Da piccolo le suore dell’asilo mi avevano insegnato il valore del “fioretto”: una piccola rinuncia, come una buona azione ma non necessariamente “utile”. Ricordo ancora il piccolo cartellone appeso su cui noi bambini appiccicavamo dei semplici fiorellini di carta, i petali rossi con un cerchio giallo al centro, uno per ogni fioretto. Non ho invece idea in cosa consistessero i miei fioretti: forse, conoscendo la mia golosità, avevo rinunciato al dolce?
A pensarci bene il cartello era in alto, anzi mi sembrava altissimo… i fiori li metteva la maestra, evidentemente per evitare che barassimo. Perché anche a 4 anni la natura umana quella è.
Aveva senso? O è meglio lasciare che i bambini si sfoghino e non crescano complessati e repressi?
Oggi sappiamo allenare il corpo ma non la mente. Vengo a spiegarmi.
La Forza Ordinata.
La Natura non è buona. L’Universo è entropia, è disordine. Le cose belle decadono, le differenze si spianano, di una città rimangono rovine, di un nero purosangue dal pelo lucido perfetto che corre libero nella prateria, alla fine mosche e decomposizione.
La vita è un’eccezione, un’isola di ordine; ma solo per lo stretto indispensabile per continuare ad esistere. Tutte le specie animali sono segnate da questa inevitabile caduta verso il basso, se non altro con la morte.
La fisiologia è sparagnina: quel che non è necessario non si sviluppa. Un sistema immunitario non esercitato impazzisce, attacca il tuo stesso organismo o comunque non è in grado di affrontare un’infezione. Un muscolo che non viene usato si atrofizza; un individuo che non svolge una funzione invecchia e muore molto più velocemente.
Ogni volta che vai a fare una camminata o una seduta di palestra, senza saperlo fai parte di questa continua battaglia della vita contro l’entropia: stai combattendo la degenerazione del tuo organismo.
E come mi insegna l’amico Pompeo (posturologo), è una battaglia persa: tutti questi trentenni o peggio, che vogliono fare gli atletici e si massacrano di spinning, pump, TRX, ad un certo punto vedono un anello debole del loro corpo cedere, che sia una cartilagine, un tendine… e allora giù di farmaci, fisioterapia, esami, interventi, ginnastica post-terapia…
Ci vuole consapevolezza dei limiti.
Ma lo sforzo veramente umano è cercare di salire più in alto, di non rassegnarsi alla Natura.
Quel che vale per il corpo vale anche per la mente. Anzi, di più. Anche nell’allenamento mentale puoi tirare troppo la corda e farla spezzare. Ma i supereroi dell’anima, quelli esistono davvero.
Migliorati dove conta (anima/corpo)
La mente è uno strumento ben più potente per elevarsi. Ha però gli stessi limiti di questo universo legato al Peccato Originale: lasciata senza stimoli degenera.
Un vecchietto che si mette a letto per qualche giorno poi non riuscirà più a rialzarsi; molti scampati di Auschwitz morirono pochi giorni dopo la salvezza perché il loro apparato digerente non resse l’impatto con quantità normali di cibo; così una persona anziana che mantiene la mente in attività coltivando interessi, letture e parole crociate invecchierà meglio; se invece viene lasciata sola a rimuginare e guardare il muro comincerà a confondere presente e passato, realtà e fantasia, a non riconoscere le persone.
Soprattutto: una persona che non si allena a fare sacrifici, che non si dà dei limiti morali, che non fa sforzi anche apparentemente inutili per tenere a bada la parte primitiva del proprio cervello, cadrà facilmente sempre più in basso. Troverà impossibile l’autocontrollo, l’affrontare i momenti duri della vita.
Abolite le rinunce, schermati dalle difficoltà, non ti puoi stupire che i tuoi figli una volta grandi indugino da un amorazzo all’altro, compiaciuti nell’essere preda delle passioni, e non abbiano intenzione di prendersi responsabilità.
Inciso: che padre è quello che al figlio quindicenne che sta per uscire la sera dà un preservativo, aggiungendo “Tanto lo so che non riusciresti a trattenerti, è inutile chiedertelo; piuttosto divertiti ma usa le precauzioni…”?
A questo mondo non combatti solo con le difficoltà che non puoi proprio evitare, e che vengono per tutti prima o poi. Se non ci danno dei vincoli, ce li creiamo da noi. Ed ecco che, abolito il conformismo religioso, ci si ammazza di sensi di colpa per i chili in sovrappeso, la palestra saltata, la fetta di torta in più.
