E così finisce il giro delle feste.
Ho sempre apprezzato questa ricchezza, un tessuto di celebrazioni che riesce a proporre nuovi picchi di interesse, nuovi momenti importanti ed emozionali, senza stancare.
Parti con una lunga Quaresima: ti prepari nella penitenza, cosa che ti fa crescere e ti fa gustare meglio la festa dopo.
Già hai un assaggio con le Palme. Poi il Triduo Pasquale, intenso. E poi una lunga festa di Pasqua, che si chiude con un doppio finale, con Ascensione e Pentecoste. Non contenti, anche se mi rendo conto si tratta di tradizione che non c’è sempre stata e potrebbe cambiare, ci attacchi in coda due extra: Trinità e Corpus Domini.
Un bel programma completo, e pazienza (no, non pazienza, ahimè) se poi subito dopo i bambini entrano in modalità vacanze e spariscono. E peccato gli adulti sempre più spesso pensino che sia tutta roba appunto pensata per i bambini, quindi si avvicina un bel rompete le righe, liberi tutti…
Bene, siamo arrivati.
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO, SOLENNITÀ – ANNO A
Non sapevo come approcciare l’argomento di oggi, l’Eucarestia, per la sua importanza straordinaria.
Ma lo spunto ha trovato me.
E scusate se si tratta di una roba che molti troveranno sdolcinata, da fanatici baciapile.
Sì, è una cosa maledettamente cattolica. Emozionale, semplice, umile. Proprio qui si trova uno degli aspetti della grandezza di San Giovanni Paolo II: non ha paura di sembrare infantile, prigioniero di una fede ingenua. Lui ci crede veramente, che Gesù si trova proprio lì, davanti a lui. E lo prende sul serio.
Dietro questa semplicità, dietro questa richiesta di farlo inginocchiare, c’è una persona autentica. Chi recita una parte, per quanto attore consumato, alla lunga si fa riconoscere; una scena di questo tipo non gli verrebbe neanche in mente.
No, non è una facciata.
E’ nel momento della fragilità estrema che capisci il vero carattere della persona, le sue priorità.
Sono anche particolari come questo ci aiutano ad intuire che l’eredità di JPII, nei suoi insegnamenti e attraverso l’esempio, ha appena iniziato a portare i suoi frutti.
Viva il Corpo!
L’intuizione più grande che Giovanni Paolo II ha avuto è stata forse quella di dedicare tanto spazio ed energie alla teologia del corpo, che insegna il valore della corporeità (!) che è essenziale per la fede cristiana (!)… Ma è un approfondimento difficile in sé; una dottrina che può fiorire specialmente solo dopo aver raggiunto un certo livello di sviluppo della società.
Infatti A) l’uomo premoderno ha nel corpo
1. uno strumento (la mia forza, un’arma, ciò che posso costruire),
2. una vulnerabilità (le mie malattie, la morte),
3. un oggetto di desiderio (la mia donna, il sesso).
In questi tre ambiti le esperienze più significative sono soprattutto brutali.
Per B) l’uomo postmoderno, invece, il corpo diventa
1. un mezzo inadeguato, un limite (reinventarsi secondo capriccio, transessualità);
2. una carcassa di cui liberarsi (eutanasia, fuga verso l’artificiale);
3. un puro strumento di piacere (il sesso assolutizzato, consumistico; ma anche lo sballo, il cervello sotto effetto della chimica).
In questi tre ambiti la brutalità primitiva ha lasciato lo spazio al disprezzo.
Tra il fango e le nuvole
Nella storia del pensiero e del costume c’è questa continua tensione, tra il cedere alla corporeità, scendendo verso l’animale, e il rifiutarla, fuggendo verso una impossibile purezza, che è alla fine un negare il senso alla nostra stessa esistenza: spiritualizza, togli, separa, purifica… e alla fine non rimane niente.
Chi si chiama fuori da ogni discorso religioso spesso scivola sul soddisfare il proprio ventre e niente di più, quindi ad una prima occhiata superficiale sembrerebbe che l’ateo (di risulta) gravitasse attorno ad un unico polo, quello dell’abbrutimento; ma abbiamo visto come nella postmodernità compaiano anche, prepotenti, spinte per cancellare, umiliare, sostituire, o perlomeno schifare il corpo.
