XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
Bisogna dare atto agli Ebrei in generale, e per quel che ci interessa all’Antico Testamento, perché a volte sanno farsi le ragioni senza tanti infingimenti, mostrandoci che non è proprio richiesto, strettamente parlando, il mettersi a zerbino per farsi schiacciare, sempre presumendo di doversi umiliare e che l’avversario magari abbia ragione, o comunque non gli si possa dare torto.
No, i buoni devono sapersi anche far valere. Anche con giudizi netti: non è superbia difendere le ragioni di Dio, solo perché noi, indegnamente, ci siamo accodati a sostenerle. Non stiamo difendendo il nostro piccolo giudizio, ma qualcosa di più grande.
Sicuri di sé, contro il nemico.
Nella Prima Lettura troviamo un campione di quelli che davvero non le mandano a dire.
Il Profeta Geremia, parlando dei suoi persecutori, fa una particolare professione di fede: non potranno prevalere, saranno travolti da una vergogna che sarà eterna. Ma subito dopo dice una cosa sorprendente, per il nostro metro buonista:
Signore degli eserciti, che provi il giusto,
che vedi il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di loro,
poiché a te ho affidato la mia causa!
In altre parole, pur riconoscendo che anche il giusto è messo alla prova, quindi nessuno ha vita facile, invoca la vendetta di Dio sui propri nemici (e può farlo solo perché sono, prima di tutto, i nemici di Dio.)
Certo, non è il punto principale, è come una soddisfazione accessoria questa… Chiedere a Dio: “ti prego, fammi vivere abbastanza a lungo da assistere alla disfatta dei nostri nemici, che siano umiliati.”
Non vi sentite un po’ in colpa, a volervi godere la vista dei cattivi ormai sconfitti?
Eppure…
Oggi come oggi, osiamo anche solo pensare alla vendetta di Dio?
Siamo veramente agli antipodi, in questa lettura, rispetto alla Chiesa aperta a tutto e a tutti; che crea una “Cattedra dei non credenti”, ovvero chiama illustri atei ad insegnare il dubbio; che si coccola i nemici giurati, con un papa che cerca di “aprire percorsi” per incontrarsi con gli avversari, e per “riformare” secondo la “fantasia”, sedicente “dello Spirito”, invece di evangelizzare…
Altro che santa indignazione! Il dubbio e il ridimensionare, il non dire per non dare scandalo, è oggi la norma.
Tanto che, a furia di evitare dottrine scomode per non creare difficoltà, imbarazzi ed incomprensioni, si finisce per dimenticarle; e siccome le dottrine sono scomode… spontaneamente, in assenza del dovuto insegnamento, si imporrà l’insegnamento proprio opposto.
E per i novatori…
ricordiamo Luca 9:26:
Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi.
Convinti o no?
Dal Vangelo di Matteo di questa domenica (!), ancora Gesù:
…chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli
Sembra proprio che il messaggio di questa domenica sia: riconosciamo che ci sono i nemici di Dio; va bene volerli vedere sconfitti e umiliati. Godersi la scena proprio! Va invece supermalissimo mettere Dio tra parentesi per farseli amici!
E di nemici giurati di Dio ce ne sono a iosa, inutile fare i finti tonti.
Forse dovremmo invece rispolverare i salmi di imprecazione. Quelli in cui si invoca la maledizione di Dio sui nemici (!)…
Che sono praticamente stati rimossi: certi salmi (e certi versetti) non ci sono nella liturgia, li trovi solo andandoli a cercare nel testo integrale della Bibbia.
Prendiamo ad esempio il Salmo 139, 21-22:
“Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! Quanto detesto quelli che si oppongono a te! Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici”.
Cose vecchie si mettono in soffitta
Bene scrive Luisella Scrosati in un articolo sulla Bussola Quotidiana, dopo aver ricostruito il processo attraverso cui venne operata questa abusiva rimozione dalla liturgia dei passaggi scomodi, ritenuti non adatti alla sensibilità dei giovani, con il solito villain nella persona di Annibale Bugnini, e con Paolo VI messo in mezzo e indotto a cedere…
Ed è questa santa intolleranza, questo orrore per il male e le sue conseguenze che, in effetti, non si percepisce più nella Chiesa. […]
La preghiera come lotta, la repulsione verso il peccato e il desiderio che sia distrutto, l’impossibilità di conciliare tra loro Cristo e Beliar, la fame e sete di giustizia e l’attesa sofferta del ritorno di Cristo, l’infinita purezza dell’amore di Dio, l’inimicizia radicale con il Maligno e la sua stirpe: tutto questo è pressoché sparito dalla preghiera pubblica della Chiesa, forgiando giorno dopo giorno una “spiritualità” che non capisce più il dramma del peccato, non lo combatte più in tutte le sue forme, non scaglia più contro il demonio e i suoi satelliti le parole del giudizio divino, ma che cerca nella preghiera e in Dio uno stato psicologico consolatorio.
