I Progressisti contro San Paolo, statalismo contro realismo

crucified slaves

Fedor Andreevich Bronnikov. Gli schiavi crocifissi (1878). Olio su tela

Uno spunto importantissimo dalla seconda lettura alla messa di ieri.
Dalla Lettera a Filemone, 1, 14:

Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.

 

Qui San Paolo comunica all’amico Filemone che gli sta rimandando lo schiavo di nome Onesimo, da Paolo convertito alla fede ma ancora formalmente schiavo di Filemone. E lo esorta esplicitamente a liberare Onesimo dalla schiavitù e trattarlo come fratello da lì in poi.

L’insegnamento più importante e meno compreso viene proprio dal versetto 14 che ho qui evidenziato: l’Apostolo ha scelto di lasciare a Filemone l’iniziativa.
Che sia lui, liberamente, a decidere se fare la cosa giusta.

 

 

Il bene se non lo fai volontariamente non è il bene

Sta tutto qui. Il succo di una saggezza per la quale la Chiesa è stata attaccata per secoli.
La Chiesa Cattolica non aveva mai il coraggio di fare quello che andava fatto, si dice. Come se si combattesse la schiavitù schiumando rabbia per l’ingiustizia, liberando gli schiavi armi in pugno, demonizzando gli ex padroni.
Ecco, no, un cristiano non demonizza: non fa passare un essere umano, magari prigioniero del peccato, come se fosse un demonio egli stesso, irrecuperabile.

No, lo stile della Chiesa è quello di chi cerca la concordia. Di chi costruisce amore anche a costo di fallire sul piano concreto, materiale, almeno nel breve periodo. E a costo di passare per complice dei potenti, di quelli che difendono lo status quo.

 

Pedagogia per adulti che ammettano di dover crescere

Vuoi combattere il razzismo? Mostra che cos’è l’amore cristiano ai razzisti.
Se invece li attacchi li vedrai reagire male, diventeranno sempre più incattiviti.
Se anche li sconfiggerai, le antiche vittime diventeranno i nuovi razzisti persecutori. Perché non sarai uscito dalla logica della guerra tra fazioni.

Vuoi contrastare le ingiustizie commesse dai ricchi sui poveri? Comincia dal non pensare che lo scopo della vita sia il benessere materiale. Se la tua missione è far sì che il ricco ami il povero come un fratello e viceversa, se costruisci una comunità su queste basi, alla lunga ti troverai davanti persone generose da un lato e persone riconoscenti dall’altro.
Se invece ti schieri con il povero senza se e senza ma, contribuirai ad una lotta dove alla fine prevarrà comunque il più forte (di solito il ricco, tranne in casi eccezionali marcati dalla violenza estrema, destinati a non durare e che comunque creeranno una casta di privilegiati). Perché ognuno tiene alla roba, la propria chi ce l’ha già, quella altrui chi vive di desiderio.

Scegliendo la via più complicata dell’amore cristiano oltretutto scoprirai quanto è sano il realismo, di chi guarda ai fatti invece che ai sogni. I sogni di una società raddrizzata dall’attivismo.
Tra l’altro ti accorgerai che i poveri non sono buoni per definizione, come favoleggiano certi (post-)marxisti in tonaca.
E che di solito le disparità non sono colpa degli sfruttatori, che pure esistono, ma fanno parte della vita (che è caotica, ingiusta di suo, imprevedibile, ingigantisce gli effetti delle differenze).
Non puoi rimediare ad una bistecca troppo cotta bruciandone un’altra che era al punto giusto. Non dai una casa al povero togliendo con la forza la villa al ricco.

 

Stiamo affermando principi universali: amore contro statalismo.

La prospettiva di Paolo non potrebbe essere più distante da quella dei progressisti moderni, inclusi -ahimè- tanti preti.  Guardano alla Terra e non al Cielo; credono di poter costruire un Paradiso col soddisfare tutti i bisogni materiali. Come se non ci fosse la morte.

