Le stranezze dell’attentato di Berlino e la tentazione di ricamarci su

2 scene. Babbo Natale sul camion commerciale artefatto, il Natale di sangue col camion che ha ucciso a Berlino

Guardando indietro, passata la sbornia delle feste.

Contrasti

 

Ormai anche la guerra vive di immagine. L’ISIS produce una rivista patinata con cui insegna a compiere azioni atroci con una raffinatezza editoriale da fare invidia al National Geographic. Il terrorismo recluta adepti attraverso i più vari canali internet, e vive di immagini, video propagandistici, riprese di esecuzioni lungamente provate e riprovate su condannati ormai rassegnati ed inermi.

Attaccare il Natale è un atto simbolico nettissimo. Attaccare un mercato di Natale è ancor più azzeccato, perché colpisce l’immaginario tanto quanto centra la natura di questa festa occidentale di massa (compere e non preghiere).

Per questo ho scelto di aprire con una immagine netta, di contrasto: da un lato il camion pubblicitario Coca Cola simbolo del Natale commerciale, che ormai non porta più alcun riferimento a Gesù ma solo ai colori bianco e rosso indossati da un vecchietto rassicurante. Dall’altro il camion della strage del mercatino di Natale a Berlino, che lacera con violenza un mondo fatto di stelline, luci e alberi finti, una violenza incomprensibile che riporta ad una realtà cruda, odiosa, stomachevole. Eppure è il Natale di una vittima. Gesù Cristo è da sempre il perseguitato, dalla parte degli innocenti uccisi per la loro fede.

Paradosso delle immagini. Qual è il Natale autentico?

 

Colpiscono al cuore i nostri rassicuranti simboli di cartapesta, per questo ormai siamo suggestionati: l’attentato di Capodanno ad Istanbul, dove un killer ha assaltato una discoteca, ne è un esempio. I primi reportage parlavano di un travestimento da Babbo Natale. Non era vero, ma è stato facile per i giornalisti lanciare l’idea.

 

L’attentato di Berlino. Fake news anche qui.

 

Come quasi tutti ricordano il 19 dicembre scorso a Berlino un camion ha travolto la folla uccidendo 12 persone che si trovavano ad un mercatino di Natale.

Fin da subito è stato chiaro l’intento di colpire simbolicamente “i Cristiani”, e che l’autore doveva essere un terrorista islamico.

Vediamo una ricostruzione ragionevole. Che però non è quella giusta!

Il camion, già lanciato contro gli stand del mercatino, ha sterzato all’ultimo momento. La posizione in cui lo ritroviamo nella foto, fermo verso il centro strada, non sembra compatibile con l’intento di un terrorista di fare più danno possibile.

Ecco la versione subito rilanciata in tutto il mondo dai giornali: l’attentatore aveva in un primo momento assalito con un coltello Lukasz Urban, il camionista polacco, per prendere il controllo del mezzo; non aveva usato la pistola per non fare troppo rumore e rischiare di essere scoperto. Probabilmente credeva di averlo già ucciso, quindi si era recato col camion sul luogo della strage. Ma Urban, pur ferito gravemente, deve essersi riavuto e ha evitato una strage peggiore, rialzandosi dal sedile in cui giaceva in una pozza di sangue, lottando coll’attentatore e facendo sterzare il volante verso il centro strada. Il terrorista a quel punto lo ha ucciso con una pistola, è sceso dal camion ed è riuscito a fuggire.

Fin qui la ricostruzione che, in un frangente così drammatico, dava al pubblico la magra soddisfazione di poter piangere un eroe, un semplice camionista che muore lottando per il bene. (Non per niente in Germania sono partite petizioni per conferirgli una alta onorificenza postuma).

Peccato che l’attentato si sia svolto alle 20 e l’autopsia abbia determinato la morte di Urban tra le 16.30 e le 17.30… Tutta la storia, che rimarrà nel ricordo di molti e nei risultati di Google, è falsa. Fantasiosa.

In realtà il camion fermo in quella posizione si spiega col fatto che esiste un sistema di frenata automatico che entra in azione dopo un impatto del veicolo. Evidentemente l’attentatore, visto che il mezzo sembrava rallentare, ha cercato di riguadagnare la strada e fuggire. Ma il camion si è fermato del tutto ed è rimasto a piedi.

