Ma le vittime del terrorismo contano qualcosa?

Questo è uno di quei luoghi comuni che periodicamente risaltano fuori dalla coscienza collettiva dei progressisti: i pericoli rappresentati dal terrorismo “sono stati gonfiati in maniera esagerata”.

Barack Obama era solito citare la statistica secondo cui un americano corre molti più rischi di morire scivolando nella vasca da bagno piuttosto che per mano di un terrorista. A partire da questo aneddoto un articolo del New York Times di un anno fa veniva a spiegarci come noi esseri umani siamo incapaci di valutare correttamente i rischi, reagendo in maniera incontrollata ad una banale esplosione all’aeroporto, mentre non riusciamo a cogliere il pericolo serissimo rappresentato dal Climate Change™. Ovvero dal cielo che ci cade sopra la testa (come temevano del resto anche gli abitanti del villaggio di Asterix), per colpa del clima che cambia. E perciò avremmo bisogno di una bella rieducazione.

All’epoca si piangevano i morti dell’attentato di Bruxelles del 22 marzo (2016), con 32 vittime tra l’aeroporto e la stazione della metro di Maalbeek.
Oggi cambiano le vittime, ma la commedia è sempre la stessa. Lunedì 3 una bomba fatta esplodere nella metropolitana a San Pietroburgo ha causato (secondo l’ultimo tragico aggiornamento) 14 morti.

Abbiamo pensato subito tutti ad un attentatore suicida islamista, e le comunicazioni da parte degli investigatori confermano che si tratterebbe di un russo-kirghiso che ha avuto contatti con i combattenti estremisti in Siria.
In effetti a questo punto anche chi volesse compiere attentati per motivi completamente differenti, probabilmente rinuncerebbe a questo tipo di azioni violente contro la popolazione civile inerme, perché tanto l’attentato verrebbe attribuito da tutto il mondo agli islamisti.
Bombe, accoltellamenti, sparatorie, autoveicoli utilizzati per travolgere la folla di proposito (e il flusso conseguente di reazioni mediatiche) sono ormai diventati una presenza familiare.

 

Come verrà ricordato dalla storia il succitato articolo del New York Times?
Il messaggio è chiaro: lasciate perdere gli islamisti. Il vero pericolo è la CO2:

Le scelte elettorali potrebbero determinare fino a dove arriverà il mare tra 10.000 anni […] Bruxelles è sopravvissuta all’attacco terroristico di questa settimana, ma potrebbe non sopravvivere al cambiamento climatico.

 

Gasp! Il negazionista climatico Trump è stato eletto proprio come temevano, dunque Bruxelles è spacciata!

 

Non fraintendetemi. È vero che il nostro cervello non è predisposto per gestire le sfide e la complessità della società moderna; ed è anche vero che tendiamo a sopravvalutare i rischi che corriamo a causa di un fenomeno che fa tanto notizia come il terrorismo.
Ma non trovate che sia paradossale che ci mettano in guardia contro il rischio di non valutare correttamente un problema, mentre ci stanno suggerendo di sostituirlo con un altro completamente immaginario?

 

Non diamo la colpa al sindaco multiculturale.

 

Dopo l’attentato di Londra del 22 Marzo (nell’anniversario di quello di Bruxelles), il sindaco della capitale britannica Sadiq Khan, musulmano, è stato duramente criticato per quanto aveva dichiarato a Settembre in un’intervista:

Essere pronti a questo genere di cose è parte integrante della vita in una grande città globale.

In realtà il discorso, preso tutto intero, non è sbagliato: parla in maniera controllata e diplomatica; è realista. Stante la situazione attuale nelle società occidentali, bisogna prepararsi al peggio (anche cercando di prevenire).
Ma siccome ormai viviamo tutti in una bolla, ecco che persino i pochi media di destra ed alternativi, che pure hanno ben poco spazio e li diresti sommersi dalla voce dei media allineati, sono riusciti nel loro piccolo a montare un caso. Riproponendo le parole di Khan fuori dal contesto, come se, magari a caldo dopo l’attentato, avesse inteso dire, lui che è il primo sindaco musulmano di una metropoli occidentale : “Dovete abituarvi, questa è la nuova normalità. La morte casuale di un po’ di passanti innocenti ogni tanto è un piccolo prezzo da pagare, in confronto al nobile obiettivo di creare una società multiculturale.”

