Pseudo-Omelie 20 – Carne

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

 

Voglio puntare lo sguardo solo sulla Seconda Lettura, se non altro perché penso ad un’angolazione, un modo di vederla, che non incontra molto tra gli omileti d’oggi. E prendo dunque un pezzo che inizia leggermente prima; dalla Lettera ai Romani, siamo al capitolo 8, ma parto dal versetto 5 e arrivo comunque agli 8 e 9 letti in tutte le chiese:

 

Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.

Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.

Ecco, questa contrapposizione tra la carne e lo Spirito è un classico delle Scritture, e specialmente della predicazione di San Paolo.
E siamo fortunati (…) perché abbiamo già ampiamente affrontato il discorso del valore del corpo all’interno della prospettiva cristiana: nessun dualismo manicheo, nessuna possibilità di confusione dunque. Per noi cristiani il corpo vale in sé, è addirittura Tempio di Dio, accoglie Gesù Cristo nell’Eucaristia.

Quindi qui la carne non è banalmente la corporeità, ormai lo sappiamo.

Il bivio.

Vivere secondo lo Spirito significa accogliere lo Spirito Santo, seguire Gesù, avere ben chiara la prospettiva, quali siano gli obiettivi a cui tendere: verso la Comunione dei Santi, desiderando unirsi a Dio, cercando la perfezione e l’amore vero, puro, disinteressato.
Non ci vuole molto a intuire che vivere secondo la carne significa l’esatto opposto: rimanere invischiati nella nostra natura caduca, caduta, imperfetta, schiava del peccato. Che rincorre desideri insoddisfacenti per riempire un vuoto interiore, impossibile da colmare con i mezzi di questo mondo.
Scendere verso l’animale, i bassi istinti; rimanere prigionieri di illusioni ed inganni. Sciupare, abusare, dividere, odiare, creare disordine.

Sto per arrivare all’angolazione che non piace a molti predicatori, che sembrano temere di toccare i cavi dell’alta tensione se parlano di cose scabrose.
C’entrano i desideri carnali? Il sesso? Di questo si parla qui?

Vediamo…

Perché mi pare di sentirli, i commenti della gente ignorante che scrive (a caso, ma rabbiosamente) sui social: ecco! La Chiesa sessuofoba! Ce l’ha contro il piacere! Repressi!

Eh no, non funziona così.
Sentiamo dalla lettera ai Galati 5, 19-22:

Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé

 

Qui si vede bene una contrapposizione tra carne e spirito che va ben oltre ogni pregiudizio semplicistico, e punta alla sincerità delle scelte del cuore.

Nel fare il male rientra tutto ciò che ci porta lontani dall’amore di Dio.

 

C’è molto di più: tante strade per perdersi.

L’elenco delle opere della carne è però opportunamente confuso, se mi passate il termine. Come ad associazione di idee, sull’ispirazione del momento.
Del resto non dobbiamo pensare di poter compilare un elenco esaustivo, e ognuno deve imparare a saper giudicare la natura dei propri comportamenti da sé.
Ma gli esempi servono a farsi un metro di giudizio.
Nella lista troviamo vari casi che sembrano adatti alla circostanza, considerando le preoccupazioni di un pastore della Chiesa nascente: inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie… Sono tutte vie attraverso cui si divide la comunità, vizi da stroncare man mano sul nascere.
C’è poi un capitolo a parte che è quello di ciò che allontana da Dio in maniera diretta: con la magia o gli idoli.
Il resto rimanda a qualcosa di più prevedibile, parlando di opere della carne.
L’ubriachezza è già un lasciarsi andare al piacere, buttandosi via; vedo che però il successivo “orge“, che sembrerebbe non lasciare dubbi, la traduzione protestante Diodati rende come “ghiottonerie”, che sinceramente mi sembra un patetico eufemismo, pure confuso. Altri traducono “gozzoviglie”: parliamo comunque di eventi di gruppo, in cui ci si abbandona al piacere sfrenato.
Mi fa sorridere il “cose del genere” in fondo all’elenco, che vale un nostro abusatissimo “eccetera”, ma voglio pensarlo più come il “preferisco non pensare a certe schifezze nel dettaglio” di un sant’uomo.

