero tra loro delle spie dei Russi, in questo modo ha potuto imbastire una grande campagna di spionaggio ai danni di Trump e dei suoi.
I rapporti giornalieri di intelligence della Casa Bianca dunque contenevano normalmente materiale concernente gli avversari politici; Obama poi decise di allargare la cerchia delle persone autorizzate a leggere tali rapporti (rendendo così più facile la fuga di notizie verso giornali), ma dato che i sorvegliati non erano ufficialmente sotto indagine, ecco la necessità di richiedere giornalmente il desecretamento dei nomi delle persone sorvegliate. L’idea, pare evidente, era quella di scoprire qualunque eventuale reato o scorrettezza (anche dubbi o presunti, ma adatti a montare campagne giornalistiche) da parte del miliardario allora candidato (e in seguito presidente eletto ma ancora non in carica), o perlomeno delle persone attorno a lui, per distruggerlo politicamente.
Insomma, in quell’occasione Susan Rice è stata identificata come persona ad altissimo livello coinvolta in un grave abuso di potere e i tentativi di minimizzare l’accaduto hanno puntato a spiegare le circostanze come tutto fosse stato normale, ma non hanno negato che quanto riportato da Cernovich fosse vero.

A fare una ricerca con oggetto “Cernovich Rice (unmasking)” ancora oggi, Google fornisce come primo risultato una pagina di Zerohedge dove si spiega che il New York Times e Bloomberg avevano lo scoop in mano ma non l’hanno pubblicato perché volevano proteggere Obama. Notevole. Ma se volete saperne di più ed avere una valutazione della veridicità della storia, quella pagina non vi dice nulla di utile. Allora potete provare col secondo risultato di Google: un articolo dal sito chiamato ThinkProgress (che è parte del Center for American Progress. Un think tank che era guidato dal discusso ed inquietante clintoniano di ferro John Podesta e che ha collegamenti e finanziamenti da fondazioni globaliste come quella di George Soros). Ovviamente questi progressisti scrivono in maniera palese secondo il criterio “limitiamo i danni”, cercando di negare una qualunque attendibilità allo scoop basandosi solo sulle convinzioni e pregiudizi da cui parte il loro publico. Ovvero che lo scandalo ora noto come Spygate non può essere che assurdo e ridicolo, loro lo hanno sempre saputo…

Ed ecco dunque: fatti dall’impresentabile giornalista freelance da isolare e far sparire; occultamento della verità da parte dei grandi media; propaganda e offuscamento ben gestito da siti alla moda di “fact-checking”, orgogliosamente a sinistra ma che in realtà rappresentano la voce e l’ideologia di pochi vegliardi ricchissimi; risultati sbilanciati e tendenziosi da Google.
Ah, e poi, certo, censura e ban per la voce indipendente da parte di Medium.

 

Non è solo un problema di notizie

Ma davvero, non credo a qualunque cosa Cernovich dica. Non l’ho neanche più seguito da mesi! Probabilmente ha twittato -o riportato sul suo sito- affermazioni prive di fondamento. Non sarebbe certo strano per un reporter/opinionista che sta ai margini e lavora sulle voci di corridoio.
Ma non trovate spaventoso che delle accuse di aver dato notizie false o non verificate possono costarvi il ban e la cancellazione di tutto il vostro materiale? Specialmente considerando che invece i media rispettabili ne fanno di ogni e nessuno si sognerebbe di cacciarli da Medium (e qui ci sarebbe da aprire un libro, c’è una casistica enorme che cresce ogni giorno.)