Viviamo in un mondo che vuole eliminare l’imbarazzo, la difficoltà, l’handicap. Non sopportiamo le puzze, le incertezze del nostro futuro genetico, gli acciacchi della vecchiaia. Fuggiamo la malattia e la morte correndo incontro all’eutanasia. Schifosi ed insopportabili sono soprattutto i corpi altrui, quando compromessi da fame, deformità, perdita delle funzioni motorie e del controllo dello sfintere… Le loro vite dipendenti dagli altri, “non degne di essere vissute”. I cadaveri, poi, li bruciamo immediatamente, magari spargendo le ceneri, per cercare di rimuovere il pensiero eliminando ogni traccia fisica. Persino i corpi esaltati del fitness e del porno non sono che modelli artefatti, occasioni per svilire la normalità di corpi inadeguati ad un ideale di perfezione.
Sì, i catari sono tra noi. Sul modello del catarismo, che include anche storicamente gli albigesi, la storia del pensiero è costellata di esempi di movimenti, o di aspetti della cultura, improntati a questo rifiuto del corpo, del creato, della realtà fisica.
Anche in maniera apparentemente contraddittoria, ambivalente. Pensiamo ad esempio ad un tratto caratteristico degli albigesi, l’endura: il suicidio per fame, al termine di un presunto cammino di ascesi. Non è forse più o meno la stessa cosa che avviene con la pratica del sallekhana (o santhara) nel Giainismo, il cugino sfigato del Buddhismo?
In un certo senso è similmente incline al suicidio ed al vegetarianesimo anche l’occidente decadente.
Ma la modernità del catarismo la si vede soprattutto nel disprezzo verso la gravidanza: un rifiuto dell’esistenza umana in quanto tale. Accompagnato dalla sorprendente esaltazione del sesso “contro natura”: allora come oggi si presenta come “superiore” una sessualità, come ad esempio l’omosessualità, che abbia perso il senso del proprio essere.
Una concessione parziale al nostro cervello più primitivo, che vuole solo il piacere: un cedimento che è però una negazione, per meglio staccarsene.
Troviamo del resto tipicamente, nelle varie tradizioni religiose, i segni di questa tensione, risolta in un verso o nell’altro, con qualche concessione tattica alla spinta contraria.
Tale è il caso esemplare del Buddhismo: una filosofia inconsapevolmente arbitraria, inconsistente, basata sul nulla, e che ha nel nulla uno scopo a cui . Confusamente però concede all’umanità: quando ad esempio valorizza la compassione, per una sorta di necessaria compensazione, per avere una presentabilità.
Ma alla fine la carica di nichilismo è tutta lì: nega che ciò che esiste sia buono, cerca l’annientamento. È il Giovane Werther with extra steps.
Ma poco viene fatto notare quanto l’Islam rappresenti l’esempio tutto sommato opposto. Anche qui ci sono concessioni tattiche alla spinta contraria, in questo caso istanze di ascesi: ad esempio nelle privazioni di un digiuno imposto, o nella proibizione del sesso fuori dal matrimonio.
Ma nessuno più dell’Islam sembra aver saputo lusingare i nostri bassi istinti, rivolgendosi alla cupidigia di uomini chiamati a diventare guerrieri-predoni: dare libero sfogo alla violenza, saccheggiare, stuprare… In effetti, persino il richiamo alla continenza sessuale è più che altro teorico, grazie alle eccezioni, alle donne oggetto, al diritto di possedere le donne del nemico… Il digiuno del Ramadan è in effetti solo diurno, quindi la scusa per grandi abbuffate la notte, e soprattutto il Paradiso promesso è disperatamente, comicamente carnale. Persino l’astenersi dagli alcolici è solo provvisorio, in vista di una vita eterna dove ubriacarsi all’infinito…
L’unica proposta possibile, perché le altre al confronto sfigurano
Decisamente: una volta guardati attraverso questa lente, i movimenti ideologici e religiosi di questo mondo appaiono inadeguati, incapaci di porsi domande e dare risposte ai problemi esistenziali. Non sanno puntare in alto, o se lo fanno negano ciò che siamo, rendendo superfluo o inconsistente il loro percorso.
Oscillare tra rifiuto del corpo ed edonismo, dicevamo. Anche nel mondo cristiano c’è chi pretende di cancellare la sessualità e chi su queste cose è al contrario molto “liberale” (zia Ines una volta mi disse: “sono cattolici molto sportivi sull’orizzontale”).