Il povero Urban certamente ha lottato, ma qualche ora prima.

La palma del più imbecille, tra tutti i giornali, va all’inglese Mirror, che riesce a costruire un castello di carte politically correct su questa vicenda: dato che l’attentatore Amri (come vedremo qui di seguito) era entrato chiedendo asilo politico ma non gli era stato ovviamente concesso, la sua presenza sul suolo europeo libero di agire, pur sorvegliato e pregiudicato, non sarebbe colpa di nessuno! Al massimo del governo tunisino che non se l’è ripreso…
Ma, ed ecco che viene il bello, se in precedenza la Germania avesse chiuso le frontiere, dicono, non ci sarebbe stato il camionista Urban, polacco, a lottare per cercare di salvare le altre vittime!
Niente, a questi livelli non vale nemmeno la pena di rispondere.

 

Curioso pressappochismo teutonico.

 

Inizialmente la polizia tedesca ha indicato il colpevole in un pakistano, arrestato subito dopo. In seguito ha rivelato di aver trovato sul camion i documenti e poi le impronte digitali di Anis Amri, un tunisino con precedenti penali in patria, già incarcerato per 4 anni in Italia, oggetto di inutili provvedimenti formali di espulsione sia in Italia che in Germania, noto per le sue frequentazioni estremistiche e per aver usato molteplici false identità, coinvolto in vari reati sempre in Germania (spaccio, forse rissa).

Le polizie di Mezza Europa, più almeno Marocco e Tunisia, conoscevano o avevano modo di conoscere la pericolosità del soggetto. Eppure ha avuto facilità a muoversi, anche dopo l’attentato, passando probabilmente dall’Olanda, sicuramente dalla Francia (Lione, poi Chambery) e da Torino via Bardonecchia.
Amri è stato alla fine intercettato e ucciso dalla Polizia Italiana a Sesto San Giovanni, in uno scontro casuale, non certo per merito di un progresso nelle indagini.

 

Dubbi.

 

Non si può fare a meno di domandarsi: com’è possibile che un attentatore dimentichi il portafoglio con i documenti sotto il sedile del camion che sta usando per un attentato? Che succeda una volta, passi. Ma questo non è il primo atto terroristico in cui l’identità del colpevole salta fuori in questo modo. Successe anche per Charlie Hebdo.

E poi: perché la polizia tedesca inizialmente accusa un altro? Non dovevano come prima cosa trovare le impronte digitali e i documenti, invece di perdere un giorno intero su di una falsa pista?

Ci sono parecchi dettagli strani.

E uno si domanda: come facciamo a fidarci delle fonti, a capire a chi credere?
Come vedremo anche nel prossimo articolo, ormai (ormai?) l’informazione è estremamente inaffidabile. Ma anche quando non è manipolata, la complessità dei problemi e la superficialità dei giornalisti rendono molto difficile dipanare una matassa.

Vedremo in seguito come affrontare con uno sguardo più d’insieme il problema del terrorismo.

Ma è anche interessante, ogni tanto, studiare i dettagli.

 

 

Incongruenze. Ce ne sono sempre, non dimostrano per forza qualcosa.

 

Per quanto riguarda il problema dei documenti, ci possono essere diverse spiegazioni. In questo caso non darei credito alla teoria che “dimenticare” un documento sia un modo di rilasciare una rivendicazione. Chiaramente Amri fugge per mezza Europa, e l’ultima cosa che vuole fare è farsi trovare. Può essere così sprovveduto?

A naso sposerei invece la tesi che descrive meglio un approccio semplicistico tipico di molti tutori dell’ordine, che non brillano per iniziativa nel creare coperture: c’è stata qualche altra fonte, una soffiata che ha fornito loro il nome di Amri; hanno inventato la storia del documento per non esporre l’informatore.

 

Ecco, la realtà può essere complessa e ricca di colpi di scena, senza che per questo ci sia dietro uno strano complotto. La spiegazione più logica non è sempre quella giusta.

Ma a supporre coincidenze, stupidità ed errori si arriva già lontano, più che a farsi castelli in testa immaginando piani machiavellici.