 

Mainstream Fake News

Uno degli esempi più eclatanti: il caso Travyon Martin, del 2012.
Martin, un ladruncolo che aveva la ventura di essere afroamericano, venne osservato muoversi in modo sospetto nel quartiere da George Zimmerman (un latinoamericano nonostante il nome ebraico), verosimilmente stava studiando un appartamento per un colpo. Zimmerman chiamò la polizia. Mentre attendeva il loro arrivo venne notato ed aggredito da Martin. Nella lotta il giovane nero stava avendo la meglio, sbattendo violentemente la testa dell’altro sul marciapiede; quello trasse fuori la propria pistola ed uccise il ragazzo.
Il caso divenne un evento nazionale, grazie al fatto che si riuscì a presentarlo come un omicidio a sfondo razziale (avrebbe dimostrato concretamente che se sei nero e giri per la città con il cappuccio della tuta normalmente sollevato, questo è sufficiente per essere attaccato ed ucciso da un esaltato che ha la pretesa di fare il giustiziere/vigilante). Aiutava il fatto che Martin avesse ancora 17 anni; in più i media giocarono a farlo conoscere al grande pubblico -e ricordare- attraverso una foto non recente, in cui sembrava ancora un bambino; ovviamente si evitò di parlare dei suoi precedenti di uso di stupefacenti e furti.
La 
rispettabile NBC (una delle tre grandi reti televisive storiche) fece ascoltare al pubblico l’audio della telefonata di Zimmerman alla polizia, ma con una modifica. Nell’originale il poliziotto gli chiede di identificare la razza del sospetto, e Zimmerman risponde che è nero. Nella versione tagliata mandata in onda per influenzare gli ascoltatori questo pezzo manca, quindi le sue parole sembrano collegare direttamente la sua idea che si tratti di un personaggio sospetto con l’osservazione che si tratta di un nero.
Caso da manuale perché la verifica dei fatti è facile ed indiscutibile, così come trasparente è l’intento malevolo dei giornalisti.

 

Oltretutto. Come potrebbero personaggi come Cernovich evolvere e diventare più rigorosi, se non vengono affrontati sul merito dei contenuti, ma banditi togliendo loro la voce? E soprattutto: che vi aspettate che succeda al suo pubblico? Come potete pretendere che sappiano cogliere le sfumature e mantenersi aperti evitando di estremizzarsi, dopo che hanno potuto osservare questo tipo di vittoria ingiusta del nemico?


Per converso considerate: non solo grazie al ban ho smesso di seguirlo, ma non mi ricordo neanche se all’epoca, a Febbraio, avessi notato oppure no questa azione di censura!

Ecco il potere di un fornitore di servizi di successo, perlomeno su chi non si chiude da sé nel ghetto: si crea un campo di distorsione della realtà grazie al quale perdi di vista le fonti indipendenti che non vogliono che tu legga.

 

Il modello di business di Medium fa schifo

Medium è un progetto basato sull’idea di dare a tutti la possibilità di realizzare un blog, in teoria in pochi minuti, senza dover passare attraverso tutte le difficoltà e responsabilità di chi crea un sito personale.
E vi posso assicurare dalla mia esperienza: se scegliete la via lunga e create un sito da zero in totale autonomia, ci sono un sacco di intoppi, cose da imparare, lavoro e burocrazia, incluse le infinite ore passate a cercar di capire cosa scrivere nelle pagine cookie/privacy policy. Un sacco di fatica per essere quasi invisibili. E’ diventato anche quasi impossibile monetizzare con la pubblicità, a meno di non avere un pubblico enorme. Ma almeno uno è libero ed indipendente.
L’alternativa suona seducente: far parte del fenomeno del momento, uno spazio pubblico dove tutti quelli che contano sembra vogliano esserci.

Una piattaforma di blogging. In effetti è una cosa che è stata tentata un sacco di volte senza mai ottenere un successo durevole (qualcuno ricorda GeoCities?)
Il vantaggio di Medium sembra basato sull’aver colto il momento giusto, con una bella iniezione di soldi da venture capital che gli permette di andare avanti in perdita finché dura; inoltre l’avere preso a bordo autori importanti e l’avere un design essenziale e pulito.
Quest’ultimo punto è diventato significativo nella sinergia colla decisione di rinunciare alla pubblicità, perché la pagina bianca, libera, contrasta con lo stile di tanti siti concorrenti che, faticando a reggersi con i banner, hanno ceduto al lato oscuro e ti riempiono le pagine di pubblicità invasive, brutte e ingannevoli.