Ma in questo caso si tratta di fenomeni abusivi, che non rispettano il portato della propria fede.
La risposta cristiana infatti non nega la tensione tra materia e spirito, la supera in una sintesi inedita.
Il mondo materiale non esaurisce il nostro orizzonte, ma neanche rappresenta una zavorra di cui liberarsi.
Perché c’è un Dio che si incarna, che improvvisamente dà un senso nuovo a tutto questo.
E nella Comunione, nell’unione fisica col Corpo di Cristo (!) trovano una nobilitazione persino i nostri miseri corpi. Da non crederci, viene da esclamare.
No, non è la solita religiosità tradizionale. Non separa lo spirito ed il corpo, di cui anzi promette la risurrezione, seppur in una forma nuova, liberata dal male e dalle imperfezioni.
Non ci possono essere alternative altrettanto valide, questa è davvero la quadratura del cerchio.
Se valorizzi il corpo, lo fai a tutto tondo, impari ad amare anche e soprattutto ciò che è inadeguato, imperfetto, compromesso dalla malattia. Infatti se Dio che è Perfezione trova buono te, come puoi tu fare differenze per chi, creatura come te, è forse leggermente meno sano?
Capisci improvvisamente la biforcazione:
– da una parte hai i derelitti senzatetto di Calcutta, ridotti in condizioni pietose ma amorevolmente curati dalle suore di Madre Teresa, così come i malati di lebbra o di tante altre malattie difficili, i casi più penosi e deformi del Cottolengo, i bimbi down, gli scartati, che nei seguaci di Cristo trovano qualcuno che li ama davvero anche nella loro condizione…
– Dall’altra hai chi sogna di accedere ad un mondo fatto di party esclusivi pieni di modelle e di palestrati; di resort a 5 stelle, macchine fuoriserie, abiti, case, piscine: tutto impeccabile, ai massimi livelli; per una vita sportiva, dinamica, piena di opportunità e di vittorie. Ma anche chi più o meno ci riesce… rimane insoddisfatto, sente un vuoto dentro; e poi dovrà affrontare l’inevitabile decadimento del proprio corpo. Hai voglia a correre dal chirurgo estetico: puoi solo rallentare l’inevitabile, e nel frattempo scivolare nel ridicolo, come le patetiche vecchie matrone di Brazil (1985) di Terry Gilliam.
Gesù Cristo indica una via diversa per chi non ha paura di perdere il proprio corpo, anzi! Realizza qualcosa di immenso esponendosi alla violenza e alla sopraffazione; si fa vittima, mettendo in gioco il corpo per uno scopo nobile. Dà un senso alla realtà fisica nel donarsi.
E in maniera simile anche chi lo segue, indegnamente. Perde il corpo, il godersi la vita, il presunto bello, per riaverlo trasformato.
Cento volte già al presente…
Ma non si tratta di un buttare via la vita che abbiamo davanti, nella vaga speranza di ottenere una vita eterna in contraccambio. No, Gesù dice infatti, in Marco 10, 29-30:
In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.
L’obiettivo finale è un altro, ma già in questa vita, se scegliamo di perderla, troveremo molto più piacere e soddisfazioni! Insieme a persecuzioni? Che follia è questa? Stoltezza cristiana, ancora una volta: leggere un po’ di biografie di santi ci restituisce questa impressione sorprendente. La vita che è donata, che uno non si tiene gelosamente per sé ma diventa strumento di comunione, non è solo una vita ammirevole, che proietta verso il Cielo; è anche più ricca, foriera di soddisfazioni più profonde perché costruttive, perché basate sull’amore. Nonostante le persecuzioni.
La sofferenza che puoi solo cercare di fuggire, ma a cui non puoi sfuggire, è una pena senza senso che ti dà solo angoscia. Invece il male sopportato per amore viene superato e addirittura valorizzato.
Chi compra una supercar come una Bugatti, del valore di qualche milione di euro (un eccesso, sulla strada del godersi la vita), se ne pentirà il giorno dopo, e non sarà contento finché non l’avrà rivenduta (così raccontano quelli che ci sono passati); eppure la lezione probabilmente non gli basterà. Non riuscirà ad immaginare la soddisfazione, il senso di pienezza di chi, inchiodato ad un letto dalla malattia, unisce consapevolmente le sue sofferenze a quelle della Croce di Cristo.