Sta di fatto che un elenco che si conclude con riferimenti a vizi legati al piacere fisico, già in apertura presentava proprio fornicazione, impurità, libertinaggio.

Non bisogna certo confondere i peccati (e il vivere secondo la carne) con i peccati più immediatamente riconoscibili come “carnali”. Però un certo qual posto in prima fila questi lo mantengono!
Anche senza dover andare a specificare nel dettaglio cosa si intendesse ad esempio con ἀκαθαρσία, che noi di solito vediamo tradotto come impurità, e che potrebbe avere un contesto più ampio, il discorso qui verte anche sui peccati legati alla sessualità.

 

Non c’è solo il corpo, ma il corpo c’è.

Ecco, per non rischiare di passare per bacchettoni, oggi molti preti rischiano di cadere nell’eccesso opposto… Sono quelli che: “il tema della storia biblica di Sodoma e Gomorra è l’ospitalità“.

Nossignori. Non si può certo incaponirsi sulla sessualità, picchiando sempre e solo sullo stesso tasto. Ma nell’agire secondo la carne, l’abuso del sesso c’entra eccome! Specialmente oggi, per moltissimi.

E tacerne è non solo un’omissione vigliacca, è un problema di mancanza di prospettiva. Non voler vedere ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi, per quieto vivere.

Eros, vabbé. E allora Thanatos?

Proviamo a fare un esempio che sembra non c’entri nulla. L’uccidere. Quel peccato per il quale, salvo situazioni particolari, praticamente tutti sono disposti a dire “questo è male”.
Pensate ad un comandante o un boss che dà ordini. O a chi uccide a distanza, premendo un pulsante, lanciando un missile. Non sa nemmeno se e quanti sono morti, a seguito della sua azione.
E ora pensate ad una classica, terribile, situazione da guerra di trincea: due soldati che lottano per la vita, coltellaccio contro baionetta, rotolandosi nel fango. Abbracciati quasi, tentando di vincere con la forza. Sentono l’uno il respiro e il sudore dell’altro. La puzza, la paura. La vita che scorre, intensa; i muscoli tesi. Da lì a qualche istante uno dei due morirà tra le braccia dell’altro.
Cosa è peggio, l’indifferenza asettica, il mezzo tecnologico (o l’organizzazione) che ti permette di produrre morte e distruzione senza quasi accorgertene, senza sporcarti le mani, rendendo difficile sentirsi coinvolti e spinti al rimorso? Oppure la bestialità del combattere corpo a corpo, avere il coraggio di guardare negli occhi una persona a cui togli tutto, in un breve scambio, una spaventosa intimità di nemici?

Direi che sono due realtà atroci in modi radicalmente diversi, ma è inutile fare classifiche. Vediamola invece da un lato pratico: come cercare di evitare le atrocità? Senz’altro difficile, nell’era (e ci siamo quasi) della guerra tra macchine dove sei solo un bersaglio, cautelarsi contro la violenza asettica.
Ma dall’altro lato, insegnare a non abbrutirsi, a non essere capaci di tutto, sarebbe un inizio. La chiamerei una conquista, l’idea che credo sia condivisa da quasi tutti qui: il rabbrividire inorriditi al solo pensiero di avere sottomano il corpo indifeso di una vittima, da uccidere senza pietà, un’esperienza dei sensi indimenticabile. Penso ancora una volta a quei bambini palestinesi di cui si vedono filmati, avviati fin da tenerissima età a sgozzare, come fosse nulla. Capretto finto prima, poi capretto vero, poi…

La dimensione della corporeità è quella più nostra, umana. Definisce come siamo, come cresciamo. La nostra formazione passa di lì.
Specialmente negli anni dello sviluppo, ciò che coinvolge direttamente il corpo lascia un segno molto più profondo.
È senz’altro difficile far cambiare vita ad un ragazzino che ha l’abitudine di rubare, ma non è forse peggio dover disintossicare un ragazzino che è diventato dipendente da un piacere fisico intenso: da droghe, pornografia, o peraltro liberarlo dagli effetti di abusi fisici magari subiti?
No, decisamente coinvolgere il corpo ingigantisce gli effetti, quindi anche i problemi.