Pare proprio che la Prima Lettura di oggi sia stata lasciata come per una dimenticanza.
Rimozione incompleta, eppure rimozione: nel nome del togliere di mezzo passaggi difficili perché “potrebbero essere fraintesi”… Scusa assurda, perché in questo modo bisognerebbe cancellare quasi tutto delle Scritture, dato che i fraintendimenti si trovano ovunque.
No, non si può dimenticare il male. Nel senso, soprattutto, di fingere di non vederlo.
Eppure, ancora una volta, eccoci qui. Con una prevalente fetta di Chiesa, progressista, che si vergogna di Dio, giudicato troppo duro, giudicante, non inclusivo. E quindi taglia e nasconde interi pezzi di dottrina e di Scrittura. E in nome di questa presunta nuova sensibilità si “riforma”.
Magari ancora non siete convinti?
E vediamo dunque di fare un gioco facile: dalla Seconda Lettura di questa domenica, proviamo a proseguire. Che versetti incontriamo subito dopo? Perché magari, dal passaggio citato più sopra, sul riconoscere o rinnegare Gesù, alcuni potrebbero trarre conclusioni concilianti, che tenterebbero di smentire la mia interpretazione. Sentiamo invece come prosegue Gesù (siamo a Matteo 10,34-36):
…chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa.
Chiaro o no? Perché, dico, qui indica esplicitamente la lotta e la divisione persino all’interno delle famiglie. Portata da lui, da Gesù Cristo! Ci vogliamo svegliare?
Torniamo infatti alla succitata Cattedra dei non credenti, che oltre ad essere stato un ciclo di convegni, è diventata anche un libro, scritto dallo stesso cardinale promotore, Carlo Maria Martini. Ecco come viene presentata in una prefazione elogiativa firmata da Papa Francesco stesso (!):
i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, possono e devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili e motivare in profondità l’impegno per la giustizia e per la solidarietà
Perdonate se ho voluto enfatizzare in rosso gli aspetti più stridenti col Vangelo.
Ma a questo siamo: a dover denunciare questo contrasto netto tra Gesù Cristo e i suoi rappresentanti, creato da questi ultimi nel nome dell’evitare i contrasti (!)…
Notate anche l’abuso di terminologia degna di politologi moderni: convivenza civile, giustizia, solidarietà… la dimensione della fede viene schiacciata nel ripiegamento sul mondo, su parole che sono slogan vuoti.
Subito dopo nel testo linkato cade l’accento sullo “stile sinodale”, l’ennesima furbata distruttiva, oggi di gran moda: nella sinodalità si parte dal valorizzare la passività e manovrabilità di grandi numeri di persone, che come tali GARANTISCONO di non produrre risultati decenti, tantomeno controcorrente: il grande gruppo che “decide” è un mezzo per dire inevitabilmente sì al mondo. Obliterando ogni originalità propria.
E il processo si perfeziona ulteriormente, laddove il popolo di Dio avesse delle remore, come spesso ha: basta pilotare, con gli stessi metodi dei media laici nemici, in modo da mettere tutti davanti al fatto compiuto. Si presentano pareri tendenziosi di testimoni scelti, si silenziano gli altri, e poi si afferma, con compiacimento ed affettata desolazione: “Eh, ormai la gente la pensa così, i tempi sono cambiati, bisogna adeguarsi…”
….Due precisazioni, sennò poi dite che sono un fondamentalista.
1- Non si dà per scontato di avere ragione!
I nostri antenati erano gente in genere pratica e non sofisticata. Per ragioni di necessità e mancanza di opportunità. Oggi possiamo coltivare il dubbio, ma non è sempre un bene.
Davano per scontate troppe cose, riguardo ad esempio all’indiscutibilità della dottrina.
Ma la dottrina non saltava fuori dal nulla: la sua prevalenza, il suo valore venivano ad essere messi alla prova dalla dura legge della storia.
Non è strano che alla civiltà più avanzata corrisponda la dottrina religiosa più avanzata, anzi!
Quindi, nonostante gli uomini in genere, tutti (COMPRESI GLI ATEI), tendano a dare per scontato ciò in cui credono, non è per questo irragionevole considerare buona la nostra fede.