Dio che subisce rompe gli schemi
In un mondo fatto solo di idee, niente vale. E niente vale la pena.
In un mondo solo materiale, cosa vale? Lo schifo prevale.
Se invece Dio stesso scende al nostro livello e si espone agli oltraggi del corpo, si apre una strada per trovare il senso a ciò che siamo e ciò che possiamo essere.
Se all’Infinito vai bene come sei, ti ha pensato così, ti prende per mano…
E se vuole che ti unisci a lui, e che lo fai per libera scelta…
E se ti lascia persino la possibilità di fargli del male (!), e dopo ti vuole lo stesso salvare, si sacrifica per te… (!)
Davvero aveva ragione Sant’Agostino:
Felice Colpa, che meritò di avere un così grande redentore!
Un senso nel donarsi, dicevo: forse sta qui uno dei segreti della creazione. Il mondo fisico, imperfetto, esiste perché rappresenta un’occasione per mettere in gioco il proprio essere, nella vulnerabilità. Un valore che esiste solo in ciò che può andare sciupato; un amore vero che è una scelta, poteva essere un rifiuto.
Perché l’Eucaristia
La redenzione si nutre di concretezza: se si fosse trattato solo di promesse, concetti astratti, belle parole… Non sarebbe bastato. Ci voleva un atto fisico, per concretizzare nel nostro corpo la donazione del corpo di Cristo, in espiazione dei nostri peccati: come la vittima nel sacrificio del Tempio di Gerusalemme.
Dovevamo mangiare dell’Agnello. Partecipare, esserci, fare nostro.
Anche se non avremmo lontanamente osato sognare l’Eucaristia, se non ci fosse stata proposta, beh… Vista a posteriori, è ormai chiaro: è una necessità.
Dio-con-noi non può rimanere confinato in una dottrina, in un libro: un atto di incarnazione si annuncia e si fa presente nella carne, nella Comunione. Tutto è genialmente consequenziale.
Ecco, questo non perdonerò mai ai Protestanti. Togliere l’Eucaristia ai loro sottoposti e seguaci. Una povertà diabolica.
Tutto, ma non l’Eucaristia. Dopo non hai più scuse, non stai dalla parte di Gesù, stai dalla parte del mondo. E della distruzione.
E torniamo a Giovanni Paolo II: ripensare la sessualità
Il Cristianesimo, se dovessimo ridurlo ad uno slogan, potrebbe essere definito la religione del corpo. Ora forse, pensandoci, tutto questo è più chiaro.
Ma allora… Come si spiega la famosa Chiesa sessuofoba, di cui tutti i media cianciano da una vita?
In parte c’è in gioco una tendenza sempre umana: combattere il male non sempre lo si fa lucidamente, anche da parte di uomini di Chiesa. Se vedo il male nel materialismo, posso correre il rischio di scivolare nell’eccesso opposto, nel rifiuto del corpo. E questo pure è stato fatto.
Ma la ragione più importante si trova nella malafede dei leader stessi: giornalisti, intellettuali, influencer e gente di peso. Dovendo giustificare il loro annusare, sporcarsi e grufolare, non potevano che sovrapporre il sesso malato al sesso, il richiamo alla responsabilità alla paura del sesso.
Specialmente oggi, su quel che insegna la Chiesa si spacciano falsità intense e straordinarie, superate solo dall’animosità e dalla voglia di attaccarla, con la bava alla bocca.
Eppure c’è un altro fattore importante, che riguarda lo sviluppo della civiltà. Per quasi tutto l’arco della storia umana, la vita è stata lotta per la sopravvivenza. Cosa che noi oggi, forti dello sviluppo e benessere che ci hanno lasciato, fatichiamo a comprendere cosa significasse, nelle mille prospettive e scelte quotidiane.
Non è un caso che la religiosità più cerebrale, distaccata, che rifiuta il corpo, abbia avuto successo a tutte le latitudini. Se temi l’estinzione della specie, se ogni famiglia si aspetta di vedere morire almeno uno dei propri bambini; se il futuro è incerto e andare avanti richiede grandi fatiche e responsabilità, non c’è tempo né voglia di perdersi in discorsi sul piacere; chi pensa a godersi la vita è un approfittatore che metterà sulle spalle degli altri i pesi che non ha voluto caricarsi lui.