Ma è stato davvero un progresso schifare la ricerca (anche se a volte superficiale) delle virtù dell’anima, per diventare comunque schiavi dello sguardo degli altri, della necessità di avere un fisico perfetto, per poi magari ammalarsene (vedi anoressia e bulimia, fenomeni moderni, figli di un rapporto squilibrato col corpo)?
Un asilo anni ’70 dalle suore mi insegnava a fare delle rinunce arbitrarie per diventare più forte, capace di autocontrollo e di decidere le mie priorità superando la spinta delle pulsioni animali.
Un asilo moderno rischia di insegnarti che se vuoi puoi essere bambino, bambina o altro, mettendo la tua vita in mano a sensazioni che non sai controllare, senza una bussola, una ragione. Per diventare un essere istintivo e fragile.
La rigidità fa bene
Digiunare, non mangiare carne nei tempi prescritti… sembra un tale vecchiume! E chi dà retta più a queste cose?
Dobbiamo superare un atteggiamento superficiale che giudica tradizioni che non conosce. Sotto lo schermo di una falsa emancipazione ci sta solo un arrendersi e lasciarsi dominare.
La libertà assoluta non esiste. Un bambino chiede dai genitori una guida, dei vincoli e delle punizioni. Vuole costruire un rapporto su di una dialettica, ritagliarsi i suoi spazi di libertà e crescere imparando a bilanciare quello che deve e quello che desidera. Altrimenti lasciarlo completamente libero significa lasciarlo completamente solo.
Che hai imparato a tua volta dalla vita, se non ritieni di avere qualcosa da trasmettergli assolutamente, per il suo bene?
Sentite Costanza Miriano, dal suo best-seller Sposati e sii sottomessa:
Se l’educazione è il percorso verso la maturità, diviene fondamentale insegnare a posticipare la gratificazione, e a farlo da soli, e a spostare il principio del piacere su un bene più grande.
La figura paterna, quella che dice i “No” che contano, è di questo che si sente la mancanza.
E lo stesso rapporto padre-figlio lo viviamo con Dio. Che ci chiede di più.
La forza della Chiesa è sempre stata la testimonianza nei fatti: il sangue dei martiri.
Se invece in patria trovava una situazione pacifica e tranquilla, col rischio di imborghesirsi, il santo sceglieva allora di partire in Missione, per una terra lontana.
Andarsi a cercare le sfide, con coraggio. Questo è lo spirito che tempra, e ha costruito un’intera civiltà.
Ma che fare per prepararsi, e per tutti quelli che non avrebbero mai affrontato persecuzioni e missioni nella loro vita? Ecco la palestra dell’anima. Non a caso S.Ignazio di Loyola ebbe la trovata geniale di introdurre quelli che sono letteralmente esercizi spirituali.
C’è fame di supereroi
La vita del monaco è sempre stata costellata di regole ferree, orari duri, poco cibo, lavoro e preghiera.
Chi si dà fastidio a bella posta, per principio, indossando un cilicio o attraverso qualche altra mortificazione corporale, non è forse simile ad un bodybuilder, però dell’anima? (Soulbuilder?)
La forza di chi sa dominare la -propria- materia, dare un valore relativo ai bisogni, essere di esempio agli altri… vi stupite forse che tanti uomini di Chiesa abbiano saputo tenere testa ad eserciti e banditi? L’Europa medievale è stata fondata a partire dai monasteri, sulla cocciutaggine del monaco che dopo ogni razzia di barbari pazientemente sotterrava i confratelli uccisi e ricostruiva quel che era stato distrutto, incurante della propria stessa vita, invece di scappare.
Se oggi c’è una crisi delle vocazioni, e le regole diventano blande, tolleranti e disattese, le due cose sono collegate…
Non so più chi avesse raccontato questo aneddoto, ma mi colpì molto: un certo monastero aveva cominciato a sfaldarsi quando i fratelli avevano smesso di alzarsi ogni giorno alle 4.30 per le lodi mattutine, poi messa e colazione, e avevano invece preso ad andare a dormire dopo la mezzanotte dopo aver visto il Maurizio Costanzo Show…
Non a caso le uniche realtà religiose che non declinano sono le congregazioni più severe, che chiedono al novizio di compiere un’impresa, pur piccola, con la propria vita.
Pensiamo anche al celibato. Non sei disposto a rinunciare alla compagnia di una moglie, ti sentiresti solo, e vorresti essere un sacerdote? Immaginiamo allora come sapresti tenere testa al Langravio d’Assia, al Compagno Mao o ad una banda di tagliatori di teste nel folto dell’Amazzonia (dove, lo dice il nome, facilmente ti ammazzavano). Che fai, ti porti la mogliettina
?