Eppure anche chi non crede in Dio dovrebbe poter apprezzare l’insegnamento di Paolo da un punto di vista squisitamente pratico, tenendo cioè conto della natura umana.

L’approccio pseudo-sociologico che dà sempre la colpa alla società per qualunque problema, che parla di sovrastrutture (e magari di patriarcato, imperialismo, suprematismo bianco…) è portato avanti proprio da quegli attivisti che hanno costruito mattone dopo mattone una società che tolga le responsabilità all’uomo, all’individuo: tutto avvenga in automatico, senza dover fare scelte.
E alla lunga senza poterle fare.
Il welfare state si prenda cura della tua vita dalla culla alla bara; decida come spendere i tuoi soldi per garantirti la salute, quanto accantonare pro forma per la vecchiaia; ti trovi un lavoro, ti dia di che vivere altrimenti; tamponi i tuoi errori se hai fatto un figlio senza potergli dare una famiglia, o se sviluppi una dipendenza da droghe; se sei un criminale, rimedi, ti rieduchi e ti reinserisca nel consesso civile; prenda a Tizio che ha di più per dare a Caio che ha di meno; gestisca persino le tue donazioni caritatevoli in maniera passiva (8 per mille, 5 per mille).

Burocrati che agiscano come automi, senza mai metterci nulla del loro, controllino ed indirizzino le tue scelte, per aiutarti s’intende. Assistenti sociali verifichino se stai allevando correttamente i figli, che tanto passeranno la gran parte della loro infanzia e gioventù nelle mani di professionisti dell’educazione, pagati dallo Stato, che gli insegneranno quello che devono pensare, secondo programmi standardizzati.

L’homo sapiens fino ad un paio di secoli fa di fronte ad un problema cercava una soluzione con la propria testa e attraverso l’opera delle proprie mani.
L’homo civicus cerca una soluzione rivolgendosi alle autorità; vive in un formicaio che per funzionare ha bisogno dell’opera di decine e centinaia di ruoli e di mestieri che nemmeno saprebbe enumerare. È dipendente e passivo. Una rotellina.

 

Un mondo a rovescio

Davvero, la legge che è lei buona al posto tuo è quanto di più lontano possiamo immaginare non solo dal Vangelo, ma anche dall’umanità.

 

Lasciamo stare che non c’è merito a fare il bene perché le autorità ed i carabinieri ti ci costringono.
Anche non considerando le leggi ingiuste, nella migliore delle ipotesi perseguono fini giusti attraverso il conformismo; chi non è debole e passivo, specialmente quando l’imposizione di legge è nuova, si ribella.
Se anche tu, legislatore illuminato, saprai reprimere definitivamente la ribellione, avrai ottenuto ragione con la forza, quindi la prossima volta non sarà più in gioco la verità o la giustizia ma la capacità di prevalere.

Non si scappa: ad invertire l’ordine di priorità tra fini e mezzi, contraddicendo il versetto 14 qui citato, si produce un inferno, l’opposto di quel che si desiderava.

 

La follia immigrazionista

Esempio scontato preso dall’attualità. Il mondo progressista afferma il principio astratto dell’accoglienza degli immigrati senza se e senza ma. Ti costringono ad accettare una convivenza imposta con la forza, quindi ottengono una reazione di rigetto tanto più violenta quanto più insistono nel rendere indiscutibile la scelta “di civiltà” e nel dare la colpa di ogni problema a chi osi opporsi, etichettato come razzista.
Logicamente un sistema costruito su queste basi non è soggetto ad alcun controllo, contrappeso od analisi critica razionale: gli uni vivono di prove di forza e ricatti morali, gli altri subiscono mugugnando. Quindi non c’è da stupirsi che si svolga nella maniera peggiore fin da subito, e che degeneri poi ulteriormente. Se nessuno può permettersi di criticare le comunità di accoglienza finiranno facilmente in mano a faccendieri. Se si sceglie di scusare i comportamenti illegali degli immigrati il risultato è per forza quello di una massa di clandestini che sono importati e gestiti dalla criminalità organizzata.
Se si “combatte” il razzismo associandolo automaticamente al colore della pelle (i bianchi sono tutti un po’ razzisti, i neri non possono esserlo) si alimenterà un razzismo speculare. E così via.