Quindi il design di Medium è una boccata d’aria fresca.
Ma un simile lusso ha un prezzo: a meno che non riescano a sfondare con gli abbonamenti o non si inventino qualcos’altro (e non credo proprio) alla fine finiranno i soldi.

In altre parole dilapidando un po’ di denaro degli investitori anche loro contribuiscono a creare aspettative irragionevoli nel pubblico: che sia naturale ottenere contenuti professionali di qualità, in quantità, gratis e senza pubblicità.
E’ vero che c’è un messaggio insistente che invita a pagare la sottoscrizione mensile, ma appare solo a volte, a quanto pare per articoli scelti. Dato che già abbiamo visto che non sanno andare incontro agli interessi del pubblico, questi “contenuti premium” non riescono né a convincerti a pagare, né ad eliminare l’impressione che tutto quello che vogliamo è gratis.

Questo modello editoriale è inquietante perché rafforza l’abitudine dei consumatori a rivolgersi a pochi siti generalisti. Non solo Youtube, Facebook e gli altri. Persino i blogger indipendenti mettono le loro idee nelle mani di un gigante di internet su cui non hanno alcun controllo.

Almeno con i vecchi giornali avevi la possibilità di farti un’idea dell’ideologia e degli interessi che un dato quotidiano rappresentava.
Entri in Medium e ti senti naufrago nella pagina bianca: dipendente dalle onnipresenti email di suggerimenti, puoi avvalerti dei link “contenuti correlati” presenti a fondo articolo, e basta. Non c’è un contesto più ampio, un sistema per capire che cosa c’è dietro i link suggeriti o quali siano le idee promosse o represse.
Non c’è peraltro una mappa degli argomenti più importanti del momento.

Tutto quello che trovi su Medium è precario, transitorio, domani non sarà più considerato rilevante e non riceverà visite; magari verrà cancellato definitivamente se quelli che ne hanno il potere decidono che sono troppo in disaccordo con l’autore; che poi sarebbe precisamente la situazione in cui sembrerebbe cruciale proteggere la libertà di parola.

Una collezione di articoli di fondo che per scelta di design sono indistinguibili dai commenti dei lettori, i quali a loro volta sono connessi tra loro da un labirinto di link che scoraggiano una interazione a più voci.
In altre parole: se pubblicate qualcosa là, tutto ciò che scrivete è quasi privo di valore a meno che non vogliano promuoverlo.
Medium è un esperimento involontario di rafforzamento del pensiero conformista.

 

La trappola di Medium

Recentemente Medium mi ha suggerito questo articolo divertente-deprimente:

Ecco come una ricerca su Google può far cadere i conservatori nella trappola degli Alternative Facts
In base alle parole precise che inserisci nella barra di ricerca, “Google ti fornisce informazioni radicalmente differenti”

Capito? Il problema sono i conservatori. Schiavi dei loro pregiudizi. Eppure Google non fa nulla per impedire che cadano preda di fantasie malate.
Roba da matti.

Notate che questa robaccia non solo gli sembra articolo di gran valore, da promuovere nelle email, ma mi hanno chiesto di diventare utente premium per leggerlo (per fortuna i primi tre articoli a pagamento sono omaggio). Ah, oltretutto è un contenuto che proviene direttamente dall’autorevole Washington Post!

Nell’originale per quella che ho tradotto come trappola si usa l’espressione idiomatica rabbit hole, ovvero si indica il cadere figuratamente nella tana del coniglio, come Alice nel Paese delle Meraviglie.
Ma perché i conservatori? Non hanno provato a pensare che forse sono loro ad essere precipitati nella tana del coniglio progressista?