Per rimanere sull’uccidere: una madre che decide di ammazzare il figlio che porta nel grembo, si trova esposta ad una tempesta emotiva pazzesca, per una serie di ragioni intrinseche all’aborto, che non c’è da stupirsi la segnino a vita:
-la violenza fisica, vissuta da vicinissimo, partecipata, nelle proprie viscere;
-la responsabilità di aver deciso, solitamente per una forma più o meno comprensibile di egoismo, la morte di un innocente;
-il coinvolgimento della dimensione emotiva e sessuale (il ruolo del più o meno instabile partner; tipicamente, il trovarsi lì per aver cercato un momento di piacere senza pensare ai rischi);
-la lotta interiore tra una serie di schermi, di scuse propagandistiche, e la propria coscienza, spesso anche più severa del dovuto, ma zittita a tutti i costi;
-soprattutto: il tradimento radicale, intimo, lacerante, del proprio ruolo di madre, spesso incontrato per la prima volta nella vita proprio nel frangente in cui si svolge il sacrificio umano in questione. Come a cercare il modo più efficace per rovinarsi la vita, per sbilanciare la propria visione di sé. (Sbilanciare: con eventuali altri figli futuri significherà magari sensi di colpa, sovracompensazioni…)

C’è poco da dire: è più intenso perché coinvolge letteralmente la carne, e gli affetti più essenziali.

 

Riconoscere di che pasta siamo.

A questo punto non può più stupire un discorso sulla morale incentrato sul sesso: mentre fare il male astrattamente, da colletti bianchi, cela insidie magari non sempre ovvie, tutti sappiamo riconoscere la brutalità di chi tratta un altro essere umano come un oggetto del piacere, di cui abusare.
E sotto sotto sappiamo anche, se guardiamo alla cosa con sincerità, che i danni dell’aver calpestato l’intimità si estendono sempre molto lontano, e ben oltre il visibile.

 

In un’era che finge di credere davvero che nel sesso non ci dovrebbero essere regole (tranne, aggiungono per cautelarsi, il mutuo consenso validamente espresso) diventa estremamente prezioso un insegnamento religioso che dica: no, questo tuo porti come obiettivo il piacere fine a sé stesso, vedendo nell’altra persona un’occasione e basta, ti rovina, ti porta lontano da Dio, fa del male al tuo prossimo più prossimo e poi a tutti gli altri. E va per questo combattuto, a chiare lettere.

Riconosciamolo, una buona volta: la maggior parte di noi non potrà mai fare grandi danni con la propria carriera lavorativa; non potrà decidere della vita di altre persone, o produrre volontariamente drammi e catastrofi. Al contrario, semplicemente scegliendo come vivere la sessualità, può fare danni intensi e duraturi alle persone che coinvolge.
E dovremmo temere di parlarne, vergognarci di castigare il vizio e promuovere la virtù?

Questo tipo di peccati è più presente nella vita di tutti, e più spesso capace di dare conseguenze importanti. Soprattutto perché ci coinvolge nel profondo.

 

Tutti più o meno capiamo l’idea che chi ruba un’auto merita il carcere, e che non è invece pensabile punire l’adulterio a termini di legge, per varie ragioni. Ma questo non deve necessariamente definire il nostro senso della moralità.
Provate a farvi una domanda, seriamente.
Preferireste che vi rubassero l’auto, o che qualcuno riuscisse a portarsi a letto vostra moglie/marito?

 

Siamo geneticamente dei trogloditi. Predisposti ad avere reazioni intense quando è coinvolto il corpo. Ad imparare ed agire di conseguenza.
Siamo talmente sintonizzati sul corpo che questo ci fornisce anche una potente motivazione per negare l’evidenza… e voler dire che il sesso è -e deve essere- un divertimento innocuo, senza pensieri, senza regole. Lo diciamo proprio perché sappiamo che non è così. Perché la voglia naturalmente cerca scuse.

 

Ecco.