Invece di cercare la misura, la ragionevolezza, l’integrazione… si insiste sempre di più ad applicare lo Schema, perché si è incapaci di vedere la realtà con altri occhi. E chi metterebbe in dubbio una visione del mondo secondo la quale se ti accodi sei Buono Per Definizione?

Qualcuno nel Movimento 5 Stelle in passato aveva già parlato di requisire le abitazioni private sfitte per alloggiare chi ne ha bisogno; la nuova Ministro dell’Interno Lamorgese, “indipendente” in quota PD, due o tre anni fa, da prefetto, ebbe a parlare di confische per alloggiare i “profughi” se necessario, usando una parola del tutto inappropriata ma che tradiva, in un lapsus rivelatore, la mentalità da statalista capace di tutto.
La proprietà privata. Forse è un furto dopotutto, no?
Ma cosa mai potrebbe andare storto su questa strada?

 

Eppure non doveva per forza andare così.

Il paradosso: a gioco lungo non guardare all’obiettivo materiale, ma alla vita eterna e dunque alla fratellanza nella fede, porta anche a risultati materiali migliori, come la civiltà cristiana ha indirettamente dimostrato.

Si sarebbe potuto combattere il razzismo, favorire l’integrazione, gestire una immigrazione legale entro limiti definiti, e persino aiutare i poveri. Ma per fare questo occorreva dire un no deciso alla falsa bontà del falso progresso, invece di sposarne la weltanschauung (parole d’ordine, definizioni, visione del mondo).

 

Cari preti progressisti, ieri nella vostra omelia avete avuto l’occasione di commentare il contenuto della Lettera a Filemone, ma prima ancora avreste dovuto capirla.
State facendo l’esatto contrario di quello che insegnava Paolo.
E dovrete un giorno rendere conto della vostra responsabilità: perdere tanti cristiani, allontanati dalla fede perché gli stavate propinando questa sbobba avariata al posto del Vangelo.

3 commenti:

  1. L’argomento è molto interessante, per brevità osservo due cose

    ● è necessario distinguere tra bene-giustizia e bene-carità

    ● è necessario distinguere tra il bene immediatamente ottenibile e il bene che non lo è

    Il progressismo irrealista disattende entrambe queste necessità. Esso pretende di imporre per giustizia obbligatoria ciò che può essere solo proposto alla carità volontaria; e pretende di ottenere hic et nunc ciò che non può esserlo.

    Nell’esempio del post, la schiavitù riguarda la giustizia, non la carità (perché riconoscere a qualcuno la libertà personale non è fargli un regalo ma dargli ciò che gli spetta). Perciò lo Stato ha il diritto di rendere illegale la schiavitù. Ma San Paolo (ovvero lo Spirito che ispirava il testo biblico) sapeva che un mutamento culturale, che rendesse possibile vietare come illegale la schiavitù, era impossibile in quel contesto in cui la schiavitù era all’ordine del giorno. Perciò, anche se trattava di giustizia, faceva appello alla volontà anziché all’obbligo.

    (È lo stesso principio per cui ritengo che, OGGI, sia inutile per i cattolici chiedere che aborto e divorzio siano illegali).

  2. Alessandro Grasso

    Hai fatto bene a sottolineare un aspetto che di fatto ho lasciato inespresso: San Paolo non osa imporre nemmeno l’applicazione di un principio che sembra giusto in sé, a maggior ragione non imporrebbe di compiere un’azione di carità (per non parlare di imporre scelte politiche, ad esempio di allocazione risorse, del tutto opinabili).