Alternative facts, fatti alternativi?
Piace usare l’espressione Alternative Facts come una critica beffarda ai sostenitori di Trump. Ma qui trovate la mia ricostruzione di come è nata questa espressione: la bravissima Kellyanne Conway, consigliera di Trump, l’ha usata per esprimere frustrazione di fronte al clima di ostilità organizzata dei media, ovvero una serie di affermazioni plausibili e documentate ma né completamente vere né oneste, usate per distruggere l’immagine del nostro Donald.
In quell’occasione lanciò così una risposta istintiva venata di amaro sarcasmo, ma il contesto e la posizione di vantaggio dei suoi avversari nei media hanno completamente rovesciato il significato, trasformandolo nell’idea che questi populisti senza vergogna si inventino una realtà alternativa a proprio uso e consumo.
Ma è una scena vista mille volte, la sinistra che accusa gli avversari di ciò di cui è colpevole.

 

L’articolo in questione vorrebbe essere una analisi dei rischi correlati alle ricerche su internet. Secondo l’autrice, Abby Ohlheiser, se vuoi informarti sulla “Russia collusion” (ovvero sui complici della Russia) potresti trovarti, per colpa di un risultato suggerito da Google, a leggere della “Russia collusion delusion”, ovvero la fissazione del complotto russo. E così cadresti preda di siti di news alternative che sostengono Trump! Gasp!

 

Al contrario, troppe volte ho osservato che chiedere a Google non mi permetteva di ottenere una risposta obiettiva: dovevi letteralmente setacciare decine di link tutti puntati nella stessa direzione, dal NYT a Mother Jones, Vice, fino agli estremisti di SPLC, prima di trovare una singola voce alternativa.

Ora, in un mondo dove tutti i media pendono decisamente a sinistra (recentemente l’amico di un amico su FB ha semplicemente copincollato sulla propria pagina la voce del Catechismo della Chiesa Cattolica sull’omosessualità, e per questo è stato sospeso dal sito per un mese…) penseresti che chi sta cercando di analizzare le criticità di un mondo dei social estremamente polarizzato dovrebbe riconoscere l’evidenza dei fatti. (Che c’è molta partigianeria a destra, ed in aumento, ma non tanta quanta a sinistra, con l’importante differenza che quest’ultima anima scuole, università, organizzazioni internazionali…)
Ma dai, no.
Pare che il vero problema sia quel raro caso in cui l’hanno fatta talmente grossa che persino Google, se sai cosa cercare, ti fa trovare dei contenuti non di sinistra!

 

Visto dall’estero Spygate è il più grande scandalo della storia degli USA (anche se non guardo i telegiornali sospetto questo non valga per l’Italiano medio, ancora all’oscuro perché esposto ai resoconti dei nostri giornalisti che fanno eco ai colleghi americani, che proclamano la sconfitta imminente di chioma fulva).
Eppure secondo questa Abby Ohlheiser chi googla “Russia collusion delusion”, ovvero vuole sapere del fantasioso complotto adoperato per coprire lo scandalo, dovrebbe essere reindirizzato solo verso pagine a senso unico, che con gran faccia tosta impartiscano la lezioncina: “Oh niente affatto, siamo noi gli esperti. Spygate non esiste. Il complotto russo che ha cambiato il corso delle elezioni e fatto vincere questo pagliaccio malvagio invece è dannatamente reale, se non lo capisci sei un povero ignorante o parte del complotto…”

Google non è abbastanza rigoroso. Devono diventare più precisi nel sopprimere le idee che non possono essere considerate potenzialmente vere, perché la realtà viene definita dal nostro giudizio morale.
Beh, sembra un piano irto di buone intenzioni, no?

Mi piace come questa frase da me appena coniata sintetizzi un tratto essenziale della sinistra:
“La realtà viene definita dal nostro giudizio morale.”

 

Edit: altra newsletter di Medium, altro giro, altro regalo. Inclusi titoli come: “L’America sta crollando sotto il Fascismo?”, “(Ecco come) il crollo dell’America è stato pilotato”, e poi l’impagabile: “L’Economia, come la Religione, pretende di conoscere tutto. Entrambe vogliono solo imporre il dogma, non ricercare la verità.”

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