Anche il ritardo nella segnalazione in base alle impronte digitali, e più in generale la disorganizzazione nel tentare di fermarlo ci dicono semplicemente quanto siano inefficaci le polizie europee. Ci sarebbe poi molto da dire sulla facilità con cui elementi chiaramente pericolosi, come in questo caso sia delinquenti che vicini ad ambienti terroristici, possano sempre e comunque contare su di una legislazione e magistratura ideologicamente impostate per sempre scusare, lasciar fare, liberare.

 

Proseguiamo però esplorando gli aspetti curiosi. Ecco come riferimento un articolo del Corriere della Sera che ricostruisce gli spostamenti del veicolo coinvolto nell’attentato. Un’altra ricostruzione più completa dell”intera vicenda dal Daily Telegraph.

Nel 2010 Amri era stato accusato di aver rubato un camion in Tunisia. Possiamo credere che fosse innocente di quel crimine, che si trattasse solo di una coincidenza? No, dai.

Abbiamo dunque a che fare con un ladro di camion, almeno occasionale, che decide di usare un Tir per fare una strage: doveva avere un minimo di esperienza nella guida del mezzo! Eppure, secondo l’articolo del Corriere, quattro ore prima dell’attentato,

 testimoniano le tracce del gps, il camion fa manovre strane. Va avanti e indietro, s’accende e si spegne: «Come se qualcuno stesse imparando a guidarlo»

 

Nei reportage si parla di un motore imballato! Curioso, no? Un ladro di camion che fa manovre sospette come dovesse prendere confidenza col mezzo, a 10 Km dal suo bersaglio nel centro di una metropoli, magari con un autista ferito a morte sul sedile a fianco e sangue dappertutto… Poi si ferma in un piazzale, uccide l’autista con la pistola, e sta fermo sul posto ancora un 3 ore buone, attendendo di agire… Davvero una situazione improbabile.

 

Secondo questo articolo Amri avrebbe cercato già a marzo scorso di procurarsi fucili di grosso calibro per organizzare attentati. E poi all’appuntamento con la morte si è presentato con una calibro 22, ovvero una pistola di minima pericolosità. :-O

 

Un personaggio con tanti contatti, come è anche risultato dalle indagini. In Germania, certo, ma anche qui da noi, dove era stato in carcere 4 anni. Ha vissuto in Italia, a Roma e ad Aprilia poco più a sud, ancora nel 2015 (dopo la scarcerazione).

Possibile che abbia messo in piedi un piano traballante, sia riuscito a scappare comunque, e abbia fatto di tutto per salvarsi, girando mezza Europa, invece di armarsi pesantemente e/o cercare il “martirio” anche dopo una prima fuga, come abbiamo visto in altri casi simili?

Sembra tutto molto improvvisato. Perché non organizzarsi, per le armi e per far perdere le proprie tracce, accordandosi in anticipo con suoi amici dai tempi del carcere? E’ morto senza un telefonino indosso. Ha perso il portafoglio nel camion! La stessa persona che era stata sotto sorveglianza da parte di più polizie, e che aveva utilizzato almeno 6 identità differenti con documenti falsi, si trova a girare mezza Europa, braccato, senza mezzi, dopo aver lasciato i suoi documenti veri sul luogo del delitto…

Aveva una scheda telefonica olandese: perché comprarla o riceverla, se non avesse cercato di trovare salvezza lì? Poi è passato in Francia. In seguito, arrivato in Italia, si è fermato un paio d’ore abbondanti alla stazione di Torino, come se stesse aspettando un contatto, che però non c’è stato. Viene visto anche alla stazione centrale di Milano, poi si reca a Sesto San Giovanni, dove viene ucciso.

Certo, ci sta scegliere di passare da centri minori, come Chambery, Bardonecchia e Sesto San Giovanni, per dare meno nell’occhio. Qualcuno sui giornali ha ipotizzato che da lì pensasse di prendere un pullman diretto dall’altra parte dell’Europa, magari all’Est. O che puntasse su Bergamo. O a sud, su Aprilia. Eppure morire proprio in quella cittadina è curioso.

 

Il dettaglio più strano di tutti

 

Che io sappia non è stato dato particolare risalto alla cosa, ma il luogo in cui l’attentatore è stato ucciso il 23 dicembre è vicinissimo a quello da cui è partito il camion il 16.