La preghiera non è solo allenamento spirituale, ma sarebbe importantissima anche solo per quello.
Perché non esiste un corrispettivo ateo dei santi?
Semplice: se non esiste altro che questa vita, l’entropia vincerà sempre: non vale la pena di battersi troppo per salire in alto… in alto dove? L’ordine è una chimera. E quindi non c’è motivazione, tantomeno autorità, che ti possa spingere all’eroismo. Al massimo l’ambizione e la fortuna ti possono portare ad una vittoria altisonante o ad una sconfitta onorevole. Ma quello non è vero eroismo: il santo è solo cristiano. Lui sa che il nostro voler sfuggire al disordine ed alla decomposizione può trovare un senso oltre questa vita. E così dimostra a tutti di cosa può essere capace un uomo, libero dai normali vincoli dell’esistenza.
Non solo con grandi imprese in mezzo alla gente, tipo fondare congregazioni ed ospedali. Ma (soprattutto) nel poter fare a meno del mondo, per diventare cannoni da preghiera.
Gli asceti: parola che, scopro ora, viene dal greco askesis, che in origine significava esercizio, allenamento di un atleta.
Ecco dunque il santo stilita, un po’ esibizionista alla maniera orientale, che rimane a vivere per anni su di una colonna, come San Simeone o il San Daniele dell’icona presentata qui in apertura, “imperterrito davanti all’impeto del freddo, del caldo o dei venti”.
Pensiamo ai tanti eremiti che abbandonarono la civiltà, o ai frati e suore che passa(ro)no i loro giorni rinchiusi o addirittura murati vivi, a pregare e meditare.
Tra le altre cose, sviluppando una tale profondità e chiarezza di pensiero da essere ricercati ed ammirati come grandi maestri: la storia è piena di esempi di teste coronate che andavano a farsi consigliare ed ammonire da questi sepolti vivi.
Se uno non capisce come un piccolo frate, chiuso nel ritiro della sua cella a pregare, possa amare e conoscere tutti gli uomini meglio di chiunque altro, non ha capito la vita.
L’occidentale medio di oggi invece guarda solitamente con disprezzo e compatimento questi esempi, come se nascessero da una qualche patologia psichiatrica. Arriva ad ammettere ed immaginare la grande saggezza del monaco solo se è buddhista o comunque esotico, e lo devi andare a cercare (secondo il luogo comune) su di una montagna sperduta del Tibet.
Strana forma di cecità selettiva.
Le pratiche religiose da vecchiette, guarda un po’, fanno bene.
Scendendo dalle vette, per arrivare a noi poveri peccatori di mezza tacca, il discorso prosegue semplice e lineare: senza essere degli atleti professionisti, dovremmo imparare a tenerci in forma spiritualmente.
A metterla così, la salus animarum, la salute dell’anima, non è più solo intesa come salvezza finale, ma il mantenersi sani, su quella rotta.
Preghiera. Pregare tutti i giorni. Chi lo insegna più? Dovremmo insistere, invece non osiamo parlarne!
Partecipare alla messa. Non vi vergognate se saltate la palestra perché non ne avevate voglia? Ecco, allo stesso modo qui si parla di andarci con regolarità. E visto che l’anima conta più del corpo, e la messa è un incontro intimo con Qualcuno che vi vuole bene, quel piccolissimo sacrificio di dedicare un’oretta del vostro tempo alla settimana fa ridere di fronte al dono che ricevete nell’Eucarestia.
E infine sì, perché no, serve anche fare qualche sacrificio che ci insegni l’autocontrollo, come il digiuno del Mercoledì delle Ceneri e del Venerdì Santo, l’astinenza dalle carni (o altro) nei venerdì.
L’obiezione stupida: “non serve a niente!”
E’ una di quelle osservazioni talmente diffuse che vengono prese per buone, per la serie “lo dicono tutti”: a che pro, quando attorno a noi c’è un mondo di cose interessanti da fare e da scoprire, perdere un sacco di tempo a ripetere sempre le stesse formule e preghiere, o peggio, mortificarti con delle rinunce? Che ti cambia?!?
Peggio, pensa a quelli che digiunavano fino allo sfinimento o si flagellavano! Pazzi! Meno male che non siamo più nel Medioevo!
Ma scusate: se uno fa jogging, che senso ha, visto che non arriva da nessuna parte e non porta nulla? Gira in tondo! E poi, poi! Ma vi rendete conto della fatica di uno che fa pesi, che dopo tanto spostare quei cosi di piombo, alla fine li rimette dove già si trovavano? E per di più questi fissati il giorno dopo ripetono gli stessi movimenti, ancora e ancora!
