Chiesa, olivo

Messa della Solennità delle Palme

 

Ci si raduna alla spicciolata poco distante la chiesetta. Tanto sole, cielo azzurro. I bambini colle classiche palme intrecciate. Gli adulti con gran mazzi di ramoscelli d’ulivo.
Contrasta col ricordo della mia vecchia parrocchia del Nord: qui i più intraprendenti hanno in mano ciascuno tanti rami quanti ne sarebbero bastati a Genova per tutta la congrega.
Scopro solo ora l’usanza del farsi gli auguri anche alle Palme. Alla fine della messa ci scambieremo un ramoscello d’ulivo: un gesto semplice ed economico, uno ne do ed uno ne prendo. Praticamente ti tieni sempre lo stesso cespuglio in mano avvolto con poca stagnola; accanto il rametto-ospite per i convenevoli, che cambia sempre ad ogni bacioguancia-strettadimano.

Mia moglie trova un muretto per sedersi mentre inizia la lettura introduttiva. Non può stare tanto in piedi, con la bimba in pancia. Gesù Cristo acclamato all’entrata in Gerusalemme, per un trionfo effimero prima della condanna della folla capricciosa.
Si torna verso la chiesa con i nostri rami benedetti. Ma mi domando perché i più sfollino subito e non aspettino di fare una processione ordinata, dietro la croce coi chierichetti ed il prete, in fila.

Noi aspettiamo. Dopo la breve transumanza capisco: hanno fatto la partenza intelligente e si sono già soffiati tutti i posti a sedere.
E’ una celebrazione in piazza; per forza, la chiesa è davvero troppo piccola, si riempie già nelle domeniche normali. Un pensiero ancora alla vecchia parrocchia, aperta sempre meno per scarso afflusso di fedeli.

 

Andiamo in fondo in fondo, troveremo quasi subito due sedie pieghevoli generosamente lasciate da un gruppetto che era già contento di aver benedetto le palme e non si è incomodato a trattenersi per il resto della messa.
‘Sta cosa dell’happening palmitico (…) attira. Non ho mai capito la devozione di questi cattolici che si vantano di non mancare mai in due occasioni: a Natale (ovviamente a mezzanotte) ed alle Palme. Pasqua e resto dell’anno non pervenuti.
Non so, pare che per attirare clienti la Chiesa dovrebbe proporre più gadget. Qualche prete si sta attrezzando.

 

L’atmosfera è festosa, curata da tanti volontari. Ma forse sono invecchiato, all’aperto proprio non mi ci trovo. Vorrei essere da un’altra parte: dov’è il raccoglimento, il senso del sacro? All’inizio non si sente quasi niente, sulle letture penso che dovrò aiutarmi con la memoria. Sbuffo.

Da un lato della piazza un paio di palazzine. Dall’altro, oltre la barriera virtuale di una fila di alberi, una strada di scorrimento. Rumorosissima.

Il canto soave del salmo si innalza sopra il traffico. Il sole si fa sentire sulle nostre teste, sembra già estate.
Chiudo gli occhi e capisco.
E’ una metafora centrata. La Chiesa di oggi. Una voce in mezzo a tante distrazioni, a pezzi di mondo che non dicono nulla.

Osservo.
Un bimbetto lì davanti ha tirato indietro la testa, tiene un cavallino di plastica appoggiato sul naso, sulla faccia, in equilibrio precario.
La melodia si contende la scena con le note stonate che vengono da fuori. Ma popolo, sei nudo: non c’è dentro e fuori.
Sul palazzo accanto a me c’è una matassa di cavo d’antenna assurdamente agganciata ad una finestra, a metà altezza, coi fili che arrivano e ripartono secondo uno schema che mi sfugge.
Un paio di balconi hanno appeso dei gran lenzuoli di raso color porpora: è la vecchia tradizione delle massaie del sud, che mettevano la loro coperta più bella stesa ad onorare la processione della Madonna o del Santo. Una specie di Gran Pavese del popolo.
Poco più in là una famiglia ha lasciato invece il bucato ad asciugare.
Quelli della porpora tengono pure in vista due CD appesi con uno spago, che dondolano nel vento a spaventare gli uccelli molesti. Moglie stamattina ha detto che comprerà una girandola per tenere lontani merli-piccioni-tortore che rovinano i vasi. Meglio.
Un gabbiano passa proprio in quel momento sopra alla mia testa.
Guarda lassù il muro della chiesa: il mare così vicino non perdona, si sta staccando di nuovo l’intonaco.
Bambini che hanno trovato ombra a ridosso del muro, una bimba usa il libretto della messa come ventaglio, per noia.
La recita del Passio con tante voci diverse, ben preparata, per riportarci ancora una volta dentro quel lungo giorno.
Il rombo cupo di un camion.
La pelata del prete splende che è una bellezza.
Una tizia davanti ha un abito civettuolo, due oblò di pelle nuda disegnano le spalle contornate da grosse perline.
Cane che abbaia e non la finisce più.
L’urlo di una motocicletta.
Alla morte in croce di Cristo faccio una genuflessione. E mentre aspetto in quella posizione, col ginocchio destro che tocca l’asfalto, capisco che è una fine talmente atroce che è ancora bella.

 

Totò clown, assorto, triste, prega

“è finita la comedia” diceva l’Almanacco del Giorno Dopo.

 

 

Tornati a casa, ci giunge notizia dei due attentati in Egitto. Islamisti che hanno massacrato più di 25 persone che stavano partecipando alla Messa delle Palme.

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