Come vedete nella cartina qui sotto, il segnalino grigio e quello rosso sono ad una distanza che si può facilmente coprire a piedi in pochi minuti. Eppure l’attentato si è svolto a più di 1000Km di distanza!

 

mappa Sesto San Giovanni con indicazioni attentato di Berlino

 

Strana la vita. Dopo un Gran Tour dell’Europa attraverso varie nazioni e migliaia di chilometri percorsi, Amri va a morire nella zona dove era partito il camion!

 

Nell’immagine ho inserito anche come riferimento 3 luoghi, moschee di Sesto San Giovanni, per capire in che tipo di ambiente ci troviamo.

Ovviamente non sto dicendo affatto che ci sia un qualche collegamento tra la moschea (o i predicatori) di questa cittadina e gli attentati o il terrorismo in genere. Non sto muovendo alcuna accusa.

La moschea più distante sulla carta era un primo centro abusivo, usato qualche anno fa. Più a nord c’è il luogo della megamoschea in progetto. Ancora più a nord, in una zona di periferia un po’ isolata, è stata costruita una moschea provvisoria, che è quella oggi in uso, ed anche vicinissima alla ditta da cui è partito il camion carico.

 

Povera Sesto San Giovanni…

Questa cittadina alle porte di Milano, per chi non lo sapesse, è uno storico cuore operaio del Nord: uno dei comuni più rossi a Nord di Firenze.

Il contrasto è netto con la Milano degli affari, prima degli yuppies italiani, poi del berlusconismo.

Tutto questo orgoglio dell’essere sempre schierati a sinistra, dalla parte del proletario, dove ha portato alla fine? E’ stato superato dalla storia. Col tramonto dell’industria. Sesto sta diventando il centro dell’hinterland milanese con la più grande comunità islamica. Anche se le percentuali sono ancora basse, diciamo intorno al 6% di musulmani sulla popolazione.

Ironia della sorte. Proprio di fronte al parco dedicato ad Antonio Gramsci, l’ispiratore della diabolica (ed efficace!) strategia della sinistra per prendere il controllo della società, monopolizzando i media, la scuola e l’università, verrà realizzata la più grande moschea della Lombardia. Ciò sancisce il fallimento più totale dell’idea di Gramsci: puoi schiacciare i tuoi nemici avvelenando i pozzi della cultura, ma così avrai creato un vuoto, una società senza valori, e il tuo destino è quello di essere più facilmente colonizzato dall’esterno.

L’Islamismo, dunque.

Eppure questo angolo d’Italia non ha particolari storie di terrorismo o di pubbliche manifestazioni di estremismo. Secondo alcuni c’è una superficiale tranquillità, ma il fuoco cova sotto la cenere.

Non linko direttamente le fonti giornalistiche perché non vorrei avallare interpretazioni forzate ed eccessive. Prendiamo la cosa con le molle, ma in Lombardia sembrerebbero concentrarsi parecchi islamisti duri e puri, che finora miravano a combattere su altri fronti, primo tra tutti la guerra in Siria. Solo recentemente avrebbero ricevuto l’ordine di colpire anche l’Italia. Qualche piano sarebbe già stato sventato dalle forze antiterrorismo italiane.
C’è una vecchia storia tutta da verificare, probabilmente valeva solo per il terrorismo islamico delle organizzazioni pre-11 settembre. Si vocifera che i politici italiani, scelleratamente, avessero fatto un accordo segreto: voi non fate succedere nulla in Italia; in cambio noi chiuderemo un occhio sulle vostre attività…

Dunque per ora l’Italia può essere un posto tranquillo per un terrorista, adatto per nascondersi, ma tra qualche tempo cambierà la musica?

 

La moschea provvisoria segnata sulla cartina farebbe capo ai Fratelli Musulmani: un’organizzazione dall’apparenza presentabile, che ha in realtà l’obiettivo finale di portare la Sharia, la legge islamica inaccettabile per il mondo occidentale, a dominare il mondo. E tuttavia questo movimento sceglie con furbizia di passare attraverso mezzi pacifici per raggiungere la supremazia. Per questo i leader non dovrebbero avere alcun collegamento con fatti di terrorismo.

Questo non impedirebbe a qualcuno che frequenta la moschea di lavorare in tal senso.