Fidatevi di me che sono cintura bianca di preghiera e già ne so poco, mi distraggo sempre e faccio il minimo: se non provate, non sapete che vi perdete. Altro che ripetitivo!
L’elasticità fa bene
Che poi, diciamocelo, il sacrificio di astinenza e digiuno prescritto dalla Chiesa Cattolica è quanto di più ragionevole ed aperto possiate chiedere: con modulazioni ed eccezioni basate sul giudizio personale di chi li pratica, per età, stato di salute, esigenze particolari come il lavoro fisico pesante…
Praticamente è più un invito a fare qualcosa, anche diverso dal non mangiare carne, un piccolo sacrificio o una preghiera extra al venerdì, e due giorni l’anno fare il gesto di mangiare proprio poco. Sempre orientandosi col proprio giudizio.
Se uno si sente di fare di più, gli farà solo bene.
Ora, non è per fare confronti, ma facciamo un confronto.
Il digiuno del Ramadan è ferreo e intransigente, in molti paesi islamici non è praticamente possibile sfuggire al giudizio altrui. E quindi un po’ tutti, spesso anche i non-Musulmani, sono costretti a non farsi sorprendere dagli altri a mangiare o bere, per tutto il mese, dall’alba al tramonto.
Prescrizione che colpisce con durezza variabile secondo le circostanze: specie quando cade d’estate, chi vuole rispettarlo e vive in paesi tropicali è costretto ad uno sforzo notevole in più.
E’ vero che un malato può essere esente, ma nella pratica in tanti casi il benessere della persona passa in secondo piano.
Ma tutta questa rigidità non alimenta affatto un comportamento virtuoso: per tutto il mese, dal tramonto all’alba, si gozzoviglia e si mangia così, in maniera sregolata, per rifarsi del digiuno prolungato, più cibo che in altri periodi dell’anno. In più si tende a dormire di giorno e stare svegli di notte, per rendere meno gravoso lo sforzo: questo crea una tendenza all’inattività ed inefficienza di intere società, e comunque favorisce chi vive assistito dallo stato rispetto a chi deve lavorare e non può fare almeno di alzarsi la mattina.
E allora il Ramadan a cosa serve?
Sembra, a dirla tutta, un comportamento adatto a convincere un ateo che essere religiosi e seguire delle prescrizioni alimentari significa agire in maniera irrazionale e assurda.
Una cattiva pubblicità dell’obbedienza a Dio. Un po’ come l’insistenza dei Testimoni di Geova che ti importunano la domenica mattina e ti fanno disprezzare la predicazione: esempi di vaccinazione contro la religiosità. Una versione inattivata del virus religioso, per meglio sconfiggerlo.
Però…
L’elasticità non fa bene
A costo di ripetermi, devo nuovamente citare l’articolo di Nassim Nicholas Taleb: il più intollerante vince sempre.
Nel mondo islamico le pratiche collettive ben visibili, che cambiano la faccia di una società, sono un cemento formidabile: disincentivo per chi non si unisce, fonte di orgoglio e senso di appartenenza. Col Ramadan si rafforza il dover essere e l’obbedire.
Ma anche dove i Musulmani sono minoranza, il richiedere puntigliosamente il rispetto delle loro pratiche alimentari li porta ad imporsi progressivamente su di una maggioranza indifferente.
Al contrario, il cattolico lasciar fare e dare a tutti l’opportunità di vivere la Quaresima come meglio credono, porta la maggioranza, pure tra i fedeli, ad ignorare le prescrizioni, non porsi neanche il problema di cosa mangiano nel venerdì, insomma gradualmente ad abbandonare la pratica.
Per non disturbare troppo, ci si lascia cadere nell’irrilevanza.
In fondo, si dice, il divieto relativo alla carne è più un retaggio storico, di quando era un cibo di lusso; ci si vergogna a dare peso ad una prescrizione formale. Ma così si perde un terreno comune, il dolce effetto-contagio di una fede vissuta concretamente, anche nelle piccole faccende quotidiane.
Buona Quaresima!
(Ovviamente scrivo queste mie note in ritardo, te pareva, e ho pure mancato il venerdì uscendo il giorno dopo…)
Avete notato che la convenzione vuole che si sprechino gli auguri di Buona Pasqua, anche rispetto a conoscenti di cui in realtà non ci frega nulla, ma nessuno augura Buona Quaresima?
Eppure non sembra poi tanto necessario invocare la buona riuscita di una festa, mentre sarebbe bello incoraggiare i fratelli nel loro affrontare un periodo di impegno e penitenza.
E poi la festa è più bella dopo aver completato un cammino che ha richiesto un po’ di fatica.
Anche questa è saggezza cattolica.