Ecco, dobbiamo imparare a rispettare il significato e il contesto delle parole. Desidero essere in grado di criticare Khan in base ad un ragionamento fondato, con parole che potrebbero trovare d’accordo una persona intellettualmente onesta da entrambi i lati dello schieramento. Non possiamo chiudere la porta al confronto.

Evitare di fare di ogni erba un fascio: diciamolo che l’editorialista del New York Times è stato sconcertante nella sua allucinazione, e chiunque gli abbia approvato il pezzo (direttore del prestigioso giornale) dev’essere un imbecille patentato. Ma invece Khan non ha parlato male. Grossa differenza.
Sono esempi del tutto scollegati tra loro, ma credo che rendano l’idea.

 

Ma, d’altra parte! Sadiq Khan rappresenta un caso da manuale di politico mainstream progressista/globalista. Per come sembra pensare, e senz’altro per quel che fa, il suo essere Musulmano è irrilevante. I suoi colleghi non-islamici ragionano ed agiscono esattamente allo stesso modo. Ragionevoli, rispettabili, perfettini, puliti, supportati da esperti e documenti, rappresentano l’inevitabile realtà ISO-9000 delle grandi organizzazioni di oggi. Sembrano più i PR di una meta-struttura senza volto, incaricati di spiegare ai loro elettori quali sono le decisioni da accettare, secondo i santi suggerimenti delle organizzazioni internazionali.
La mentalità dei Progressisti si sposa perfettamente coll’approccio che potremmo definire neo-aristocratico, basato sulla conoscenza della classe dei leader: per ogni problema c’è già la risposta, quella fornita. The matter is settled, dobbiamo adattarci all’inevitabile.

In sostanza, la scelta di favorire migrazioni di massa, e la pretesa di poter integrare milioni di Musulmani in una società post-Cristiana fragile e consumata dall’odio di sé, non sono nemmeno scelte: non c’è stato nessuno ad adottare questa linea; semplicemente, siamo tutti chiamati a collaborare. Le cose vanno così. Dunque, è così che devono andare.
Favorire la radicalizzazione dei Musulmani (ed il declino contestuale dell’Occidente) è solo uno degli sviluppi, apparentemente inarrestabili (e, chissà perché, desiderabili). Il tutto condito dalle tattiche che osserviamo: eufemismi, arrampicate sugli specchi, la creazione di barriere sociali e legali ad ogni opposizione, la rieducazione delle masse e il controllo del linguaggio.

Ed in effetti come dare torto ai tanti Khan: ormai il più è fatto, DAVVERO sembra impossibile fermare questo treno in corsa: ad esempio come li trovi gli estremisti tra milioni di Musulmani europei, buona parte dei quali cittadini a pieno titolo? E che fai?
Devo dire che non saprei pensare ad una soluzione nemmeno se potessi magicamente cambiare la storia di questi ultimi decenni.

 

Quindi, sì, Khan non stava dicendo che dobbiamo abituarci, e un po’ di vittime che vuoi che siano. Ma questo concetto è presente, di fatto. Non nel suo discorso. Nell’impostazione.

La falla è nella società che vuole essere multiculturale e post-Cristiana.

 

La querelle dei 'like' su Al Jazeera
Altro caso di contenuti contestati, dove da entrambe le parti sembra si sia cercato di confondere le acque.

Qui sotto vedete un famoso fermo immagine da un video dal vivo, sulla pagina Facebook di Al Jazeera, a seguito dell’attentato di Londra: si vedono 15 faccine che ridono, 9 “pollice su” e solo 1 faccina triste o arrabbiata. Inquietante.