Siamo una società che non osa ammettere i propri problemi con l’area genitale. Intere famiglie segnate, magari per generazioni, perché una o due persone hanno dato priorità alla voglia del momento, incuranti delle conseguenze. Anche a catena: un figlio non voluto, cresciuto complessato, che maltratta a sua volta, in maniera ancor più patologica, il figlio suo, che scende ancora drammaticamente un gradino e compie qualche crimine a sfondo sessuale…

Sì, è vero, dovremmo insegnare ai giovani, con San Paolo, che le invidie, le gelosie, il seminare discordie eccetera, creano danni: ci portano verso la parte peggiore di ciò che siamo, invece di elevarci a Dio. Dovremmo insegnare loro anche quello. Ma siamo seri: quanti ragazzi hanno davvero bisogno di scoprire che è male essere invidiosi? Contro questi peccati esiste già una capacità di dire di no, o perlomeno di avere coscienza dei problemi e della loro entità.
È invece sulla sessualità che non ricevono quasi alcun segnale improntato al realismo, al raccontare loro come stanno le cose. Proprio lì dove sono più vulnerabili,  e su di una materia delicata e sfuggente, gli mancano i messaggi positivi!

 

È semplicemente drammatico che oggi la scuola insegni ai ragazzini: “esplora la sessualità, diventa ciò che ti sembra di voler diventare, corri dietro alle sensazioni confuse che provi, sballottato tra mille segnali e stimoli. Subisci la spazzatura che ti buttano dentro la testa, lasciati andare. Noi non possiamo certamente pretendere di dirti di imparare l’autocontrollo. Anzi, chi ti dicesse di trattenerti sarebbe solo stupido, e crudele nei tuoi confronti, perché trattenersi è fatica. Sfogati, tanto sappiamo che lo farai.

Di fronte ad una società così follemente patologica, cosa sanno proporre oggi i preti? Abbozzano, parlano d’altro. Vorrai mica sembrare bigotto!

 

 

E invece no.

La storia va raccontata tutta, anche e soprattutto se è complicata.
Vero, non dobbiamo condannare solo i peccati carnali, ma chi mai oggi lo fa?!?

Tipico errore di conformismo, fuggire i rischi e gli eccessi di un’epoca lontana e radicalmente diversa, che non ci appartengono.

Allora si ricominci a dirlo a chiare lettere: ragionare secondo la carne, cercando il compimento della nostra vita in una dimensione terrena, regredendo invece che elevarsi, ha sì tante sfaccettature… ma tra queste una delle insidie più grandi, che ci segna soprattutto negli anni della crescita, per il modo in cui non impariamo a controllarci, è proprio la sessualità malcompresa, vissuta male, ridotta ad un urlo interiore, “voglio di più, me lo prendo”.

 

Mi dicono che secondo i grandi moralisti di un tempo il vizio più grave sarebbe la superbia, che ti porta a credere di essere superiore mentre imponi i tuoi sbagli e ti ribelli a Dio, e non certo la lussuria, che in fondo è solo una debolezza. Benissimo. Ma siamo nell’era della lussuria, e dobbiamo cominciare a parlarne.

 

Tanti oggi fanno la parte di quelli che “appartengono” ad una Chiesa, ma poi gli presenti i “loro” testi sacri, gli presenti un elenco di peccati che comincia dalla fornicazione, e se va bene non sanno manco cosa voglia dire la parola fornicazione. Se glielo spieghi, dopo una risatina nervosa, ti guardano con compatimento, perché per loro è ovvio poter andare a letto con chi capita, e se non lo fai è solo perché in quel momento o con quella persona non ti va…

Si finisce così con una Chiesa, scusate se insisto, che accenna imbarazzata a scusarsi perché, in passato, aveva osato far sentire in colpa i fornicatori…

Non dico tanto, ma almeno cerchiamo di dare questo input ai ragazzi più giovani: sai che c’è? Qui non è tanto una questione di divieti, o di aiutarti a non rovinarti la vita impelagandoti in situazioni sbagliate. Prova a fidarti, la sessualità che non è strumento di piacere egoistico è più bella in sé, e arricchisce la tua vita costruendo amore vero, oltre che portarti verso il Bene. Te l’avevano detto?

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