Il circo dei media e Trump, visti da fuori

People attending Trump's Presidential Inauguration

Inauguration Day. Foto di Lorie Shaull (CC BY-SA 2.0)

Dato che ho dedicato parecchio spazio alle Presidenziali Americane, specialmente per essere uno che scrive dall’Italia, ma è passato parecchio dal giorno dell’elezione (9 Novembre) ad oggi, qualcuno tra noi non Yankee, che segue solo distrattamente gli avvenimenti di laggiù potrebbe domandarmi: che è successo nel frattempo?
La risposta breve è che non è successo granché.

 

 

Trump col suo team ha messo su una squadra di governo che sembra solida, e fatta per mantenere la promessa di un approccio nuovo, che rompa con la vecchia politica.

Esempio significativo: Trump ha scelto Scott Pruitt come capo della EPA, Environmental Protection Agency, ovvero l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente. Questa mossa è stata duramente criticata, perché in precedenza Pruitt aveva intentato una azione legale contro la EPA stessa (ma era in veste di Attorney General, ovvero Procuratore/rappresentante legale dell’Oklahoma, ed era affiancato da suoi colleghi di parecchi altri Stati degli USA). In altre parole si trattava di una divergenza politica tra l’Amministrazione Federale centralistica e i poteri locali, ma questo scontro è stato considerato una “prova” del fatto che Pruitt stava coi cattivi. Perché chi ti puoi aspettare scelga Trump? Uno malvagio come lui…

Vagli a spiegare ai media che il fatto che l’EPA teoricamente agirebbe per una buona causa (forse!) non significa che stia dalla parte della ragione in tutto ciò che fa! E che se opporsi a determinate scelte dell’EPA fosse una colpa in sé, non sarebbe possibile, per costruzione, alcun cambio di politica…

 

I grandi media americani hanno continuato con la solfa del “Megacomplotto dei Russi per Condizionare l’Elezione”, una follia su cui abbiamo già dato (ma devo confessare che non mi aspettavo che avessero lo stomaco e la faccia tosta di tirarla avanti per mesi).

Il succo è che i Democratici hanno cercato di fare di tutto per convincere la gente che Trump non è un presidente legittimo perché, secondo loro, gli hacker di Putin hanno truccato in qualche modo l’elezione. Peggio ancora, alcuni elementi dei servizi di intelligence americani (CIA, FBI, NSA) hanno partecipato a questa campagna assurda, perdendo credibilità e generando ulteriore divisione. Mossa politica, ma le loro soffiate e dossier non provano nulla perché mancano di riscontri concreti, come confermato da osservatori indipendenti.

Pure se l’azione degli hacker fosse imputabile al governo russo, non ha fatto che portare alla luce le malefatte indifendibili del Partito Democratico, e un Team Clinton il cui presidente John Podesta si è dimostrato un tale inetto da farsi hackerare l’account di posta perché la sua password era “Password” e ha risposto ad una email truffaldina di phishing…
Nel frattempo hanno buttato là ancora un po’ di fake news varie e Trump ha risposto per le rime, bacchettando soprattutto la CNN.

 

I fissati Democratici/progressisti, i Social Justice Warriors e la solita infornata di star di Hollywood hanno continuato con le proteste, frignando come bimbi isterici e lanciando idee al limite del codice penale. E ci sono stati pure i crimini veri e propri. Incluse parecchie scene di vandalismo (ancora venerdì per le vie di Washington, con vetrine ed auto distrutte) e violenza contro i fan di Trump. Come del resto era avvenuto durante tutta la campagna elettorale.

Ma nell’universo fantastico dei grandi media, Trump è stato paragonato più volte ad Hitler, e la violenza è stata attribuita per principio solo ai suoi sostenitori… così, sulla fiducia, per pregiudizio. Guardate l’immagine qui a fianco, presa da Twitter. Una famosa opinionista politica che il giorno dell’elezione dice:

La mia sensazione è che se vincerà Trump, i sostenitori di Hillary saranno tristi. Se vincerà Hillary, i supporter di Trump saranno arrabbiati.
Differenza fondamentale.

 

Nel frattempo i ragazzacci di James O’Keefe, quelli che indagano infiltrandosi con la telecamera nascosta e che hanno assunto il nome Project Veritas, ne hanno combinato un’altra: hanno smascherato un piano da parte di estremisti di sinistra che mirava -tra l’altro- a sabotare il sistema della Metropolitana di Washington il giorno dell’insediamento ufficiale di Trump, venerdì 20.

 

 

A proposito della cerimonia di insediamento in sé, direi che non c’è moltissimo da dire. E’ stata la prima US Presidential Inauguration Ceremony a cui ho assistito, ma non mi ha certo impressionato.

Melania Trump ha fatto il suo figurone. Jackie Evancho ha cantato molto bene l’Inno Nazionale Americano, colla sua voce giovane e sottile; una delle migliori esecuzioni che io abbia sentito.

La cerimonia in sé è un po’ pacchiana, con tutti quei drappi bandierosi bianco-rosso-blu. La dimensione del corteo di auto al seguito è semplicemente impressionante.

Come già qualcuno aveva fatto notare durante la spendacciona gestione Obama, il prestigio e la sacra reverenza con cui si guarda alla figura del Presidente, la dimensione del seguito e le relative spese fanno sembrare la Regina d’Inghilterra una specie di Sindaco di Forlimpopoli, in confronto.

Sembra che gli Americani si siano talmente imbevuti di democrazia ed eguaglianza nella loro storia e nel loro intimo, che gli è venuto il desiderio di creare una sorta di nuova élite aristocratica da ammirare e idolatrare, come per compensazione. 🙂

 

 

Il discorso di Trump è stato edificante, coraggioso ed efficace, ma anche un po’ deludente: uno strano mix tra il voler essere ricordato come uno statista ispirato che dona parole memorabili alla posterità, e il riproporre la parte del discolaccio che ha vinto rovesciando le regole, infischiandosene delle buone maniere per comunicare in maniera netta ed incisiva.
Il rosso sangue dei Patrioti è ciò che identifica gli Americani, non il colore della pelle, dice. E il riferimento a Dio torna al centro del discorso politico.
Epperò il suo attacco diretto contro Washington nel nome del Popolo è una mossa imbarazzante che stona, vista l’occasione formale. Ma era tempo che qualcuno rovesciasse il tavolo…

 

Lo slogan America First sembra riassumere bene un programma: pensare prima di tutto al benessere ed alla sicurezza dei cittadini statunitensi; riportare in patria le produzioni industriali e i posti di lavoro; investire in infrastruttura. Ma questa sfida dell’economia sarà certamente lo scoglio più difficile.

Promette un po’ troppo. Ha buttato lì l’idea di eliminare completamente il terrorismo islamico: e questa francamente è una spacconata. Bisogna avere un senso del limite.

Ma il nuovo Presidente ha anche accennato all’esplorazione spaziale: il mio presentimento sull’annuncio di una futura Missione Marte sembra centrato.

 

Tutto sommato, un inizio con buone basi.

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