Al Jazeera ha risposto alle critiche osservando che nel totale delle reazioni al feed le faccine che ridono erano ben poche, dell’ordine di qualche percento, come del resto era avvenuto anche per il video della BBC.
Oh, poi uno può farsi tutti i film che vuole, in un senso e nell’altro (magari hanno tolto le tracce di molte reazioni positive per ridurre lo scandalo; o al contrario questa immagine è photoshoppata). Non mi ci metto a questi livelli; trattiamo il dato come reale.
Ebbene sì, ci sono Musulmani qui da noi che non si vergognano a festeggiare dopo un attentato terroristico andato a segno. E, sì, sono una piccola minoranza.

 

C’era stato negli USA il caso famoso, uno dei tanti, media-contro-Trump: il diversamente biondo disse in un’intervista di ricordare scene di esultanza da parte di migliaia di Musulmani dopo gli attentati dell’undicisettembre, e tutti si strapparono le vesti. Ovviamente non erano affatto migliaia ma (possiamo dire a spanne) “solo” centinaia, e lì Trump si sbaglia, esagera proprio come farebbe un suo elettore tipico; ma d’altro canto non possiamo tacere il comportamento vergognoso di giornali e TV che fecero di tutto per insabbiare la realtà, negando il contenuto dei loro stessi reportage dell’epoca, che testimoniavano di queste scene oscene di giubilo, in strada e sui tetti di palazzi del New Jersey…
Non possiamo capire i problemi se ci schieriamo sempre e solo da una parte, come una tifoseria.

Ma il dramma vero è un’altro. Ci vuol poco a capire che la maggioranza dei Musulmani che gioiscono per un attentato non lo fanno pubblicamente.

 

Siamo tutti Israele. Abituatevi.

 

Gli Israeliani conoscono bene questa sensazione: ogni volta che tuo figlio o tua figlia sale su di un autobus, perlomeno durante un periodo caldo come l’intifada, perlomeno in certe zone, non sai se li rivedrai ancora. Potrebbe succedere qualcosa.

E per questo puoi insegnare ai tuoi figli a prendere bus diversi: in questo modo limiti i danni. Uno dei due almeno tornerà a casa stasera, pure se fanno saltare per aria un autobus…

E’ la vita, a quanto pare. Potremmo affrontare questo genere di situazioni, di tanto in tanto: come già fanno in Israele. Qualcuno verrà ammazzato dai jihadisti. Qualcuno. Gli altri tireranno a campare, senza smuovere troppo le acque: non vuoi mica farti notare! Finiresti per essere il prossimo bersaglio…
Ecco come Mark Steyn ha riassunto brillantemente la prospettiva, dopo il massacro a Charlie Hebdo, per chi vuole resistere all’Islam radicale ma si ritrova sempre più isolato e vulnerabile, grazie al conformismo e alla paura:

Il “sostegno” reticente e codardo che il mondo ha mostrato dopo il bagno di sangue di Gennaio è stata una bella lezione ai sopravvissuti, riguardo ai limiti della solidarietà globale – e su come andrà a finire la prossima volta: ‘Saremo tristi anche quando morirai tu!’ (Anche se, diciamocelo, non poi così tristi e non così mobilitati, perché dai, è sempre la stessa zuppa, sa di già visto.)

 

Siete pronti?

 

OK, ci fissiamo sul caso di 5 persone uccise da un’auto usata come arma, ma non ci preoccupiamo minimamente delle -diciamo- 500 persone che muoiono negli incidenti stradali, nella stessa regione, tra un attentato e l’altro.

E’ un atteggiamento saggio? SI’! Ci sono parecchie ragioni, anche sfuggenti, dietro il cosiddetto buonsenso, il dare peso a certe sensazioni di pancia.
Perché quando non reagisci la situazione degenera. Il terrorismo mica punta a far diminuire la popolazione di qualche unità (per quello ci pensiamo già benissimo da soli, con un approccio malato a famiglia e procreazione). No, il terrorismo semplicemente mira a farti provare terrore.