Buona e differente anche da un punto di vista metodologico: è un discorso che ci porterebbe troppo lontano, ma ci sta il sostenere che la crisi del mondo occidentale corrisponda all’aver abbandonato la fede cristiana, mentre al contrario il crollo della civiltà islamica, per fare un esempio ormai abituale su queste pagine, avvenne proprio a seguito di una ricerca di una maggiore fedeltà alla propria dottrina.
E tra i portati del Vangelo che hanno favorito il sorgere della scienza ci sta proprio il sapersi mettere in discussione, con umiltà; cercare di non prendere qualcosa per buono senza averne prima esplorate le ragioni. Esempio opposto ancora l’Islam: non ammette che si metta in discussione qualche insegnamento ricevuto, o che si possa ragionare su Allah, che è per definizione libero, svincolato dalla razionalità.
Ecco dunque il cammino:
A. in Occidente si è sviluppato un modo nuovo di vedere il mondo, coltivando il dubbio, così approfondendo la conoscenza, andando oltre le prime impressioni e le proprie aspettative.
B.1 Il cristiano cattolico (soprattutto) ha cercato la migliore risposta ai quesiti esistenziali, dopo un lungo lavorio; arriva ad una sintesi, seppur perfettibile: è un risultato che ha una sua consistenza. Niente è sicuro, e il dubbio rimane una presenza, una possibilità, ma ai margini.
B.2 L’ateo invece ha deciso di coltivare il dubbio all’infinito, trattandolo come un fine invece che un mezzo. Crogiolandosi nella contemplazione dell’inconsistenza. Ciò gli fornisce una scusa, non credendo in nulla, per seguire le scelte, a quel punto irrazionali, che gli vengono dall’esterno o dalla pancia.
Binario morto.
C.1 Sulla base del sistema di pensiero solido così costituito, il cristiano è chiamato a difendere la verità, al meglio di ciò che è riuscito ragionevolmente a capire, mantenendo un rispetto per le persone. Ma lottando proprio, contro chi, in maniera di tutta evidenza malevola, tergiversa, gioca con le parole, usa sotterfugi (o fa di peggio!) per combattere la verità scomoda del Vangelo, o per calpestare la giustizia.
Solo alla luce della faticosa costruzione di B.1, e con la controprova della storia, si intende affermare con decisione C.1.
E bisogna infatti affermarlo, senza farsi bloccare da mosse ed errori che nascono da B.2 o da altre convinzioni. Qui troviamo i progressisti e modernisti: in soggezione rispetto al nemico.
Affermarlo con intelligenza significa anche, a volte, dover fare delle precisazioni, insegnare cautele, verso chi, pur schierato dalla stessa parte, ha saltato il punto B.1 e forse anche A, e come tale è rimasto al livello di religiosità generico, ingenuo, assertivo solo perché primitivo. Qui troviamo la maggioranza dei tradizionalisti.
Gli alleati che pasticciano con ciò che credono di sapere sono controproducenti, in troppi modi.
Chiaro: in tutto questo gioco di precisazioni e di distinguo, dovendo comunque continuare ad esplorare la propria fede e metterla onestamente e criticamente in discussione, si fanno un sacco di nemici…
Un contenuto come questo stesso articolo, infatti, ottiene minima visibilità perché non accontenta, non tocca i nervi giusti.
2- La misericordia non c’entra.
Combattere i nemici, gasp! Dicono i benpensanti: signora mia, ma qui si manca di carità verso i fratelli lontani!
Alt! Prima dell’affetto viene l’onestà intellettuale. E il fare chiarezza.
La verità senza la carità può fare problema, ma a gioco lungo la verità cristiana non può essere compresa e fatta propria senza imparare anche la carità. Quindi non si “rischia” a puntare sulla verità.
Invece la carità senza la verità è, nonostante un’apparenza superficiale, un falso amore, che non dura e non vivifica.
Sempre da ricordare: prima viene la verità, poi l’amore.
Dobbiamo considerare tutte le probabili conseguenze delle nostre azioni, e non semplicemente applicare uno schema. Chi abbiamo di fronte?
Se è una persona confusa, o che ha idee sue che troviamo problematiche, si tratta di un caso del tutto differente. Lì davvero ci vuole tatto, ma senza mettere tra parentesi ogni aspetto potenzialmente divisivo.