Il corpo diventa naturalmente un pericolo da tenere a bada!
Ecco, ci voleva un approfondimento del bello della vita, incluso e per primo ciò che riguarda la sessualità, ma ciò diventa possibile solo dopo aver superato questa fase di emergenza perenne, che per l’umanità era la norma.
Ma siamo creature imperfette, che in assenza di pungoli scivolano verso l’animale: per questo, non appena si crea l’opportunità di apprezzare il sesso e godersi la vita, prevale un lasciarsi andare e non sapere trovare un senso; cercare il sesso slegato dal procreare; rincorrere solo l’egoismo. L’occasione di maturare è tipicamente buttata, nello sbraco generale.
Per questo ci voleva un JPII, per sviluppare la teologia del corpo. Arrivato al momento giusto, e personalmente distaccato da una realtà, quella del sesso, che non disprezzava affatto.
È sempre così: capisce bene le cose chi non è coinvolto direttamente ma allo stesso tempo non rifiuta.
Il corpo per comunicare; l’amore nella carne
Come religione del corpo, il Cristianesimo mette assieme il valore della fragilità umana e dei corpi segnati dalla morte; l’Eucaristia; la procreazione; il sesso; queste due ultime cose viste come profondamente legate.
– L’amore come agape, l’amore disinteressato per il fratello, ha una simmetria possibile, nell’accudire il corpo nel momento del bisogno.
– L’amore di figli, per i genitori o verso Dio, ha anch’esso bisogno di corporeità, quindi vive di gesti, ma ancora non basta.
Dal basso verso l’alto, siamo sempre inadeguati.
– La fecondazione è l’amore di genitori reso realtà fisica, anche se è soprattutto la madre che vive la dimensione corporale del procreare, e non solo nel parto.
– L’Eucaristia è l’amore di Dio che si fa realtà fisica.
Dall’alto verso il basso, c’è dunque un amore realizzato nel corpo che definisce la nostra vita.
– L’eros, l’amore attraverso una unione alla pari, trova il sesso come attualizzazione necessaria.
Il sesso è la tematica più delicata e difficile non solo per la responsabilità insita nel (potenzialmente) fare figli, ma perché oltre al corpo mette in gioco l’egoismo; il desiderio di possedere e il rischio di vedere in una persona amata solo lo sfogo di un istinto animale bruciante, uno strumento del proprio piacere.
Difficile eh, domare il toro!
Eppure le battaglie più impegnative sono quelle che possono portare risultati più fecondi, in tutti i sensi.
Se non sei schiavo della corporeità, e allo stesso tempo non la rifiuti, puoi giungere ad una maturità più profonda.
Proprio chi ha rinunciato ad avere una sessualità, ha fatto voto di castità, può apprezzarla in prospettiva, insegnarne così meglio agli altri il senso e le difficoltà. Come un soldato che difende una patria, una terra a cui non spera di poter più tornare.
Rispettare il corpo, aiutare e curare il corpo bisognoso; godere il corpo; trovare il piacere della comunione e del partecipare, come strumenti, all’opera della creazione… Tutto sta assieme.
Il Corpus Domini
Ma torniamo a bomba, come si dice.
L’adorazione eucaristica.
Un’occasione extra di meditare su questo mistero, di Dio che si è fatto carne e viene ad abitare dentro di noi, letteralmente.
Adorarlo sull’altare, noi che mangiamo ostie da abitudinari, con poca consapevolezza.
La foto di apertura è così cattolica!
Essere come bambini, che sanno vivere la meraviglia: riscoprire ogni giorno la presenza misteriosa di Dio in un pezzo di pane.
Crederci veramente, è tutto qui il discorso.
Prendere sul serio l’assurdo del Creatore di tutte le cose che si rende presente proprio lì. Cosicché tu non vedi nulla di nuovo e di strano, anzi sembra il solito pane, pure un po’ strano, tondo e sottilissimo… Ma quelli sono aspetti da ignorare: accidenti, dettagli dell’apparenza.
Peggio ancora, si fa mangiare da te! Per farti entrare in comunione con lui!
Se la presenza era già qualcosa di incomprensibile e difficile da credere, questa poi ti fa tremare. Davvero dobbiamo dire, devo personalmente dire: non son degno! Non lo sono!