La parte che è temuta diventa sempre più potente, quelli che sono vinti dalla paura al contrario si arrendono e perdono tutto.

Cambia così la nostra visione del mondo. Perdiamo gradualmente la capacità di far sentire la nostra voce, di opporci ai “fondamentalisti”, di protestare contro il trattamento privilegiato riservato all’Islam. Non riusciamo più a preservare le nostre tradizioni, ma nemmeno le leggi e i principi fondamentali.

 

No, decisamente non siamo Israele

 

Facciamo la parte. Fingiamo di dimostrare forza e risolutezza, di fronte agli attentati terroristici, attraverso espedienti patetici, infantili. Non posso biasimare troppo quelli che giocano in questo modo, con gessetti colorati, slogan e canzoni; stanno cercando di affrontare uno shock come possono. Ma una società non si regge sui poveretti da compatire.
Esempio recente: l’inevitabile “Keep Calm And Carry On” (stai calmo e vai avanti) usato per dire che siamo capaci di continuare con la vita di sempre, senza lasciarci condizionare dalle stragi.

Prendo lo spunto da un video della rubrica Right Angle (commenti del trio Bill Whittle, Steve Green e Scott Ott) che se la prende proprio con queste pose false e inconcludenti.

Bill Whittle:

Ma la tua civiltà merita di essere difesa o no? E i tuoi figli, le tue idee, quello in cui credi, la tua libertà, meritano di essere difesi o no?
Perché se non ne vale la pena, allora tanto vale che diventi un Musulmano fin d’ora. Perché aspettare fino alla conclusione!
Insomma: se l’intera strategia della vostra nazione consiste nel farci l’abitudine, allora dovreste convertirvi tutti adesso. Tanto è solo questione di tempo.

 

 

Gli Israeliani che vivono in una colonia, che è praticamente una cittadella fortificata circondata da territorio nemico, hanno fatto una scelta ben precisa e cosciente: nel caso peggiore verranno uccisi, o perlomeno tireranno avanti per un po’ di anni ma i loro figli o nipoti finiranno per morire di una morte orribile, e tanti saluti; nel caso migliore invece, gli si prospetta una vita da reclusi, a guardarsi le spalle come in guerra, probabilmente ancora assediati per generazioni, fino a quando non succederà qualcosa che finalmente normalizzerà la situazione.
Riescono ad affrontare odio ed ostilità perché hanno uno scopo. Dovreste riconoscere che dimostrano un’ammirevole determinazione, anche se non condividete i loro obiettivi. Si sono votati ad una causa. Considerano il fare la loro parte per il futuro di Israele (per come lo intendono) più importante delle loro stesse vite.
Ecco come riescono ad andare avanti.

 

Ma gli Europei sono di altra stoffa. I più non sanno che fare delle loro vite; tantomeno hanno una visione definita, uno scopo più alto a cui dedicarsi. La Cristianità ci avrebbe dato forza morale; ma tendenzialmente gli Europei non credono in niente. E comunque considererebbero l’idea di un’Europa Cristiana qualcosa di scandaloso ed immorale!
Bene, allora buona fortuna invece con l’Europa Musulmana!

 

 

 

Come ho detto, non ho soluzioni da proporre. Ma almeno non facciamo finta di trovarci bene con questa traiettoria discendente verso l’abisso. Se non altro battiamoci per difendere le parole, la verità, la ragione. Battiamoci per la scelta ragionevole di ESSERE CRISTIANI.

Ecco, no. Non abituatevi all’orrore delle stragi solo perché sembrano una componente inevitabile. Pregate per le vittime, anche se il vostro vicino o collega ateo vi schernirà dicendo che non serve a nulla, e che anzi “la religione” sarebbe secondo lui il vero male del mondo.

 

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