No, qui stiamo parlando di nemici, e sono loro a porsi come tali: non dobbiamo certo, noi, applicare etichette arbitrarie. Semplicemente riconoscere chi si pone come nemico di Dio e della Chiesa. Con cattiva coscienza. E almeno i casi eclatanti, non c’è difficoltà ad identificarli.
Ecco, quando un nemico è in grado di fare danno, ha un seguito, può magari portare sulla cattiva strada 1000 persone, dobbiamo pensare prima di tutto a quegli altri, anche a rischio di perderlo.
E non è solo una questione di chiarezza, o di mettere al primo posto gli effetti sul resto della società. Chi ha detto che uno schiaffo, una umiliazione, un trattarlo male non possano risultare, persino per lui, più efficaci per tentare di farlo rinsavire di un insipido possibilismo, una servile e flaccida diplomazia?
C’è stato negli ultimi decenni un fraintendimento davvero clamoroso: dobbiamo amare i nostri nemici, sì! Ed è difficile, molto difficile. Ma amarli NON significa dare loro ragione!
Ed è meglio una loro sconfitta irrecuperabile, bruciante, se è il caso, di cui compiacersi nel nome di un ristabilimento della giustizia, che il trionfo di questi faccia di bronzo.
La misericordia, continuamente fraintesa, in realtà riguarda il perdono, ma di chi si è pentito.
Quando i “media cattolici” elogiano un noto avversario in occasione del suo necrologio (pretendendo di dire che in fondo lui però insomma eccetera eccetera), evidentemente non hanno la scusa del non volerlo allontanare dalla Chiesa, perché ormai è morto. Ma che servizio danno? Può essere attraente, verso i lontani che si ha tanta paura di allontanare ancora di più (con parole, si teme, troppo nette), una fede che qualunque cosa fai, tanto fa lo stesso, e persino se per tutta la vita la prendi a calci alla fine ti coccolano e ti portano ad esempio?
No. Ci vuole più coraggio. Fare più scontenti ma fare capire che non siamo semplicemente un club di vecchie zitelle che servono tè e sussurrano parole dolci, per non disturbare.
Precisazione sulla precisazione…
Però è davvero opportuno che ricordiamo che un conto è pregare per la giustizia, che comporta anche una salutare e visibile sconfitta per i nemici di Dio; altro è pretendere di giudicare: noi non siamo Geremia e non tutte le situazioni sono nette, bianco da una parte e nero dall’altra.
Avevo in mente un paio di nomi di nemici interni della Chiesa stessa, di cui addirittura alcuni vorrebbero avviare un processo di beatificazione.
Forse magari dovrei farlo: chiedere a Dio di concedermi la grazia di vederli cadere in disgrazia, non più portati ad esempio. O forse no, è meglio che non assuma questo atteggiamento e non scriva qui quei due nomi, anche se uno si potrebbe evincere da quanto detto prima. Non sono all’altezza (e poi se mi ci mettessi, altro che due…)
Eppure credo che la lezione di Geremia consista anche nel farci capire che nei casi più eclatanti sia giusto puntare il dito, soprattutto se invece tutt’attorno prevalgono i toni felpati.
Non la devono passare liscia!
E dunque come non invocare la giustizia divina su queste persone qui sotto, che sorridono compiaciute per aver promulgato una legge che incoraggia, favorisce, depenalizza l’aborto (fino alla nascita) nello stato di New York?
Cosa ci vedete in quei sorrisi?
Io ci vedo qualcosa che mi fa rabbrividire.
Non so se siano peggio questi, o quel medico radicale che disse, compiaciuto: “Io i bambini li frullo!”
Ecco, forse faccio male a non compiacermi troppo per i guai giudiziari dell’ex governatore di New York, Andrew Cuomo, qui ritratto mentre firma la legge. Si è dovuto dimettere per una serie di accuse di molestie sessuali, e sembra un finale appropriato.
Anche se in certi ambienti si cade in piedi, e alla fine la vicenda giudiziaria è finita in una bolla di sapone.
Ma non era per prendermela specificamente con queste persone. Ho solo cercato immagini di sorrisi per l’aborto, e ce ne sono stati parecchi nell’ultimo anno o giù di lì, dall’Irlanda agli USA all’Argentina. Avrei potuto portare altri sulla mia minuscola berlina. Ma sono saltati fuori questi nel motore di ricerca.
Consideratevi maledetti anche in contumacia, o voi che sprizzate gioia per il diritto a maciullare esseri umani.
Perché poi il discorso torna lì: le idee non sono mai solo idee, e gli oppressori non si limitano a dissentire da quel che insegna la Chiesa, fanno vittime.