    Dico “sembra” perché non è così facile, penso ne converrai: immaginiamo, in un’epoca dove vige il principio che i debiti si pagano (ad esempio la nostra idea di poter dichiarare fallimento dipende dal poter contare su di un sistema di comunicazioni efficiente, non è più necessario lo stesso livello di deterrenza e ci sono altri fattori intervenuti nel frattempo)… immaginiamo, dicevo, che Onesimo avesse chiesto un prestito molto grande e poi avesse dilapidato il capitale dissennatamente. Essere costretto a ripagare il debito con il proprio lavoro fa parte delle regole del gioco; anche una persona con il senso della giustizia, precristiana, avrebbe potuto trattare lo schiavo come un debitore e non come una cosa, limitandosi a quello che era dovuto senza maltrattare. Quindi persino la schiavitù va vista in prospettiva, fermo restando che i più diventavano schiavi per ragioni per noi inaccettabili.

    Poi, pensare di poter creare un mondo dove viga la giustizia fa parte dell’utopia perniciosa sinistra di prima, quindi la separazione tra i due tipi di bene, giustizia e carità, non è detto sia sempre proficua.

    Ci andrei piano però a dire che oggi i cattolici non dovrebbero affermare che aborto e divorzio (pur su due piani ben diversi) dovrebbero essere banditi. In effetti il concetto di “inutile” qui mi sembra un puntello che hai aggiunto perché il ragionamento pare malfermo. Fermo restando il dover evitare reazioni controproducenti, e il non pensare di creare il Paradiso in Terra, infatti, direi rimanga necessario affermare proprio questi concetti, molto più di quanto fosse utile e necessario negare la schiavitù da parte di Paolo.
    Infatti il gioco dei laicisti è riduzionistico: un principio che dovrebbe informare la società viene tatticamente raccontato come fosse una legge incomprensibile imposta con la forza su di una società che non la sente sua e la rigetta. Non è così, evidentemente, perché a gioco lungo legge e costume vanno assieme. Ma la sinistra ha subdolamente manipolato il costume per metterci di fronte al fatto compiuto e costringerci ad ammettere che il principio, ormai presente nella sola legge, sarebbe una violenza inaccettabile.
    Se sulla pratica dunque è davvero -al momento- in un certo senso inutile battersi per leggi sane sull’aborto e magari sul divorzio, è però necessario, per costruire, non arretrare ed affermare proprio il principio che certe cose debbano essere codificate dalla legge, anche se questo va fatto e si fa solo dopo aver convinto la maggioranza e non, come nella caricatura pensata dai laicisti, come un’imposizione calata dall’alto.
    La differenza fondamentale dal caso di Paolo è sia nella dinamica (il Cristianesimo in ascesa poteva influenzare, qui invece certi concetti messi alle strette rischiano di essere incomprensibili e dimenticati come un vecchiume) sia soprattutto nel merito dell’esperienza delle persone: l’abortito sparisce sempre più dal nostro vissuto, ci si anestetizza. Quindi a “lasciar fare” il nemico ha buon gioco, mentre la condizione dello schiavo, specie se ce l’hai sempre sotto gli occhi e ti invitano a chiamarlo fratello, continuerà ad interrogarti. Anche sul divorzio abbiamo dinamiche da contrastare direttamente e non solo con l’esempio, perché ci sono apparenti vittime (gente che è costretta a rimanere sposata) cosa che nella liberazione degli schiavi non avviene.

  3. «Ci andrei piano però a dire che oggi i cattolici non dovrebbero affermare che aborto e divorzio (pur su due piani ben diversi) dovrebbero essere banditi.»

    No, mi spiego meglio. Certo che dobbiamo affermare che essi vanno banditi. Ma è opportuno riconoscere che tale scenario (illegalità di aborto e divorzio) è, qui e ora, irrealizzabile. Questo implica che le seguenti affermazioni:

    – un cattolico può votare, senza peccato, soltanto partiti che promettono nel programma elettorale l’abolizione di aborto e divorzio

    – un cattolico non può sostenere, senza peccato, una legge finalizzata al male minore (es. incentivare le alternative all’aborto senza dichiararlo illegale)

    sono false.

    Quello che voglio sottolineare è la differenza tra una dichiarazione di principio e una di fatto.

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