Però a meno di 2Km (mezzora a piedi) dal punto 2, più a nordovest, si trova il Centro Islamico di Cinisello Balsamo, che (anche qui, informazione che non posso verificare) sarebbe invece una delle realtà più radicalizzate. Anche quello dunque vicinissimo.

 

Quello che è certo: Urban, il camionista, è solo una vittima. Non avrebbe potuto aiutare in alcun modo degli islamisti; anzi, è facile che la sua esperienza di camionista lo avesse reso particolarmente diffidente rispetto ai nordafricani. E tuttavia è stato ucciso sul camion, da qualcuno che proprio lui ha lasciato salire…

 

Ecco come ricostruirei i fatti se fosse un romanzo giallo

 

C’è un protagonista in più, un giovane musulmano nordafricano che vive a Sesto San Giovanni, chiamiamolo convenzionalmente Omar.

La mattina del 16 dicembre, un venerdì giorno sacro dei musulmani, si reca alla moschea a pregare prima di partire. Ha deciso di compiere un atto terroristico. E’ sconosciuto alle forze dell’ordine ed insospettabile, ma inesperto. Qualcuno gli aveva spiegato che gli attentati non si fanno in Italia. Da tempo medita di agire, magari il giorno di Natale. Attaccare gli Infedeli altrove, in Germania ad esempio.
Omar esce dalla moschea e dopo meno di 10 minuti, camminando mentre decide sul da farsi, vede il camion di Urban che ha appena completato il carico.
Gli chiede un passaggio, scopre che è diretto a Berlino e lo considera un segno di Allah: “Anch’io Berlino!”

Lukasz Urban ingenuamente accetta quello strano compagno di viaggio.

E così arrivano entrambi nella capitale tedesca. Ma prima, durante qualche sosta lungo la strada, si apparta e cerca di contattare qualcuno già sul posto, che lo aiuti all’arrivo a mettere in atto il suo piano. Finisce, magari attraverso una amicizia comune, per affidarsi ad Anis Amri. Quest’ultimo ha un sacco di contatti “caldi” sia in Germania che in Italia.

Se non era già nei piani, comunque nasce l’idea di usare quel Tir carico di metallo per travolgere la folla. Omar esita, Amri interviene. Forse Omar ferisce Urban e Amri lo finisce con la pistola?
Ma sorge il problema: Omar non sa guidare un mezzo pesante. Fanno delle prove, ma appare chiaro che non è all’altezza. Troppo emozionato, si fa spegnere il motore…

Amri decide di prendere la cosa su di sé. Anche se non è quello il suo piano. Non vorrebbe morire quel giorno, ma realizzare poi qualcosa di più grande, da vero combattente.
Ormai però non si torna indietro. Liquida Omar a male parole dicendogli di andarsi a nascondere.

Compie l’attentato, fugge per mezza Europa.
Alla fine proprio il suo cercare rifugio tra i contatti italiani lo frega. Viene ucciso a poca distanza da dove era partito Omar, mentre cerca un posto sicuro dove farsi nascondere per un po’, magari chi gli procuri altri documenti falsi, tra i loro amici comuni…

 

Non convince neanche me.

 

Troppo arzigogolata.

Eppure in fondo spiegherebbe questo strano attentatore che vuole salvarsi, ma disorganizzato nonostante la sua storia pregressa: usa spesso documenti falsi, ma non ne ha preparati per la grande fuga, anzi si perde quelli veri sul luogo del delitto. Spiegherebbe la stranezza di Sesto, e soprattutto la telemetria del camion incongrua, come di un guidatore incapace.

 

Ecco, con un po’ di furbizia uno potrebbe cercare di vendere questa storia fantasiosa come uno scoop sensazionale; aggiungere allo scopo qualche particolare falso che la confermasse (pretendendo di averlo saputo da fonte anonima…), ricamarci su…

Non ci vuole molto a creare una notizia falsa.

 

Anche se ci sono parecchi dettagli che non tornano in questo attentato, la mia ricostruzione non suona credibile.
E’ un esercizio di fantasia.

Sì, è una vicenda piena di particolari che non sembrano combaciare bene, oltre che terribile, e atroce per le vittime e i loro parenti.

Ma la vita è strana. Complicata.

Mai innamorarsi troppo delle proprie storie.
Difficile, la verità. Lontana. Sfuggente. Banale, di solito.

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